La necropoli globale

di Marcello Veneziani

Da tre anni e mezzo, salvo brevi intervalli, passiamo da un incubo all’altro, e ogni tentativo di pensare altro, di parlare d’altro, di scrivere d’altro, è visto come qualcosa di inopportuno, di elusivo, quasi di vigliacco, oltre che di stravagante. Dai tempi in cui esplose il covid, nel marzo del 2020 a oggi, stiamo passando da uno psicodramma globale all’altro, senza soluzione di continuità e con l’imperativo di farsi coinvolgere, se non si vuole passare per disertori o peggio, complici, per intelligenza col nemico. Non c’è evento che si possa circoscrivere, localizzare: ogni cosa che accade, ci tocca da vicino, riguarda anche noi, anzi è il preavviso di quel che ci accadrà. La somministrazione dell’angoscia è affidata ai media e propagata dai social.
E appena c’è una pausa tra una tragedia e l’altra, basta un evento atmosferico per trasferirci in una specie di intervallo di “ricreazione”, nell’angoscia del clima, l’ansia della catastrofe ambientale ormai imminente. In modo da non allentare mai la tensione, neanche in pausa o in gita.
Non dirò che c’è un Grande Complotto Mondiale, o un Grande Satana, che ci impone questa filiera di emergenze e di paure. Non può essere. Più probabilmente siamo entrati in una psicosi globale con reazione a catena, che comporta tra l’altro la radicalizzazione della società in posizioni opposte, e ogni tentativo di comprendere, capire le ragioni dell’altra parte s’infrange nella chiamata alle armi: o sei di qua o sei di là, sei col nemico, sei col male, sei dalla parte della malattia, dell’aggressione, del terrore. Ogni evento scava poi un fossato di odio e diffidenza tra noi “occidentali” e loro: i cinesi del virus, i russi dell’invasione, i terroristi islamici e i loro alleati e protettori.
Ma di questa atmosfera che viviamo ormai da troppi anni, vorrei far notare innanzitutto la sua ricaduta sul piano psicologico: si sta impoverendo con una velocità impressionante, pari solo alla radicalità della prospettiva, il nostro orizzonte di pensiero e di vita.
Tutto ciò che non combacia o non conduce ai temi dominanti di oggi è giudicato come una fuga, uno sproposito, un andare fuori tema. Impallidisce la storia, regredisce il pensiero, si essiccano perfino i risvolti umani, sentimentali e affettivi, almeno quelli un tempo dichiarati. Una prova sul campo di quel che dico, un test indicativo, lo trovo nel campo che mi è più congeniale, la cultura. Ogni idea, memoria, critica, divergenza, approfondimento precipita direttamente nell’oblio senza passare da alcun dibattito e alcuna attenzione. I libri devono solo rispecchiare il momento che stiamo vivendo, non possono permettersi di parlare d’altro. Devono parlare di questo mondo o del suo rovescio, per dirla col generale Vannacci. Ma restando strettamente ancorati all’attualità. Se andate a ritroso e sfogliate annate passate di qualunque diario pubblico a mezzo stampa, avete quasi l’impressione che prima vivessimo tutti a Bisanzio, distolti nella varietà dei mondi e degli argomenti, intenti a stabilire la natura degli angeli mentre la città era sotto assedio. Questo rimpicciolimento di vedute alla sola panoramica dei giorni nostri, ci sta impoverendo in modo assoluto e, temo, irreversibile.
A pensarci bene, è proprio questo l’effetto più deleterio che questa mondializzazione monomaniacale, ossessiva, produce sulle nostre menti e nelle relazioni tra le persone. Con atteggiamenti schizofrenici di massa davvero impressionanti.
Ho trovato raccapricciante l’altra sera uscire per le strade di provincia e imbattermi in sciami di bambini che per giocare ad Halloween erano sanguinanti, morenti, accoltellati, proprio come accadeva – ma sul serio, tragicamente – ai loro coetanei a Gaza o in Israele. C’era una bambina con un finto coltello infilato in una tempia fino al manico, che usciva sanguinante con la sua lama dall’altra tempia… Avevo visto immagini analoghe e raccapriccianti poco prima, ma vere, in un video da Gaza che mi era stato girato. Vedere questa simulazione che imita la realtà più cruenta, mentre accade; vedere che il gioco, lo scherzo e la caricatura ricalcavano, inconsapevolmente, l’evento più orrendo e funesto dei nostri giorni, indicava la riduzione del mondo a una dimensione, la peggiore: sia che si viva, sia che si giochi, l’orizzonte è la morte, lo spaventoso, il terribile e il cruento.
In altri termini, anche l’evasione, lo scherzo fa il verso alla realtà, ne è la caricatura giocosa: in fondo, la differenza tra le due situazioni è data solo dal luogo, e dalla lontananza. Poveri quei bambini che vivono realmente, senza colpa, la tragedia di nascere e vivere in quei territori; fortunati quei bambini che da noi possono giocarci su per una sera e uccidere e morire per finta. Ma il mondo non sembra uscire da quell’orizzonte, orrore vero o simulato; che per dirla con Heidegger, rivela l’uomo, fin dalla più tenera età, come essere per la morte; vive, muore o scherza sull’estrema linea di confine.
Possiamo allora dire che la barbarie sta trionfando in quei luoghi come nel mondo global, seppure in gradi e misure diverse: lì colpisce direttamente, qui invece si espande
anche da noi non c’è altro orizzonte che quello imposto dal video, orizzonte riduttivo che scaccia ogni altro segno di vita. La civiltà è l’essere per la vita, che si tramanda; la resistenza alla morte attraverso le opere, gli amori, le fondazioni. Da quando la globalizzazione ha imboccato questa china, diventando necropoli globale, ogni giorno è due novembre.

Fonte

I 30 anni di Maastricht: la storia della falsa Europa dell’UE destinata a morire

di Cesare Sacchetti

Il nome di Maastricht non evocava alcunché nelle menti del pubblico italiano ed europeo trent’anni fa e non evoca probabilmente nulla ancora oggi nelle menti di molte persone.

Questa piccola località olandese bagnata dal fiume Mosa fu scelta nel 1992 per diventare la sede nella quale l’Europa che esisteva fino ad allora sparì per creare invece una sua contraffazione, nota come Unione europea.

Quando Giulio Andreotti, ultimo presidente del Consiglio della Prima Repubblica firmò il trattato di Maastricht nel febbraio del 1992 sembrò farlo non animato da un particolare entusiasmo.

Andreotti nutriva una certa e motivata diffidenza nei confronti dell’Unione che stava nascendo perché essa sarebbe stata chiaramente sin dagli esordi a trazione tedesca e Nord-Europea.

È rimasta celebre la battuta dell’ex presidente del Consiglio che dichiarava di voler così bene alla Germania tanto da volerne due e non una, come accadde all’indomani della riunificazione tedesca, e già in questa riflessione di Andreotti è possibile rilevare tutto il sottile acume ironico e tutta la saggezza politica di un mondo che è morto in quell’infame 1992, quando fu attuato il golpe politico di Mani Pulite in quel famigerato anno.

È impossibile però comprendere quanto accaduto a Maastricht e quanto accade il 1 novembre del 1993, giorno nel quale il Trattato è entrato effettivamente in vigore, senza appunto comprendere prima la dinamica di Tangentopoli che portò ad una ratifica di quel trattato in un clima da caccia alle streghe generale e di disgregazione controllata del sistema politico italiano.

Mani Pulite è quell’evento pianificato a tavolino da ambienti dell’anglosfera che avevano deciso che per poter entrare nella globalizzazione e per poter far sì che l’Italia restasse saldamente vincolata a Maastricht senza nemmeno provare ad allentare i vincoli sovranazionali, era necessario disfarsi prima della vecchia classe politica della Prima Repubblica.

Quest’ultima, con i suoi limiti e i suoi difetti che abbiamo ricordato in precedenti occasioni, era comunque in grado di assicurare un perimetro minimo di sovranità al Paese e di tutelare, seppur in condizioni di sovranità limitata, gli interessi nazionali.

Tale perimetro si è definitivamente ristretto fino a sparire con il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica quando la nascita della nuova e attuale classe politica, con le sue recentissime aggiunte grilline, ha partorito di fatto una congrega di passacarte che non sanno fare altro che eseguire pedissequamente gli ordini che piovono dai vari centri sovranazionali del potere senza nemmeno provare a metterli in discussione.

E Mani Pulite fu concepita negli ambienti dello stato profondo di Washington proprio per impedire che la vecchia classe dirigente potesse con la sua autorità e preparazione politica deviare dal copione assegnato per l’Italia.

Il mondialismo voleva a tutti i costi ingabbiare l’Italia con l’UE

L’Italia infatti occupava ed occupa un ruolo chiave nel progetto dell’Unione europea e del governo globale nel quale il Paese sarebbe dovuto entrare una volta manifestatosi il cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale.

Gli artefici di questo disegno dovevano assicurarsi a tutti i costi che l’Italia, casa del cattolicesimo e del mondo greco-romano, non deviasse in alcun modo dal piano perché se ciò fosse accaduto si sarebbe verificato un effetto domino tale da trascinare con sé tutti gli altri Stati europei.

La storia di Maastricht dunque per l’Italia rappresenta una storia di sottomissione dove una nuova classe politica intrisa fino al midollo da una corruzione e delinquenza raramente vistesi in questo Paese, smantellava pezzo dopo pezzo la struttura vitale della nazione facendola passare dal rango di quarta potenza mondiale industriale a quello di piccolo Stato satellite governato dall’asse franco-tedesco e soprattutto dal garante transatlantico dell’UE, l’impero americano.

Questo spiega la selvaggia svendita del 1992 attuata a bordo del Britannia dal cerimoniere del più grande saccheggio mai visto nella storia d’Italia, quel Mario Draghi allora dirigente del Tesoro, che consegnò a prezzi ridicoli tutto l’enorme patrimonio industriale alle banche di Wall Street quali JP Morgan e Goldman, per la quale poi Draghi andò a lavorare nei primi anni 2000.

E questo spiega anche perché Andreotti il cui partito, la DC, nei primi mesi di quell’anno fu travolto dall’inchiesta di giudici di Milano, si dimise nell’aprile del 1992.

Si era messo in moto un infernale meccanismo concepito tempo prima da potenti circoli sovranazionali che avevano già negli anni 70 tracciato un destino di decadenza per questo Paese così inviso per la sua storia millenaria e per i valori spirituali che esso incarna ai signori della massoneria e del mondialismo.

Arrivò il governo Amato che fu quell’esecutivo che nel luglio del 1992 effettuò il famigerato prelievo sui conti correnti degli italiani per scongiurare lo spauracchio di un fallimento del Paese che in realtà non c’è mai stato perché allora, a differenza di oggi, l’Italia aveva una sua moneta e non aveva alcuna difficoltà a garantire il pagamento del suo debito pubblico, soprattutto uscendo dall’unione monetaria dell’epoca, lo SME, padre dell’attuale euro.

Non era però quello il compito assegnato ad Amato. Il compito assegnato ad Amato era quello di portare l’Italia dentro la prigione dell’Unione europea nella maniera più traumatica possibile quando il mese stesso nel quale eseguì il prelievo forzoso firmava la svendita del patrimonio industriale italiano con le privatizzazioni dell’IRI, dell’ENEL, dell’ENI e dell’INA.

Moriva così lo Stato imprenditore ucciso da Mario Draghi e Giuliano Amato su ordine dei loro mandanti transnazionali e nasceva una nuova Italia che aveva un volto che non era più il suo.

Era il volto di Maastricht e dell’ordoliberismo. Era il volto nel quale lo Stato, allora come oggi, non è più libero di scrivere una sua manovra finanziaria senza prima consultarsi con degli sconosciuti e spesso inetti commissari europei famigerati per le loro sballate previsioni econometriche, e su questo si può chiederne qualcosa alla Grecia vittima della Troika.

Era il volto dei tecnocrati come Mario Monti, uomo della Commissione Trilaterale, che veniva inviato in Italia nel 2012 per assicurarsi appunto che l’Italia restasse rinchiusa nella prigione dell’UE.

Era il volto nel quale l’Italia perdeva del tutto la sovranità monetaria sacrificata sull’altare di Maastricht, per la quale come scrisse uno degli esecutori di questo piano, quell’Enrico Letta membro del gruppo Bilderberg, occorreva morire.

E questo fece la nuova classe dirigente telecomandata completamente dall’anglosfera. Portò l’Italia al patibolo per conto dell’alta finanza e di quei circoli mondialisti che volevano l’Italia completamente sottomessa.

La vecchia classe politica doveva morire per far trionfare Maastricht

Mani Pulite è stata del tutto indispensabile per poter compiere questo passaggio. Gli uomini della vecchia classe dirigente, quali Bettino Craxi e Giulio Andreotti, dall’alto della loro lungimiranza politica avevano intuito che era in atto un massiccio attacco internazionale nei confronti dell’Italia.

Craxi all’epoca lo denunciava ripetutamente. L’ex segretario del PSI affermava che le privatizzazioni erano una ruberia senza pari e riservava anche dure e legittime critiche all’allora governatore della banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, che in pochissimo tempo bruciò tutte le riserve di valuta estera di palazzo Koch pari a 48 miliardi di dollari in una scellerata e suicida difesa del cambio fisso della lira con lo SME.

Probabilmente molti ancora oggi ignorano che a fare la ricchezza di George Soros che lanciò un attacco speculativo tramite il suo Quantum Fund nei confronti della lira fu Carlo Azeglio Ciampi.

Solamente sapendo che l’altra parte non avrebbe svalutato immediatamente il cambio l’attacco sarebbe riuscito, e già questo avrebbe dovuto creare più di qualche sospetto alla magistratura che invece scientificamente perseguiva tutti i partiti, tranne il PDS, per delle tangenti la cui portata erano spiccioli rispetto ai furti che l’Italia stava subendo dalla finanza internazionale.

Finanza internazionale assistita dai vari Ciampi, Draghi e Prodi che nel 1993 fu richiamato proprio da Ciampi, divenuto in quell’anno premier, per proseguire lo smantellamento dell’IRI, uno dei più grossi gruppi industriali al mondo.

Il PDS, com’è noto, nonostante avesse degli enormi scheletri nell’armadio pari a 985 miliardi di fondi dell’ex PCI non venne mai sfiorato dalle inchieste dei giudici.

Un enorme fiume di denaro sporco sul quale stava indagando Giovanni Falcone che saltò in aria il 23 maggio del 1992 alcuni giorni prima di recarsi a Mosca dal suo omologo, il magistrato russo Stepankov, per risalire alle società e ai nomi di chi riciclava quei fondi neri in Italia.

L’inchiesta passò di mano a Paolo Borsellino che fece la stessa fine due mesi dopo la strage di Capaci.

I post-comunisti non dovevano essere toccati dalle inchieste.

Il PDS era stato già prescelto difatti già anni prima da Washington quando Giorgio Napolitano conduceva i suoi viaggi a Washington e si avvicinò moltissimo a Henry Kissinger che lo definì il suo comunista preferito.

Erano altri i partiti e i politici che dovevano sparire. Erano Giulio Andreotti, infangato da un assurdo processo per mafia con pentiti che si sono contraddetti più volte nel corso delle loro dichiarazioni contro l’ex presidente del Consiglio, ed erano Bettino Craxi, che non voleva che il suo Paese finisse ridotto come una colonia africana.

Non sarà sfuggito ai lettori probabilmente un fatto. I nomi di coloro che hanno tradito l’Italia quali Amato, Draghi, Napolitano e Ciampi sono gli stessi di coloro che dopo l’infame biennio del 1992-1993 hanno fatto folgoranti carriere e diventati capi di Stato, presidenti di Corti Costituzionali e presidenti del Consiglio.

I nomi invece di coloro che erano contrari a consegnare l’Italia ai suoi nemici sono finiti vilipesi e umiliati e persino costretti all’esilio, come Bettino Craxi.

Se Mani Pulite non ci fosse stata e se questi personaggi politici fossero rimasti sulla scena oggi probabilmente racconteremmo una storia diversa.

Probabilmente oggi racconteremmo la storia di un Paese che firma Maastricht ma si riserva la possibilità negli anni successivi di esercitare una clausola per non aderire all’unione monetaria come fatto da Gran Bretagna e Danimarca.

Probabilmente racconteremmo la storia di un Paese che non fa dei parametri del 3% di deficit decretati nella sconosciuta cittadina olandese i nuovi comandamenti economici da seguire, e non rinuncia alla spesa pubblica che è essenziale per poter garantire il funzionamento di un Paese.

Lo vediamo ancora oggi, in questi ultimi giorni con una Toscana finita sott’acqua come molte altre regioni italiane non per la bufala anti-scientifica dei cambiamenti climatici ma perché da troppi anni il territorio italiano è del tutto distrutto e non curato semplicemente perché lo Stato ha rinunciato a spendere e a salvare vite umane pur di obbedire ai nuovi padroni.

L’Unione europea è una falsa Europa

La logica di Maastricht è in fondo proprio questa. È la logica secondo la quale la vita umana conta meno di un pareggio di bilancio. È la logica del capitalismo protestante dove il denaro vale più dell’uomo e il passaggio che l’Italia ha compiuto del 1992 è anche uno di natura culturale e spirituale.

L’Italia ha rinunciato ai suoi valori cattolici fondati su una concezione radicalmente differente dell’economia per entrare nel mondo dell’ordoliberismo dove non è più lo Stato a governare i processi economici ma gli oligarchi che tutto fagocitano e tutto depredano.

Trent’anni dopo la lezione di Maastricht è questa. La lezione di Maastricht è che l’Unione europea è incompatibile con la storia d’Italia e d’Europa.

L’Unione europea nonostante il suo nome non è né una unione né europea. Le sue radici culturali sono quelle dell’illuminismo liberale che rifiuta e avversa fortemente ogni richiamo alla religione cristiana e alle radici greco-romane.

Lo spirito dell’UE è uno profondamente massonico e liberal-progressista che ha agito soltanto per uno scopo preciso.

Quello di cancellare ogni traccia della vera Europa cristiana per sostituirla con un’altra nella quale c’è un archetipo multietnico e secolarizzato senza nessuna vera identità.

È l’archetipo di Kalergi. È il conte austriaco il vero padre putativo dell’UE perché tutto ciò che oggi è UE viene dalla sua mente.

Sua l’idea di stabilire che l’inno alla gioia di Beethoven fosse scelto per essere l’inno dell’Unione. Sua l’idea di celebrare a maggio la festa della “Europa unita”, e sua l’idea di aprire i confini dell’Europa per far affluire altre razze e dare vita così alla nuova razza mista dell’Unione nella quale gli europei non ci sono più, risucchiati dal melting pot multietnico.

La storia di Maastricht è la storia di una guerra del liberalismo massonico alla civiltà cristiana ed europea e al suo cuore pulsante, l’Italia.

Coloro però che hanno concepito questa falsa Europa non hanno tenuto conto di dinamiche completamente sottovalutate e non calcolate adeguatamente nel corso degli ultimi 30 anni.

I signori del mondialismo che finanziarono il conte Kalergi, quali le famiglie Rothschild e Warburg, non hanno considerato che questo sistema autoritario globale dove nessuno prospera se non una minuscola élite avrebbe inevitabilmente scatenato delle reazioni in coloro che erano ostili ad un processo di cessione della sovranità degli Stati nazionali.

Costoro non hanno tenuto conto dell’ascesa della Russia di Putin e non hanno nemmeno previsto che l’impero americano rinunciasse al suo ruolo di guardiano del globalismo per via dell’avvento dell’era Trump e della sua dottrina del “Prima l’America”.

L’UE quindi si riscopre per essere quello che è sempre stata. Un gigante dai piedi di argilla che non ha nessuna possibilità di esistere nel medio e nel lungo termine senza la protezione dell’altra sponda dell’Atlantico, quella americana.

La storia ha svoltato in una direzione imprevista per questi nemici dei popoli. Non più quella di un Leviatano globale dotato di poteri autoritari persino superiori ai totalitarismi del secolo scorso, ma quella di un mondo dove il potere non è più concentrato nelle mani di un solo blocco unipolare.

Il multipolarismo dei BRICS e la fine della struttura dell’anglosfera nata dopo il 1945 stanno partorendo un mondo del tutto antitetico a quello voluto dal mondialismo.

Sulla scena politica tornano protagonisti gli Stati nazionali e questo processo sta portando non solo ad un progressivo smantellamento dell’impero americano che non esercita più il suo ruolo di garante del vecchio ordine, ma soprattutto sta portando all’assoluto isolamento geopolitico dell’UE che oggi non ha più sponde come un tempo.

Uno dei più famigerati esecutori in Italia di questo piano fallito, Massimo D’Alema, ha dovuto costatare con amarezza che questo non è più il tempo del Nuovo Ordine Mondiale.

Questo processo sta avvenendo ad una velocità impressionate con i pilastri del vecchio ordine liberale quali la moneta di riserva globale del dollaro che sta perdendo giorno dopo giorno il suo status.

Maastricht dunque non potrà sopravvivere. Non potrà sopravvivere perché semplicemente non esistono più quelle minime condizioni geopolitiche ed economiche in grado non solo di garantire la sua esistenza ma la sua sopravvivenza.

Il futuro oggi appare decisamente meno fosco dopo il fallimento della farsa pandemica proprio perché per l’Italia e l’Europa si apre la possibilità di tornare ad avere quella sovranità perduta senza la quale non esiste nessuna seria possibilità di rinascita.

Il trentesimo compleanno di Maastricht induce quindi a questa riflessione finale. L’UE ha soltanto 30 anni di vita eppure non è mai stata così vicina alla sua morte come appare esserlo oggi.

FONTE

È tempo di destigmatizzare la convivenza con i genitori

Questa è la novità che ci giunge dalla società oltreoceano, quindi non si chiamano più “bamboccioni” i figli che rimangono in casa con i genitori a patto che ci sia rispetto reciproco, la volontà di accettarsi e di collaborare


Dopo la riapertura del college in seguito alla pandemia di covid-19, la 24enne Nethra Rammohan si sentiva ancora esclusa dalle attività del campus. 
Continuando a fare la pendolare da casa sua, si sentiva sola, come se tutti i suoi amici si divertissero senza di lei. 
Dopo la laurea, era determinata a trasferirsi in un posto tutto suo.
All’inizio i suoi genitori erano contrari. 
Nella cultura indiana, spiega Nethra, i primi anni ’20 sono spesso visti come gli ultimi anni che una giovane donna trascorre con la sua famiglia prima del matrimonio. 
I genitori di Nethra speravano che lei potesse godersi questi preziosi anni da single al loro fianco.
Ma nonostante abbia dovuto combattere “con le unghie e con i denti” con i suoi genitori per riuscirci, Nethra se ne è andata l’estate dopo essersi laureata. 
Alla fine, i suoi genitori salirono a bordo. 
Ma inizialmente, “è stato un periodo emozionante e turbolento a casa”, mi dice. 
“Mia madre mi diceva: ‘Oh, te ne vai? 
Non hai ancora imparato a cucinare o cose del genere!’ 

Dopo essersi sistemata, Nethra ha sfruttato appieno la sua ritrovata libertà (e la mancanza di coprifuoco). 
Ogni sera usciva con gli amici, pagava le bollette, puliva e, sì, imparava a cucinare da sola. 
Ma tenere il passo con questo nuovo stile di vita ha lentamente messo a dura prova la sua salute. 
Nel tentativo di fare tutto, ha trascurato la cura di sé e ha iniziato a esaurirsi. 
Alla fine, ha deciso di provare una seconda volta a vivere con i suoi genitori.
Con un nuovo apprezzamento per i gesti d’amore dei suoi genitori, i pasti cucinati in casa e le offerte di trascorrere del tempo insieme, Nethra è ora più felice e più sana che mai. 
E i sentimenti sono reciproci: “Ci capiamo meglio” dopo il trasloco, dice la mamma di Nethra. 
Sebbene Nethra sia disposta a trasferirsi di nuovo più avanti nei vent’anni, ora si sente in pace – non costretta – vivendo con la famiglia. 
Da quando è tornata a casa, dice: “Non mi sono sentita sola o qualcosa del genere, nemmeno una volta”. 
Perché? 
In poche parole: “Mi sono divertito. 
Ho realizzato quello che volevo quando ero via.
Negli Stati Uniti, in un mercato del lavoro turbolento e con costi in aumento, la vita multigenerazionale sta vivendo un momento di grande attualità. 
Ma vivere con i genitori dopo il college è molto comune in molte parti del mondo. 
L’assistenza reciproca non solo riduce i costi, ma rafforza anche i legami familiari e riduce la solitudine

Questa settimana ho chiesto ai lettori di Post Laurea: “Neolaureati: vivi a casa con la famiglia o no? 
Come ti senti rispetto alla tua decisione?”
Di seguito sono riportate due risposte dei lettori alla nostra domanda della settimana che si è distinta. 
Per ottenere la nostra raccolta completa di risposte dei lettori ogni settimana, 

“Mi sono appena laureato all’Università del Maryland e sono tornato nella casa della mia infanzia a New York. 
Ho sempre pensato che sarei passato direttamente dalla scuola universitaria a quella di specializzazione. 
Ho fatto domanda nell’ultimo ciclo di candidatura, sono entrata nella scuola dei miei sogni ma poi ho capito che non ero pronta per partire. 
Dal punto di vista finanziario ed emotivo, 
avevo bisogno di tempo per maturare prima di impegnarmi in più scuola e più debiti. Adoro vivere a casa. 
Ho trovato un buon lavoro e anche la maggior parte dei miei amici si è presa del tempo a casa prima di tornare a scuola o prendere il loro primo appartamento “per adulti”, quindi non sento di perdermi nulla. 
Se una persona è in grado, consiglio vivamente di prendersi un anno o più per acquisire fondi ed esperienza professionale prima di lanciarsi nella vera vita adulta. 
—Emily W., 22 anni
“Non vivo a casa con la famiglia. 
Adoro la mia decisione di trasferirmi dopo il college, ma spesso mi sento sopraffatto dal peso delle responsabilità e dell’incertezza. 
Ho la fortuna di vivere abbastanza vicino a casa, dove posso trascorrere lunghi fine settimana per rilassarmi. 
Se avessi la flessibilità lavorativa, lo prenderei sicuramente in considerazione, dato che 
dopo quasi due anni di specializzazione post-laurea vissuti con compagni di stanza, sarebbe bello rilassarmi e avere parte delle mie responsabilità alleviate stando a casa .” 
—Grace O., 23 anni




Dopo la riapertura del college in seguito alla pandemia di covid-19, la 24enne Nethra Rammohan si sentiva ancora esclusa dalle attività del campus. Continuando a fare la pendolare da casa sua, si sentiva sola, come se tutti i suoi amici si divertissero senza di lei. Dopo la laurea, era determinata a trasferirsi in un posto tutto suo.
All’inizio i suoi genitori erano contrari. Nella cultura indiana, spiega Nethra, i primi anni ’20 sono spesso visti come gli ultimi anni che una giovane donna trascorre con la sua famiglia prima del matrimonio. I genitori di Nethra speravano che lei potesse godersi questi preziosi anni da single al loro fianco.

Ma nonostante abbia dovuto combattere “con le unghie e con i denti” con i suoi genitori per riuscirci, Nethra se ne è andata l’estate dopo essersi laureata. Alla fine, i suoi genitori salirono a bordo. Ma inizialmente, “è stato un periodo emozionante e turbolento a casa”, mi dice. “Mia madre mi diceva: ‘Oh, te ne vai? Non hai ancora imparato a cucinare o cose del genere!’ “Dopo essersi sistemata, Nethra ha sfruttato appieno la sua ritrovata libertà (e la mancanza di coprifuoco).

 Ogni sera usciva con gli amici, pagava le bollette, puliva e, sì, imparava a cucinare da sola. Ma tenere il passo con questo nuovo stile di vita ha lentamente messo a dura prova la sua salute. Nel tentativo di fare tutto, ha trascurato la cura di sé e ha iniziato a esaurirsi. Alla fine, ha deciso di provare una seconda volta a vivere con i suoi genitori.

Con un nuovo apprezzamento per i gesti d’amore dei suoi genitori, i pasti cucinati in casa e le offerte di trascorrere del tempo insieme, Nethra è ora più felice e più sana che mai. E i sentimenti sono reciproci: “Ci capiamo meglio” dopo il trasloco, dice la mamma di Nethra. Sebbene Nethra sia disposta a trasferirsi di nuovo più avanti nei vent’anni, ora si sente in pace – non costretta – vivendo con la famiglia. 

Da quando è tornata a casa, dice: “Non mi sono sentita sola o qualcosa del genere, nemmeno una volta”. Perché? In poche parole: “Mi sono divertito. Ho realizzato quello che volevo quando ero via.

Negli Stati Uniti, in un mercato del lavoro turbolento e con costi in aumento, la vita multigenerazionale sta vivendo un momento di grande attualità. Ma vivere con i genitori dopo il college è molto comune in molte parti del mondo. L’assistenza reciproca non solo riduce i costi, ma rafforza anche i legami familiari e riduce la solitudine.

Questo è un estratto della rubrica Post Laurea di Renee Yaseen .

Questa settimana ho chiesto ai lettori di Post Laurea: “Neolaureati: vivi a casa con la famiglia o no? Come ti senti rispetto alla tua decisione?”Di seguito sono riportate due risposte dei lettori alla nostra domanda della settimana che si è distinta. Per ottenere la nostra raccolta completa di risposte dei lettori ogni settimana,“Mi sono appena laureato all’Università del Maryland e sono tornato nella casa della mia infanzia a New York. Ho sempre pensato che sarei passato direttamente dalla scuola universitaria a quella di
specializzazione. Ho fatto domanda nell’ultimo ciclo di candidatura, sono entrata nella scuola dei miei sogni ma poi ho capito che non ero pronta per partire. Dal punto di vista finanziario ed emotivo, avevo bisogno di tempo per maturare prima di impegnarmi in più scuola e più debiti. Adoro vivere a casa. Ho trovato un buon lavoro e anche la maggior parte dei miei amici si è presa del tempo a casa prima di tornare a scuola o prendere il loro primo appartamento “per adulti”, quindi non sento di perdermi nulla. Se una persona è in grado, consiglio vivamente di prendersi un anno o più per acquisire fondi ed esperienza professionale prima di lanciarsi nella vera vita adulta. —Emily W., 22 anni“Non vivo a casa con la famiglia. Adoro la mia decisione di trasferirmi dopo il college, ma spesso mi sento sopraffatto dal peso delle responsabilità e dell’incertezza. Ho la fortuna di vivere abbastanza vicino a casa, dove posso trascorrere lunghi fine settimana per rilassarmi. Se avessi la flessibilità lavorativa, lo prenderei sicuramente in considerazione, dato che dopo quasi due anni di specializzazione post-laurea vissuti con compagni di stanza, sarebbe bello rilassarmi e avere parte delle mie responsabilità alleviate stando a casa .” —Grace O., 23 anni