Kant, la verità vale più della vita

Di Marcello Veneziani

Il 22 aprile di trecento anni fa nasceva a Königsberg, dove poi sarebbe morto in tarda età, Il Filosofo Moderno per eccellenza e per antonomasia, Immanuel Kant. Se dovessi figurarlo sulla scena del pensiero mondiale, lo vedrei esattamente come lo vidi a scuola, anzi ancor prima, nella biblioteca paterna, dove Kant era di casa. Lo vedrei al crocevia del pensiero moderno, nel luogo esatto in cui confluiscono due strade che provengono dall’empirismo inglese e dal razionalismo francese e ne partono altre due, l’idealismo tedesco e il vitalismo tragico di Schopenhauer e poi di Nietzsche. 

Kant è l’inevitabile snodo del pensiero moderno. 

Anche il suo pensiero è un quadrivio tra quattro linee principali: la ragion pura e la ragion pratica, la critica del giudizio estetico e la filosofia dei diritti. 

Kant è al centro di quel crocevia, sovrastante e sorvegliante,  come un semaforo preciso, che segna rigorosamente il rosso e il verde, e solo nell’intermezzo arancione lascia margini agli ideali regolativi, ai postulati morali, ai gusti soggettivi. Kant fu la rappresentazione più alta della Legge, della Regola, della Norma, a cui si attenne in teoria e anche nella vita: di lui è proverbiale la metodica puntualità e la seriale ripetizione delle sue abitudini.

Una volta sola, si dice, superò i confini della sua passeggiata, con cui la gente regolava gli orologi: quando andò incontro al postale che recava notizie della Rivoluzione francese.

E’ un’immagine un po’ scolastica, ne convengo, ma alla fine se vuoi riassumere in un’icona un pensiero così grande e così grandiosamente articolato, devi ricorrere a un’immagine riassuntiva che ne dia il senso complessivo. E’ temerario nell’arco di un breve ritratto ripercorrere il suo pensiero e le sue opere, sarebbe ridicolo e risulterebbe offensivo anche per chi ha studiato la sua opera. Però due o tre cose di larga portata e d’importanza universale vanno dette intorno all’uomo e all’opera. 

La prima, elementare filosofia che mi insegnò mio padre quando ero bambino fu in una sera d’estate, passeggiando in campagna, citando una celebre frase di Kant dalla ragion pratica: “Due cose riempiono l’anima di ammirazione e di venerazione, il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”.

Senza capirla ne colsi con mente puerile la speciale bellezza: sentivo riassunto in una frase, che era poi l’epigrafe sulla tomba di Kant, il mio essere al mondo, la meraviglia delle stelle e lo stupore che suscitavano in me, l’ammirata venerazione che si deve al cielo e il suo riflesso interiore nella coscienza. Fu la prima percezione dell’armonia, della simmetria tra microcosmo e macrocosmo, della connessione tra la mia anima e l’universo. Quella citazione mi spinse ad amare quella cosa strana che insegnava mio padre, e che era al tempo stesso la sua gioia e il suo lavoro, la sua missione e la sua professione: la filosofia. 

Poi da ragazzo quella citazione decadde al rango di didascalia dell’ovvio, retorica, un po’ manierista, banalmente liceale. 

Da adulto, notai che quella citazione, pur nella sua bellezza e grandezza, rivelava il punto debole del pensiero kantiano. Perché Kant lasciava un vuoto, un abisso, fra il cielo stellato e l’anima, cioè fra la trascendenza e l’interiorità, non scorgeva nel mezzo il mondo, la storia, la terra, il mare, la campagna, i legami comunitari, la famiglia, le eredità, la vita: la sua era la fondazione metafisica, cosmica e morale dell’individuo solitario, nella sua nordica, glaciale e siderale solitudine. Mi parve più vero, più vivo, più umano e più naturale il pensiero mediterraneo di Giambattista Vico che invece indagò tra il cielo e l’animo umano, tra la provvidenza e la coscienza, su tutto quel che stava di mezzo: la storia, i popoli, i legami comunitari, il comune sentire, la natura, i miti, la religione, la famiglia, le nazioni. Non pensò che per tutto questo dovesse bastare la Legge, il contratto sociale, le norme da osservare, come invece pensava Kant. Entrambi pensarono alla storia universale, ma Vico la pensò attraverso i popoli, le nazioni, le civiltà, le religioni e le tradizioni; mentre Kant da illuminista pensò a regole universali e perpetue, come la pace, cosmopolitiche e astratte, valide per tutti. Vico pensava alla realtà e all’essere, Kant alla norma e al dover essere. L’imperativo categorico kantiano, sintesi di rigorismo prussiano, fondava una morale assoluta, a volte con esiti disumani. Come quando, in una famosa risposta a Benjamin Constant, Sopra un preteso diritto di mentire per amore dell’umanità, Kant arrivò a sostenere che se un nostro amico inseguito da un assassino si rifugiasse in casa nostra noi non potremmo negare all’assassino di dire la verità, cioè che è rifugiato da noi. Perché la verità è un valore assoluto, anche rispetto alla vita. I cristiani invece ammettevano la pia fraus, ossia la menzogna a fin di bene, e Platone il socratico riconosceva “le salutari menzogne”; Kant no, il suo formalismo giuridico si faceva irrealismo intransigente e la verità era pura, separata dall’essere, dall’umanità e dalla vita. 

Kant era alto un metro e mezzo, sua madre lo chiamava l’ometto; era bruttino, mingherino, con una spalle asimmetrica e forse una testa più grande del suo corpo, cagionevole, celibe impenitente (“Se dovessi prender moglie ne sceglierei una che non abbia molto ingegno, ma che sappia apprezzarlo”). Misogino, riteneva che le donne servissero solo al mantenimento della specie e che dovessero dipendere interamente dall’uomo. Poco socievole, aveva però spesso ospiti a casa; a tavola aveva stabilito che non dovessero essere mai meno delle Grazie né più delle Muse, ovvero in un numero compreso fra tre e nove commensali. Era rigoroso e all’apparenza tetro ma il suo allievo Herder lo trovava perfino gioioso, giocoso e gioviale. Come Vico, anche Kant detestava la satira (“non rende mai migliori”, “lo spirito arguto rientra tra le cose superflue”). Citando Platone, Kant riteneva che “quando siamo svegli abbiamo un mondo comune, quando sogniamo ciascuno ha il proprio”: a me sembra di vivere in un mondo al contrario, in cui da svegli ciascuno ha il suo mondo a sé, incomunicante, e solo nei sogni, nella fiction, nelle fabbriche dell’immaginario collettivo, ritrova un mondo comune. Diffidava della filosofia al potere ma anche della promessa pubblica di felicità: il suo illuminismo era severo, individualistico, fondato sulla correlazione assoluta tra diritti e doveri, tra libertà e obblighi e sulla considerazione dell’uomo come fine, mai come mezzo. Era rigoroso, assoluto, intransigente; eppure nel suo austero palazzo della ragione lasciò un posto al sentimento del bello e del sublime, agli ideali regolativi e ai postulati religiosi e morali, allo spirito romantico e confessò di commuoversi per il cielo stellato. 

La Verità – 19 aprile 2024

La verità sui numeri Covid: storia di una truffa e di una falsa pandemia

di Gianluca D’Agostino

(Questo contributo del 16 aprile del 2020 dimostra inoppugnabilmente come sin dal principio il governo Conte prima e quello Draghi poi hanno agito sulla base di una falsa pandemia)

Analisi narrativa del racconto fatto dagli organi di informazione sui dati dell’emergenza COVID 19.

Dal 9 Marzo 2020 l’emergenza Coronavirus creata dai news media ha alimentato un clima di terrore spesso non giustificato dai dati.

Questo articolo che non ha ambizioni analitiche di natura medico-scientifica, è un’analisi fattuale della struttura narrativa del film Coronavirus che ci è stato raccontato dai media e nel quale stiamo tutti vivendo.

La domanda alla quale questo articolo vuole rispondere è: l’allarmismo sul Coronavirus creato dalla narrazione degli organi di informazione è giustificato dai dati ufficiali?

L’obiettivo è quello di far rispondere a questa domanda direttamente il lettore, sulla base delle informazioni finora raccolte e che sono oggetto dell’analisi che trovate di seguito.

Partiamo dal fatto che l’intera narrazione del film Coronavirus si basa sui dati. Questi famosi dati, di cui tutti parlano e che i media ci propinano quotidianamente, sono in realtà qualcosa di mitologico e leggendario perché nessuno li conosce veramente, nemmeno coloro che dovrebbero possederli di diritto e gestirli per nostro conto.

Finora infatti la pubblica amministrazione, sia quella di livello statale che regionale, non ha rilasciato alcun dato ufficiale che ci permetta di poter valutare la portata epidemiologica, il tasso di diffusione, il tasso di mortalità e quindi il livello di pericolosità del fenomeno Coronavirus.

Al fine di fornire sin da subito uno strumento di lettura efficace al lettore che vuole comprendere meglio come distinguere le notizie false dalle informazioni comprovate, sarà sufficiente che ogni volta che il lettore legge un articolo, un report, una statistica o ascolta una conferenza stampa, verifichi semplicemente che i dati forniti: 1) siano collocati in un’area geografica determinata 2) che siano all’interno di un quadro temporale delimitato (da – a) e, soprattutto, se si sta parlando di numero di decessi 3) che la causa di morte sia stata giuridicamente accertata.

Infatti i dati epidemiologici che si basano sui tamponi faringei secondo tutti gli studi finora eseguiti e raccolti dai ricercatori dell’Oxford COVID-19 Evidence Service Team presso il Centre for Evidence-Based Medicine, Nuffield Department of Primary Care Health Sciences dell’Università di Oxford hanno un’accuratezza che varia tra il 45 e il 60% e perciò non sono affidabili.

Cosa significa questo? Che qualunque informazione relativa a decessi e contagi deve sempre essere inserita in una finestra temporale di riferimento, che contenga le preposizioni “DA – A” e che qualunque narrazione che racconti la storia di qualcuno che è deceduto a causa del Coronavirus debba essere sempre supportata da un referto autoptico, altrimenti non possiamo mettere Covid 19 nel titolo di un articolo.

Nelle ultime settimane il sottoscritto ha raccolto e verificato le storie raccontate dai principali organi di informazione richiedendo e analizzando i dati forniti dalle istituzioni statali e regionali preposte alla gestione dei dati.

Il quadro che ne è emerso differisce in maniera sostanziale dalla narrazione raccontata dai principali news media ma lasciamo che sia il lettore a giudicare.

Cominciamo dall’inizio:

I dati dell’ISTAT e “la selezione”

Il giorno 8 aprile 2020 ho richiesto all’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) i dati relativi al numero di decessi avvenuti sul territorio nazionale nel primo trimestre del 2019 e quelli relativi al primo trimestre del 2020 perché volevo verificare e quantificare l’impatto demografico dell’epidemia.

Nel primo trimestre del 2019 (1 gennaio – 31 Marzo) i decessi dei cittadini italiani residenti sul territorio nazionale sono stati 185.967 (Fonte: ISTAT).

Per quanto riguarda i dati del primo trimestre 2020  ISTAT non li ha ancora rilasciati.

L’unica fonte disponibile riguardo il primo trimestre 2020 è quella di Italiaora.org – Real Time Statistic Project, secondo cui il numero dei decessi è intorno ai 180.000.

Ora, se ci fosse una pandemia in corso, i decessi del primo trimestre di quest’anno dovrebbero essere di più e non di meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Il dato di Italiaora.org non mi è stato confermato dall’ISTAT perché ISTAT non ha rilasciato i dati totali dei decessi del 2020 ma soltanto una “selezione”.

Prima che io potessi sollevare alcuna obiezione sull’incompletezza dei dati, ISTAT ha allegato ai dati a me forniti la seguente nota: “i dati messi a disposizione non riguardano un campione di comuni, ma una selezione di questi ultimi pari a 1.084 comuni.”

Tenete presente che il numero totale dei comuni italiani è di 7904 e che quindi la percentuale dei dati che ISTAT ha messo a disposizione e che loro definiscono “selezione” è circa il 13% dei comuni italiani. L’ufficio stampa di ISTAT mi ha riferito che è la prima volta che l’ISTAT fornisce una selezione dei dati e non il numero totale dei decessi e questo è dovuto all’emergenza COVID 19.

La “selezione” fornita da ISTAT non può nemmeno essere definita un campione statistico perché un campione è costituito in modo da consentire, con un rischio definito di errore, la generalizzazione all’intera popolazione. Ma per loro stessa ammissione, si tratta di una selezione, operata sulla base di una loro non specificata “valutazione” che in termini statistici non è rappresentativa di nulla.

Qui suona il primo campanello d’allarme perché tutti gli organi di informazione stanno pubblicando dati sui decessi relativi al primo trimestre 2020, mentre l’Istituto Nazionale di Statistica, che è l’organo preposto dal governo per le statistiche demografiche, non ha pubblicato nessun dato ufficiale né conferma quelli forniti dagli organi di informazione.

Insieme all’ISTAT l’altro ente del Governo italiano preposto alla gestione dei dati anagrafici riguardanti la popolazione è l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) che fa capo al Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del Ministero dell’Interno. Oltre a questi due enti c’è il Sistema nazionale di sorveglianza della mortalità giornaliera (SISMG) che monitora in tempo reale il numero dei decessi giornalieri nella popolazione e segnala eccessi di mortalità al fine di attivare in tempi brevi interventi di risposta all’emergenza. Tuttavia il SISMG monitora soltanto 34 città italiane, che rappresentano solo il 20% della popolazione Italiana.

E nessuna, ripeto, nessuna di queste istituzioni ha finora fornito dei dati ufficiali e completi sul numero dei decessi avvenuti in Italia dal 1 gennaio 2020 ad oggi.

Quindi l’unica domanda che continuo a farmi é: da dove prendono i numeri dei decessi i giornali e i network tv?

A confondere ancora di più  il  quadro è  il  Decreto  legislativo 6  settembre  1989, n. 322, “Norme sul Sistema  statistico  nazionale e sulla riorganizzazione dell’ Istituto nazionale di statistica” che all’art.9 (disposizioni per la tutela del segreto statistico) prevede che in casi straordinari l’ISTAT può apporre il cd. segreto statistico.

In pratica ISTAT può rifiutarsi di fornire i dati raccolti e all’art. 8 dello stesso decreto “Segreto di ufficio degli addetti agli uffici di statistica” si sancisce che “Le norme in materia di segreto d’ufficio previste dal vigente ordinamento dell’impiego civile dello Stato si applicano a tutti gli addetti agli uffici di statistica”. Il che significa che se viene posto il segreto statistico ad alcuni dati, gli addetti agli uffici di statistica sono obbligati a non rivelarne l’esistenza al richiedente, ma possono fornirli solo ad un magistrato che ne faccia eventualmente richiesta.

Vediamo per quali finalità ISTAT può opporre il segreto sui dati raccolti. Al primo comma dell’articolo 9 del decreto si sancisce che i dati non possono essere esternati se non in forma aggregata, cioè i dati rappresentano una moltitudine di soggetti in modo che non si possa identificare i soggetti-oggetto dei dati. Quindi il comma serve a tutelare il diritto alla riservatezza e alla privacy.

Al secondo comma dell’art. 9 si ripete il contenuto del primo comma ma la sorpresa arriva al terzo comma che riporto integralmente:

In casi eccezionali, l’organo responsabile dell’amministrazione nella quale è inserito l’ufficio di statistica può, sentito il comitato di cui all’art. 17, chiedere al Presidente del Consiglio dei Ministri l’autorizzazione ad estendere il segreto statistico anche a dati aggregati.

Di conseguenza l’ISTAT può in casi eccezionali apporre il segreto alla pubblicazione dei dati in loro possesso, nonostante all’art. 10 del decreto “Accesso ai dati statistici” si sancisca che:

I dati elaborati nell’ambito delle rilevazioni statistiche comprese nel programma statistico nazionale sono patrimonio della collettività e vengono distribuiti per fini di studio e di ricerca a coloro che li richiedono secondo la disciplina del presente decreto, fermi restando i divieti di cui all’art. 9.

Ricapitolando: da una parte abbiamo il sistema dell’informazione dei mass media che crea allarmismo diffondendo dei dati che non hanno alcun riscontro demografico perché le istituzioni preposte non li hanno mai pubblicati. Dall’altra abbiamo le istituzioni come Istat e Ministero dell’Interno che non forniscono alcun dato ufficiale riguardo il numero dei decessi.

Se volessimo usare una metafora cinematografica, potremmo dire di essere dentro il film L’aereo più pazzo del mondo. Ma qui stiamo parlando della Pubblica Amministrazione che si rifiuta di fornire dati ufficiali riguardo il numero dei decessi di quello che sembra essere il peggiore caso di epidemia nella storia recente del nostro paese. Nel frattempo i media hanno generato uno stato di allarmismo senza il supporto di alcun dato demografico né giuridico. Dobbiamo infatti tenere presente che oltre al numero dei decessi ciò che manca è la certificazione della causa di morte, che è l’unico elemento giuridico in grado di identificare e quantificare la presenza di un’epidemia.

Questa riportata nell’immagine è la pagina 3 della circolare del Ministero della Salute con le Indicazioni emergenziali relative all’epidemia Covid 19 riguardanti il settore funebre, cimiteriale e di cremazione pubblicata il 1 aprile 2020.

imiteriale e di cremazione pubblicata il 1 aprile 2020.

E’ necessaria una riflessione sull’ambiguità del predicato verbale utilizzato dal Ministro della Salute: “non si dovrebbe procedere”. Che cosa significa esattamente? Che è sconsigliato o che è vietato? Un’ambiguità simile sull’operatività dello strumento che consentirebbe di qualificare e quantificare l’epidemia, non solo è incomprensibile ma significa che l’identificazione dell’epidemia non è rilevante, quindi studiare il virus non è un obiettivo del governo.

E allora ci sorgono subito due doimande:

  1. Perché mettere in allarme la popolazione se il virus non lo si vuole conoscere?
  2. Se le autopsie sono vietate, gli organi di informazione come fanno a identificare i decessi da Coronavirus?

Sapendo che secondo l’Unità Covid 19 dell’Università di Oxford i tamponi faringei sono inaffidabili, si deve per forza concludere che senza autopsia non hai la causa di morte e senza causa di morte non hai il dato necessario per qualificare e quantificare il fenomeno epidemico.

L’allarmismo di fantasia però non è prerogativa esclusiva della narrazione degli organi di informazione.

L’Istituto Superiore di Sanità inventa nuove categorie di soggetti

Il 6 aprile 2020 l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato un documento dal titolo “Survey nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie”.

La  fonte  dei  dati  dell’indagine è  costituita  da 2399  RSA (Residenze Sanitarie per Anziani) presenti in tutte  le  regioni italiane e le due province autonome, incluse nel sito dell’Osservatorio Demenze dell’ISS. Ad ognuno dei referenti di ogni singola RSA è stato inviato un questionario di 29 domande che indaga la situazione in corso a partire dal 1  febbraio  2020 e le procedure ed i comportamenti adottati per ridurre il rischio di contagio da COVID-19.

Queste strutture ospitano una popolazione complessiva di 44.457 degenti. Alle ore 9.00 del 6 aprile 2020 avevano risposto al questionario 577 strutture pari al 27% delle strutture contattate.

La maggior parte di queste 577 RSA scrutinate dall’Istituto Superiore di Sanità si trovano nelle regioni più colpite dalla presunta pandemia: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Toscana e Lazio.

Come potete verificare voi stessi, dai risultati dell’indagine riportata a pagina 9 del Survey, dal primo febbraio al 6 aprile 2020 su 3859 soggetti deceduti, soltanto 133 erano positivi al tampone del Coronavirus. Stiamo parlando di una percentuale di decessi per Coronavirus che è del 3.4%.

La cosa strana è che in questa pagina il compilatore identifica il dato dei 133 positivi al Coronavirus su 3859 decessi con una percentuale del 3,1%, mentre secondo il calcolo fatto da noi la percentuale dei deceduti da Covid 19 è più alta di quella calcolata dal compilatore, infatti 133 rappresenta il 3,4% di 3859.

Tuttavia l’aspetto narrativo più incredibile di questo racconto è che, se leggete il paragrafo a pagina 9 che riporto di seguito, il compilatore del Survey con un artificio narrativo vorrebbe estendere il dato dei decessi per Coronavirus includendo in modo palesemente forzato nella percentuale anche 1310 soggetti con sintomi simil-influenzali.

Il compilatore infatti tenta di aggregare al dato dei positivi al tampone anche coloro che avevano dei sintomi “simil-influenzali” facendo così arrivare la percentuale al 37% e creando nel contempo una nuova categoria epidemiologica: COVID 19 + sintomi influenzali.

Non potendo ovviamente mentire su un rapporto ufficiale, perché si tratterebbe di falso in atto pubblico (Art. 483 C.P), il compilatore aggiunge all’espressione “decessi di persone positive” la frase “o con manifestazioni simil-influenzali“.  Una specie di gioco delle tre carte in stile medico-sanitario.

Questa impostazione narrativa si ripete anche nella TABELLA 2 a pagina 11 del Survey dove, anche se è riportato il totale dei decessi per COVID 19, che ricordiamo essere di 133 su 3859, si cerca di creare una nuova categoria di insieme, aggregando il dato dei soggetti deceduti positivi al tampone con soggetti deceduti con sintomi simil-influenzali. Un impostazione che va bene per le commedie di Vanzina ma che in un racconto dal titolo “Survey nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie” è decisamente fuori luogo.

Come potete verificare voi stessi, nella Tabella 2 la categoria dei soggetti deceduti positivi al COVID 19 vieneunita a quelldei soggetti che avevano soltanto dei sintomi SIMIL-INFLUENZALI. Quello che manca in questa tabella è la percentuale di soggetti deceduti la cui causa di morte è stata accertata come dovuta esclusivamente a COVID 19. In pratica manca il dato più importante.

Teniamo presente che la definizione “sintomi simil-influenzali” significa che il soggetto in questione non soffre di uno stato influenzale ma accusa solamente dei sintomi che possono essere tosse, febbre, mal di gola o anche soltanto uno di questi.

Le percentuali elencate nella tabella si riferiscono perciò ad un insieme di soggetti che non ha alcuna ragion d’essere aggregata, perché questo insieme è composto lo ricordiamo da quei 133 soggetti positivi al Coronavirus e dai 1310 soggetti che presentavano dei sintomi simili all’influenza.

Quindi la domanda è: perché il compilatore nel calcolare la percentuale dei decessi per Covid 19 mette insieme soggetti risultati positivi al tampone con soggetti che avevano solo dei sintomi simil influenzali?

Comprendiamo l’intento del compilatore, nel voler “arricchire” il dato dei deceduti attribuendo alla categoria dei positivi da covid 19 anche chi aveva solo dei sintomi, ma stiamo parlando di un prestigioso Istituto di ricerca che si definisce “Superiore” e che lo ricordiamo, nasce nel 1931 su iniziativa della Fondazione Rockefeller.

Questo è lo stile narrativo con il quale l’Istituto Superiore di Sanità ci racconta questo film.

Dopo avere letto il rapporto ho contattato il dott. Graziano Onder dell’ISS al quale ho chiesto se fosse possibile avere la totalità dei dati contenuti nell’indagine. Il dott. Onder mi ha risposto che per avere i dati completi bisogna fare una richiesta scritta alla PRESIDENZA dell’ISS ma ha aggiunto: “Non è detto che questi le saranno forniti”.

Se il lettore fosse interessato a inoltrare la richiesta l’indirizzo email è presidenza@iss.it.

Questo per quanto riguarda il quadro narrativo che sono riuscito a ricostruire a livello nazionale.

Per la Regione Lombardia la trasparenza sui dati è “di intralcio”

A livello regionale il racconto diventa anche più straordinario e fantasioso e soprattutto si manifesta in aperta contraddizione rispetto alle informazioni allarmistiche diffuse dagli organi di informazione.

Partiamo dalla Lombardia che è stata la regione italiana apparentemente più colpita da questa  epidemia.

All’inizio del mese di aprile 2020, la redazione di Altreconomia, mensile di Economia indipendente, ha inoltrato richiesta di accesso civico alle Agenzie di Tutela della Salute (ATS) e alle Aziende Socio Sanitarie Territoriali (ASST) lombarde (link all’articolo).

Le Agenzie di Tutela della Salute (ATS), istituite nel 2015 in sostituzione delle precedenti Aziende Sanitarie Locali (ASL), sono otto e sono distribuite su tutto il territorio della Lombardia e delle sue undici province e della Città metropolitana di Milano.

L’Accesso civico (semplice o generalizzato) consente a chiunque di accedere a dati, documenti e informazioni delle pubbliche amministrazioni senza necessità di dimostrare un interesse qualificato (Art. 5, D.Lgs. 33/2013). I dati richiesti riguardavano i decessi negli ospedali e nelle RSA e i contagi del personale sanitario, inclusi i medici di base, informazioni decisive che la Regione dovrebbe avere in mano da tempo e in continuo aggiornamento. A nemmeno una settimana lavorativa dal protocollo delle istanze, avevano già risposto alla richiesta ben sei ATS su otto: Bergamo, Brescia, Brianza, Insubria, Pavia e Val Padana e la risposta è stata la stessa da parte di tutte e sei:

Tutto il personale, non solo sanitario ma anche tecnico e amministrativo è occupato nella gestione dell’epidemia che ha particolarmente colpito il territorio di afferenza della nostra ATS”.

Massimo Giupponi direttore dell’Agenzia di Tutela della Salute di Bergamo ha inoltre aggiunto: “richiedendo l’elaborazione di una mole considerevole di dati, allo stato non aggregati stante il quadro aziendale sopra descritto, non può essere evasa. E per aziende e agenzie già così provate dall’eccezionalità una richiesta di dati -teoricamente già raccolti e aggregati- non sarebbe pertanto compatibile con la necessità di assicurare il buon andamento delle strutture. Di più: si tratterebbe di nocumento sull’efficienza dell’Amministrazione nonché causa di intralcio”.

Quindi secondo il Direttore dell’Agenzia di Tutela della Salute di Bergamo fornire i dati dei decessi e dei contagi in Lombardia sarebbe “causa di intralcio” al buon andamento dell’amministrazione.

A fronte di questo diniego totale da parte della Regione Lombardia di fornire i dati sui decessi riguardanti l’epidemia in corso, gli organi di informazione hanno continuato e continuano tuttora a sfornare dati allarmistici sul contagio, dati che lo ricordiamo non sono confermati da nessuna istituzione sanitaria né preposta al controllo demografico o all’elaborazione statistica.

La fonte principale degli organi di informazione sono i bollettini giornalieri forniti dalla Protezione Civile e sono dati che mancano di quegli elementi strutturali fondamentali di cui vi ho parlato all’inizio di questa analisi e cioè la finestra temporale e l’area geografica di riferimento e ovviamente la mancanza di referto autoptico che accerta la causa di morte.. Ad ogni modo gli organi di informazione, senza alcun riferimento temporale né geografico, si sono sbizzarriti ad elaborare i dati con modalità artistiche e stravaganti.

Il corriere della Sera ci invita a scoprire il numero delle vittime con un indovinello!

Adesso vi invito ad esaminare insieme a me questo breve ma significativo articolo riassuntivo della situazione epidemica nella provincia di Bergamo, pubblicato dal Corriere della Sera il 1 aprile 2020 data simbolica e significativa.

La premessa di cui bisogna tenere conto nell’analisi di questa narrazione è che la Regione Lombardia per mezzo delle Agenzie di Tutela della Salute non ha mai comunicato alcun dato ufficiale relativo né ai decessi né ai contagiati di Covid 19.

L’articolo, a firma di Armando Di Landro e Pietro Tosca per corriere.it pretende in sole 60 righe di descrivere la situazione di quella che, secondo gli organi di informazione, è stata l’area più colpita in Italia dall’epidemia di Coronavirus e nella stessa pagina è presente il famoso video del corteo funebre militare con i camion che escono dall’ospedale da campo bergamasco.

In questo clima di morte, e con una scenografia da film dell’orrore, i due giornalisti nel paragrafo “il metodo e l’esito” della lunghezza di 13 righe, pretendono non solo di spiegare al lettore la metodologia statistica con la quale si è calcolato l’impatto di questa tragedia che ha colpito centinaia di famiglie ma lo fanno utilizzando un indovinello:

“Presi, per esempio, i 121 mila abitanti di Bergamo e una differenza di 478 deceduti tra i residenti in città (erano 124 a marzo 2019 e sono stati 602 quest’anno), quanti sarebbero i morti in provincia se la popolazione cittadina fosse un campione in grado di rappresentare tutta la Bergamasca?”

A parte il cattivo gusto di utilizzare la forma dell’indovinello per informare il pubblico di una tragedia simile, la domanda sottesa all’indovinello è quantomeno lacunosa perché la campionatura in assenza della variabile temporale, mai comunicata dalla Regione, non ha alcun valore statistico. Inoltre riguardo i soggetti deceduti bisogna verificare su quanti di questi è stata fatta l’autopsia e sappiamo che il Ministero della Salute ha sconsigliato  l’esecuzione di autopsie sui malati da COVID 19.

Inoltre è evidente che la forma dell’indovinello e la complicatissima formula di calcolo statistico proposta dai due giornalisti ha il solo obiettivo di confondere il lettore che in uno stato di tensione come quello creato da immagini di camion militari che portano via dei feretri, non può essere in grado di rispondere a un indovinello simile, né tantomeno di fare calcoli astrusi come quelli proposti da questi due giornalisti. Quindi una domanda sorge spontanea: è possibile che questo articolo abbia un obiettivo diverso rispetto a quello di informare il pubblico?

Ritengo per dovere di cronaca ricordare qui la storica esortazione: «Pubblico, vogliamo parlarti chiaro» con cui esordiva il direttore e fondatore Eugenio Torelli Viollier il 5 marzo 1876, sul primo numero del Corriere della Sera. «L’enfasi ti lascia freddo e la violenza ti dà fastidio — continuava —. Vuoi che si dica pane al pane e non si faccia una trave d’una festuca».

2060, un numero ricorrente

Questo indovinello dell’orrore ha il pregio di rivelarci il metodo con il quale sono stati elaborati i dati sui decessi da Covid 19. Si tratta di una proiezione basata su una stima e come tale non è comprovata da alcun dato demografico, anche perché, come ha dichiarato il direttore dell’Agenzia di Tutela della Salute di Bergamo, Massimo Giupponi, la Regione Lombardia a tutt’oggi non ha rilasciato alcun dato ufficiale su contagi e decessi. Ma l’elemento più creativo, se non fosse tragico, è quel numero che ho evidenziato nell’immagine (2060 vittime). Secondo i due giornalisti del corriere il numero 2060 indica i decessi per Covid 19. Il dato, ancora una volta non è inserito in una finestra temporale perché anche se sappiamo che è il numero dei deceduti della provincia di Bergamo nel mese di Marzo, nell’articolo, la finestra temporale non viene citata. La cosa strana è che quel numero lo ritroviamo in un altra comunicazione ufficiale riportata dal quotidiano Repubblica in un articolo pubblicato due settimane prima:

Secondo Repubblica del 17 marzo, 2060 non è il numero di decessi per Coronavirus come riportato nell’articolo del Corriere, ma è il numero di persone ricoverate in terapia intensiva. Anche qui non c’è alcuna finestra temporale né geografica che ci possa aiutare a inquadrare il dato in uno spazio e in un periodo di tempo determinati.

Teniamo presente che i 2060 deceduti riportati dal Corriere sono secondo loro i soggetti deceduti per Coronavirus nella provincia di Bergamo nel mese di Marzo 2020. Mentre i 2060 indicati da Repubblica sono i pazienti Covid 19 ricoverati in terapia intensiva in tutta Italia.

Teniamo anche presente che la fonte citata da entrambi per entrambe le cifre è sempre la Protezione Civile. Tuttavia mentre per quanto riguarda la cifra della terapia intensiva il dato è riportato sul sito del Ministero della Salute del quale alleghiamo una schermata e che potete trovare quiInvece per quanto riguarda i 2060 deceduti della provincia di Bergamo la notizia non è reperibile su nessun sito del governo né della Regione Lombardia né in quello della Protezione Civile.

La domanda che ci dobbiamo porre a questo punto è la seguente: questi 2060 individui sono vittime decedute a causa del Coronavirus come raccontato dal Corriere della Sera, oppure sono pazienti in terapia intensiva come raccontato da Repubblica? O magari è semplicemente una coincidenza che il numero delle vittime e dei ricoverati in terapia intensiva sia esattamente lo stesso?

Ai fini della presente analisi la risposta non è rilevante perché ciò che tutti questi fatti dimostrano è che il principale obiettivo della narrazione degli organi di informazione non è quello di informare il pubblico. Il tema della narrazione seguito da tutti gli organi di informazione sembra piuttosto quello di disseminare notizie allarmanti non supportate dai dati.

E per farlo i media utilizzano dati che non sono comprovati da alcuna istituzione perché, come dichiarato da Massimo Giupponi, direttore dell’Agenzia di Tutela della Salute di Bergamo, “fornire i dati sarebbe causa di intralcio al buon andamento della pubblica amministrazione”.

La cosa veramente paradossale è che la Regione Lombardia mentre da una parte si rifiuta di fornire i dati sull’epidemia, dall’altra ci comunica che la situazione è allarmante.

Il presidente della Regione Lombardia Fontana, dall’inizio dell’emergenza Coronavirus non si è mai tolto la mascherina. Dal punto di vista narrativo il messaggio è eloquente: c’è pericolo.

In questo articolo di Rai News l’assessore al Welfare della regione Lombardia Giulio Gallera afferma che “i dati non consentono di rilassarci”.

La dichiarazione di Gallera a RAI NEWS è un esempio scolastico di schizofrenia. In pratica i dati ufficialmente non sono disponibili ma nel contempo li danno. E sono ovviamente dati allarmanti.

I deceduti sono 10.511 con 273 nuovi decessi mentre ieri c’era stata una crescita di 216.

Questi dati mancano dei parametri necessari e fondamentali ai fini statistici. Infatti non si inquadrano in una finestra spazio temporale e soprattutto non sono supportati da un racconto sui referti autoptici. Ergo è una narrazione di fantasia.

Quindi da una parte la Regione Lombardia nega agli organi di informazione che ne fanno richiesta l’accesso ai dati inquadrati in un’area geografica e un periodo di tempo determinati. Dall’altro lascia tutti liberi, compresi loro stessi, di sparare qualsiasi cifra perché la regola è sempre quella di creare allarme e paura.

Il caso incredibile di Firenze

In altre parti d’Italia però qualcuno i dati sui decessi del primo trimestre del 2020 è riuscito ad averli, quantomeno quelli a livello comunale. L’8 aprile 2020 la giornalista Paola Fichera de La Nazione di Firenze è riuscita ad ottenere dallo stato civile del comune di Firenze i dati sui decessi del primo trimestre 2020. Nel comune di Firenze nel periodo tra Gennaio e Marzo 2020 sono decedute 1746 persone (Fonte: La Nazione Comune di Firenze)  Nel 2019, nello stesso periodo, i decessi registrati dallo Stato civile sono stati 1777 (Fonte: La Nazione Comune di Firenze)

Perciò nei primi tre mesi del 2020 a Firenze sono morte meno persone che nello stesso periodo dell’anno scorso. I numeri fotografano 31 morti in meno rispetto al 2019.

Vogliamo chiudere con un messaggio emblematico del Ministero della Salute che sembra voler riassumere la nostra analisi con parole che non non avremmo saputo scegliere meglio.

Sapendo che le autopsie sono sconsigliate dal Ministero della Salute e quindi non vengono eseguite, ci piacerebbe sapere dall’Istituto Superiore di Sanità in che modo la causa di morte delle vittime da Covid sarà accertata.

Conclusioni

In conclusione, quello che l’analisi narrativa ci ha permesso di constatare finora sono questi quattro elementi fattuali incontrovertibili:

1) La regione Lombardia si rifiuta di comunicare i dati ufficiali sui decessi agli organi di informazione perché la trasparenza sarebbe “di intralcio” all’efficienza dell’amministrazione, allo stesso tempo diffonde dei dati che non si inquadrano in nessuna area geografica né in una finestra spazio temporale e non sono supportati da referti autoptici, quindi si tratta di dati giuridicamente non comprovati che mirano esclusivamente a creare allarme ingiustificato;

2) L’ISTAT per la prima volta si rifiuta di comunicare i dati sui decessi del primo trimestre dell’anno in corso; in compenso l’ISTAT fornisce una selezione di 1084 comuni che non è sufficiente a qualificare e quantificare la situazione epidemica ma è più che sufficiente al fine di creare allarmismo.

3) L’Istituto Superiore di Sanità aggrega ai soggetti positivi soggetti che manifestavano soltanto sintomi simil influenzali, gonfiando così le percentuali;

4) I media sono totalmente liberi di diffondere dati non comprovati o addirittura inventati perché tanto nessuna istituzione ha rilasciato dati ufficiali sui decessi che siano giuridicamente comprovati come causati da COVID 19, in quanto le autopsie non si devono fare per ordine del Ministro della Salute.

Sulla base del film fin qui narrato, ci auguriamo che il lettore sia adesso in grado di rispondere alla domanda che è stata posta all’inizio di questa analisi narrativa.

Per quanto riguarda il Governo Italiano e la Regione Lombardia che sono i registi e produttori di questa commedia horror, ci dovrebbero rivelare quello che in sceneggiatura viene definito “l’antagonista” cioè chi è il nemico.

Dalla storia finora raccontata, ancora non è chiaro se il nemico è

1) Questo virus del quale però non si può parlare perché la Regione Lombardia e l’ISTAT si rifiutano di comunicare i dati in loro possesso,

2) Se il nemico siamo noi cittadini inermi

3) Oppure se il nemico è chi ci costringe a stare agli arresti domiciliari senza alcuna giustificazione giuridicamente accertabile.

A voi la scelta!

Fonte: https://www.oltre.tv/dati-del-covid-19-horror-vanzina/

ringraziamo Cesare Sacchetti e il suo blog

I PERCHÉ DELLA CRISI DELL’ARTE:VIVERE SENZA UN’URGENZA INTERIORE

L’urgenza interiore è ciò che rende l’uomo e una comunità capaci di grandi azioni, di sacrificio per un ideale. L’arte vive la sua crisi anche perché manca un fermento che solo da tale urgenza può nascere. Terminiamo così la nostra riflessione sulla crisi dell’arte, inquadrando meglio quali “specialissimi” tempi stiamo vivendo.

Per completare la nostra riflessione sulla crisi dell’arte, che è ovviamente parte della crisi dell’intera società, dobbiamo inquadrare meglio e più a fondo l’era che stiamo attraversando, e cosa essa ci stia dicendo. Ma è necessaria la disponibilità ad uscire dalla cornice mentale che crediamo scontata.

Che tempi sono dunque questi che stiamo vivendo? Meglio ancora: quale il significato di questi tempi?Credere che la Storia sia linguaggio che parli agli uomini, e che dunque essi siano chiamati a dipanarne il discorso fatto di segni è certamente qualcosa che è stato espunto dall’orizzonte dell’uomo della modernità. E il materialismo, si faccia bene attenzione, ha inizio dal regno della conoscenza.

Osserviamo anche solo questi ultimissimi anni, a partire dall’esplodere della cosiddetta “pandemia”, con tutto ciò che ne è conseguito ben oltre la specifica questione sanitaria, per poi passare ai conflitti in Ucraina e in Palestina. Noteremo che ogni aspetto della società interna – giustizia, lavoro, economia, istruzione, cultura, ecc. – come di quella globale, ovvero degli equilibri internazionali ci parla dell’approssimarsi di una fine. Ci parla di una crisi che non è circoscritta ad alcune aree, ad alcuni livelli, ad alcuni gruppi, ma è strutturale e quindi terminale. Ci parla di un’accelerazione che non può essere semplicemente arrestata, cambiando la guida del veicolo. Qui, ancora, restando sul piano dell’osservazione sociologica e politica.

La Sapienza Tradizionale, che è guida in tutte le nostre riflessioni, non solo conferma puntuale, ma specifica assai meglio il significato di questa Fine e del Nuovo Principio. Non si tratta affatto della fine del mondo, quanto la fine di un ciclo umano-terrestre che comporterà la trasformazione di tutte le forme dell’attuale società e dell’uomo stesso, così come siamo abituati oggi a considerarlo. Perché ogni fine comporta sempre la Restaurazione originaria. E l’attraversamento da un ciclo al successivo non potrà avvenire senza grandi sconvolgimenti, di cui quelli appena trascorsi sono solo le prime avvisaglie.

Di tutto ciò, cosa vedono gli uomini, anche quelli che si definiscono antagonisti rispetto al potere attuale? Alcuni, pochissimi in verità, riconoscono i segni di questa fine ma con l’ingenuità di chi si illude che il passaggio al “dopo” avverrà con poche scosse. Tutti gli altri, in fondo a se stessi, forse la scorgono, ma oppongono una feroce resistenza al portare tale consapevolezza in superficie. Qui bisogna riconoscere che si è davanti ad un’altra suggestioneper certi versi perfino più subdola e profonda di quella generata dalle élites al potere. La suggestione in cui l’intelletto si culla in un dolce sonno trae la sua forza dal voler a tutti costi restare aggrappati a “questa vita”, a “questo mondo”. Nel voler credere che tutto il male e le storture che vediamo non ci chiamino in causa anche in prima persona. Nel voler sperare di poter tornare in una certa misura ad un’idea di mondo che crediamo “normale”. E così oscilliamo tra una “superiore indifferenza” che ci fa attendere la semplice caduta dei potenti e un’agitazione di chi sa essere solo “contro”.

Se invece vincessimo la nostra resistenza e ci aprissimo anche a ciò che la Tradizione ha da insegnare, comprenderemmo come tutto quanto sta accadendo, oltre la coltre di soprusi, ingiustizie, accecamenti della ragione, ha un suo valore superiore: è permessa e prevista dall’Alto, è quindi provvidenziale. Perché solo attraverso il crollo rovinoso di un’idea di mondo e di uomo, si potrà accedere al nuovo ciclo, dove tutto, lo ripetiamo ancora, sarà rinnovato.

Cosa fare allora in questa fase che precede la dissoluzione e prepara una nuova rinascita? Restare semplicemente in attesa, in piedi fra le rovine? Niente affatto! I segni invitano all’opposto. E mano a mano che le prove aumenteranno nuovi segni appariranno sul cammino. Occorre divenire quel seme che poi farà nascere il fiore ed infine darà frutto, a suo tempo. Perché il linguaggio della Storia comunica quell’urgenza interiore che è espressione di un’anima viva. Invece, come già abbiamo detto, e come è facilissimo constatare, si sperimenta o l’inazione o l’essere inefficacemente antagonisti. Niente di tutto questo ha a che vedere con la Vita. La crisi dell’arte, quindi, come di ogni altra attività dell’uomo, soffre terribilmente anche dell’assenza di quel fermento che dovrebbe pervadere i nostri giorni. Un fermento che non deve affatto riguardare solo gli ambienti artistici, ma l’intera comunità.

In verità molti avvertono una profonda sofferenza per questo non-vivere. Basta non pensarci troppo o dirigere i propri sforzi contro un nemico facilmente identificabile. e tutto parrebbe risolversi, pensano. Ma la sofferenza in realtà rimane. Perché ogni vera sofferenza è una malattia spirituale e non psicologica. E deve essere riconosciuta e affrontata come tale. Diciamo di più: è un ulteriore segno di quest’era escatologica affinché le anime si destino dal sonno. Ecco che allora bisogna innanzitutto lasciarsi invadere dalla crisi, bisogna accettare di attraversare la notte dell’anima, perché solo chi ha visto prima crollare le sue certezze e ha benedetto questo crollo può cooperare alla chiamata. La crisi interiore è la porta verso una vita nuova. Quella a cui siamo tutti chiamati.

Nell’aria sempre più offuscata dalla polvere, dalle macerie di un edificio sociale e umano che deve crollare, bisogna dunque sin da ora iniziare a costruire, ad edificare con un’opera veramente Restauratrice. E quando per l’appunto le forme di un mondo si sciolgono e svaniscono dietro i veli che le avevano protette e rese appetibili ai nostri occhi, si deve prima di tutto agire fuori dai binari conosciuti, lontano dai percorsi istituzionali che sanno solo di morte. Binari e percorsi che non supereranno certo il crollo, vale la pena sottolinearlo. L’arte più di ogni altro ambito ha bisogno e urgenza di percorrere queste nuove traiettorie. E si può costruire solamente se rinasce in noi il senso della comunità, in cui ciascuno mette a disposizione tutto ciò che ha, e tutto ciò che è. Perché il Bene non lo si compie per una ricompensa, per un tornaconto, e nemmeno in virtù di un equo scambio, ma per una Voce interiore a cui non si può che obbedire. E se serve lo si compie anche a costo della vita.

Viene allora in mente la costruzione delle cattedrali medievali, dove un’intera comunità si univa per qualcosa che era segno stesso di quella comunità, meraviglie dell’arte e dello spirito che molti non sarebbero nemmeno riusciti a vedere terminate. Al di là del valore ovviamente religioso di tali opere, è importante per noi coglierne il significato profondo che deve essere esteso a ciascuna azione che dobbiamo mettere in campo oggi, anche nell’arte. Vi era un’urgenza interiore in quegli uomini, uno slancio, un senso del sacrificio e un sentirsi parte di qualcosa che trascendeva l’individuo, la comunità appunto, che sono proprio le caratteristiche che dovrebbero contraddistinguere questa nostra cavalcata tra le macerie.

Leggiamo alcuni racconti dell’epoca davvero illuminanti. «Ciascuno, per come poteva, dava il proprio contributo per quest’impresa comune: principi, mercanti che lasciavano le loro ingenti fortune, uomini d’arme, ma anche prostitute, strozzini, briganti, che al termine dei loro giri notturni versavano parte dei loro guadagni, oppure, perlopiù, gente comune che lasciava le proprie modeste offerte. Furono le piccole offerte, donate dalla popolazione meno abbiente, la parte più cospicua delle entrate per l’edificazione, ad esempio, della cattedrale milanese», ci riporta Martina Saltamacchia.

E Daniel Rops nella sua Storia della Chiesa trascrive questo brano di un documento relativo alla costruzione della cattedrale di Chartres: «Si vedevano uomini vigorosi, orgogliosi della loro nobile nascita e delle loro ricchezze, e abituati ad una vita di ozio, attaccarsi con corde a un grosso carro e trascinare pietre, calce, legno e tutti i materiali necessari».

Riportiamo tutto al presente. Per cosa ancora saremmo capaci di sacrificare il nostro tempo, la nostra intelligenza, le nostre forze, le nostre ricchezze? Per assai poche cose. E l’arte e la cultura sono fra queste poche?

La bellezza dell’arte per sprigionarsi anche e più in questi anni tumultuosi ha bisogno solo di una comunità di uomini come quelli sopra descritti, e forse anche di più. Ha bisogno di uomini capaci di incarnare la loro dimensione spirituale e non di imbellettarsi con un po’ di moralismo inutile. Di uomini che non hanno terrore di questa fine, ma anzi, dall’averla compresa in profondità, traggono tutta la loro energia, il loro slancio interiore. Come mai sarebbe stato possibile prima.

Solo ciò che è puro, bello e vero supererà la dissoluzione. E non potrà che essere traghettato oltre la soglia da uomini che a loro volta saranno stati purificati col fuoco, avranno costruito bellezza, operato per la giustizia e saranno stati testimoni credibili della verità. L’ora è tarda, ma già i primi bagliori dell’alba si possono intuire in fondo alla notte. La chiamata è rivolta a tutti noi. Terribili non sono tanto le prove a cui saremo posti di fronte, quanto l’esito di non aver assecondato la chiamata. Come ripetono 366 volte le Scritture: «non temete».

Massimo Selis

Fonte

Il caffè protegge da alcune malattie del fegato e dal diabete di tipo 2

Il caffè è la seconda bevanda più consumata al mondo dopo il tè (e dopo l’acqua ovviamente), su cui esiste un’ampia letteratura scientifica che attribuisce numerose proprietà salutistiche, incluse quelle di ridurrel’infiammazione epatica e lo sviluppo del Diabete tipo 2. Riducendo questi due fattori, si abbassa al contempo anche il rischio di contrarre diverse altre malattie dato che sia l’infiammazione del fegato che il diabete tipo 2 sono precursori di problemi ancora più gravinell’organismo. 

Oltre la caffeina: cosa c’è dentro al caffè

Il segreto delle proprietà nutraceutiche del caffè non risiede però nella sostanza più conosciuta da tutti, la caffeina. I benefici della bevanda sono invece attribuiti ai numerosi composti vegetali antiossidanti e antinfiammatori presenti nel caffè come l’acido clorogenico, il cafestolo e il caveolo ai quali si riconoscono anche funzioni antitumorali. Al contrario, la caffeina, il principio attivo del caffè a livello del sistema nervoso, sembrerebbe incidere poco in tal senso, dal momento che anche chi beve caffè decaffeinato trae sostanzialmente gli stessi benefici di chi lo beve nella sua versione naturale. Tali evidenze sono state confermate anche da un recente studio nel Regno Unito che ha stabilito un collegamento tra il consumo di caffè e un fegato più sano.

In questa indagine scientifica i ricercatori si sono basati sui dati relativi a un vastissimo campione di 494 mila persone circa, raccolti nella Biobank, una grande indagine nazionale sulla salute della popolazione britannica. I partecipanti sono stati interrogati, tra gli altri, su quanto e quale caffè – decaffeinato, istantaneo, macinato o altro – consumassero. Gli individui sono stati seguiti mediamente per un decennio e i dati sulle abitudini legate al caffè sono stati incrociati con quelli concernenti l’insorgere o meno di malattie al fegato come la steatosi, il carcinoma del fegato, epatiti e cirrosi epatica. Gli studiosi hanno così stabilito che circa il 78% dei partecipanti consumasse mediamente due tazzine di caffè al giorno. Rispetto ai non bevitori di caffè, i bevitori di caffè avevano rischi ridotti rispettivamente del 21% di patologie croniche del fegato e del 49%di morire per malattie del fegato inclusi i tumori (epatocarcinoma). Ciò è stato rilevato indipendentemente dal tipo di caffè consumato, fosse esso solubile, macinato o decaffeinato. Questo studio non è di certo una voce isolata nella letteratura scientifica e anzi concorda con precedenti studi che generalmente riportano associazioni inverse tra consumo di caffè ed esiti di patologia cronica del fegato, inclusi gli enzimi epatici alteratifibrosicirrosi, e tumori al fegato. Effetti protettivi del caffè sono stati inoltre registrati in pazienti che avevano contratto un’epatite C di tipo virale.

Il consumo di caffè offre dunque un vasto effetto protettivo su diversi tipi di patologie. Via libera dunque a qualche tazzina al giorno di espresso o moka considerando che l’effetto protettivo di questa millenaria bevanda è stato accertato oltre che per il fegato anche per cervello, cuore e stomaco, in aggiunta alle proprietà di prevenzione dal rischio di diabete e cancro. Espresso, alla moka, americano, alla turca. Ognuno beve il caffè che preferisce e, contrariamente a quanto si possa pensare, l’italianissimo espresso non è nemmeno il più forte e concentrato in caffeina e altre sostanze antiossidanti, dal momento che una tazzina contiene mediamente 25-35 ml di caffè a fronte dei circa 50 ml di quello preparato in casa con la moka e dei circa 200-250 ml dei “bibitoni” in tazza grande in stile americano e tedesco.

Il caffè protegge anche dal Diabete di tipo 2

Consumare regolarmente tè e caffè puòridurre il rischio di contrarre il diabete di tipo 2. Lo attesta un recente studio giapponese che si aggiunge alla già ampia letteratura scientifica relativa all’efficacia degli antiossidanti presenti in queste bevande nel contrastare l’eccesso di glucosio nel sangue. In questo studio si è documentato un miglioramento significativo dei parametri della glicemia e dell’insulina dopo i pasti nelle persone che assumevano una bevanda apposita contenente alcune delle sostanze presenti nel caffè e nel tè.

L’effetto protettivo, in particolare, è stato attribuito dai ricercatori ad alcune sostanze specifiche caratterizzanti del caffè e del tè: le catechine (i polifenoli antiossidanti del tè) l’acido clorogenico(presente nel caffè) e la caffeina(presente nel caffè e anche nel tè sotto forma di teina).

E’ importante conoscere meglio queste sostanze, anche se in estrema sintesi, in quanto si tratta di preziosi alleati di salute che possiamo ritrovare (strategicamente e consapevolmente) anche in alcuni altri alimenti, oltre al caffè e al tè. Le catechine sono composti polifenolici, appartenenti alla categoria dei flavonoidi, che si trovano nel tè, nel cacao e nei frutti di bosco. Presenti soprattutto nel tè, in particolare in quello verde, le catechine esercitano una forte azione antiossidante contro i radicali liberi, riducendo il rischio non solo di diabete, ma anche di malattie cardiovascolari, epatiche e neurodegenerative. 

Appartiene alla famiglia dei polifenoli antiossidanti anche l’acido clorogenicopresente nel caffè, nelle mele e nei frutti di bosco. Oltre che per la capacità di rallentare l’assorbimento di zucchero nel sangue, questa sostanza si distingue per spegnere l’infiammazione, elemento chiave per lo sviluppo di tutte le malattie croniche, diabete incluso.

Chi non dovrebbe bere o limitare il caffeina

Il caffè è invece controindicato in chi soffre di gastrite, ulcera peptica e dispepsia, per il suo effetto di stimolo sulla produzione di acido cloridrico. Inoltre, va evitato in presenza di aritmie, pressione alta non controllata farmacologicamente e tachicardia, perché può causare transitorie accelerazioni del battito cardiaco. Per la stessa ragione non è adatto agli ansiosi. Non dimentichiamo poi che, essendo uno stimolante, può peggiorare i sintomi dell’insonnia. Poiché la caffeina passa attraverso la placenta, il caffè va assolutamente evitato in gravidanza per i possibili effetti nocivi sul feto. 

Gianpaolo Usai

Fonte L’Indipendente

ORA BIDEN DICE DI CONSIDERARE L’ARCHIVIAZIONE DEL PROCESSO AD ASSANGE

Il presidente Joe Biden ha affermato che la sua amministrazione sta valutando se accogliere o meno la richiesta del governo australiano di porre fine al processo durato anni nei confronti del fondatore di WikiLeaks Julian Assange, che attualmente sta combattendo l’estradizione dal Regno Unito dopo anni di detenzione nel Regno Unito.

Il mese scorso, la camera bassa del parlamento australiano ha votato per approvare una misura che chiede ufficialmente agli Stati Uniti di archiviare il caso contro Assange, la cui organizzazione è stata descritta dai funzionari statunitensi come un’entità di “intelligence non statale ostile” che ha aiutato la Russia a interferire nelle elezioni del 2016 per conto dell’ex presidente Donald Trump. A Biden è stato chiesto in merito alla richiesta australiana mentre incontrava mercoledì il primo ministro giapponese Fumio Kishida alla Casa Bianca. Biden ha risposto: “Ci stiamo pensando”.

Fonte: The Independent

Draghi, l’esilio a Milano e il declino politico

di Cesare Sacchetti

Soltanto 3 anni fa veniva accolto come una sorta di “salvatore” dalla stampa italiana e dalla decadente classe politica della Seconda Repubblica.

Tutti si prostravano ai suoi piedi, convinti forse che Mario Draghi sarebbe stato l’uomo ideale per trascinare l’Italia nell’ultimo girone infernale del famigerato Nuovo Ordine Mondiale.

La politica non si nascondeva nemmeno troppo. Personaggi come Luca Zaia, governatore del Veneto, affermavano esplicitamente che il mondo delle vaccinazioni di massa era il mondo del Nuovo Ordine Mondiale e ciò, per chi ha ormai famigliarità con questo blog, non dovrebbe suscitare alcuna sorpresa.

La politica italiana nel recinto dell’anglosfera e del golpe di Mani Pulite del 1992 altro non è che una protesi di potentati esteri e di logge massoniche.

Ciò spiega le persecuzioni di massa del biennio 2020-2022. Ciò spiega quel fiume di dpcm illegali che imponevano restrizioni alla libertà personale e ciò spiega anche i certificati verdi obbligatori imposti dal successore di Conte, Draghi per l’appunto, che avrebbe dovuto portare a termine il lungo assalto più che cinquantennale contro l’Italia.

C’è una guerra del mondo massonico contro questo Paese poiché esso rappresenta tutto ciò che la religione illuminista dei diritti umani vuole cancellare.

L’Italia è la sede della cristianità mondiale. L’Italia è Roma e la sua sorella, la Grecia, altro Paese che ha subito feroci attacchi da parte dell’alta finanza anglosionista e che, come l’Italia, è stata tradita dalla “sua” infame classe politica comprata dai centri finanziari di Londra e New York.

Questo spiega l’odio profondo e viscerale di questi ambienti contro l’Italia che a differenza di quello che pensa qualche sciocco affetto dal morbo dell’autorazzismo è un Paese speciale e unico come nessun altro al mondo.

Draghi era l’uomo che doveva portare a termine il saccheggio. Era colui il quale avrebbe dovuto trascinare l’Italia nel cosiddetto Grande Reset.

Pochi profili hanno tradito l’Italia come lo ha fatto Draghi che iniziò a tramare contro il “suo” Paese già nel lontano 1992 quando salì sul panfilo della regina Elisabetta, altro pezzo fondamentale perduto dalla gerarchia globalista, e liquidò, ancora oggi non si sa autorizzato da chi, tutti i gioielli pubblici dell’industria italiana che erano un vanto nel mondo intero.

La politica, ancora una volta, stese il tappeto rosso al sicario prediletto da Londra e New York e iniziò uno dei periodi più bui della storia italiana.

Gli italiani non vaccinati venivano messi alla porta esattamente come accadeva ai tempi del nazismo per gli ebrei, consegnati dalla lobby sionista nelle mani del fuhrer.

Il paradosso del liberalismo, o meglio tutta la sua ipocrisia, è emerso alla luce di colpo e questo sistema politico ha rivelato di essere la più repressiva delle dittature e la più parassitaria poiché a beneficiare di tale status quo è soltanto un manipolo di oligarchi con le loro corrotte coorti politiche.

Nel 2022 qualcosa però si ruppe. Nei ranghi della politica si iniziava a comprendere che non era più possibile proseguire con la repressione.

Non era più possibile avanzare verso il Grande Reset in quanto gli equilibri mondiali non lo permettevano.

L’operazione terroristica del coronavirus era già fallita in molti Paesi e l’opposizione di Paesi quali la Russia e i BRICS assieme al disimpegno americano rendeva impossibile erigere la società voluta dalla famiglia Rockefeller.

Draghi stesso probabilmente lo intuì e chiese di essere trasferito al Quirinale come “ricompensa” per il lavoro svolto.

Draghi, oltre ad attuare il programma vaccinale, spostò l’asse della geopolitica italiana verso Parigi attraverso il trattato del Quirinale che ha consegnato l’Italia nella sfera coloniale francese che si sta comunque disgregando per la decolonizzazione in corso in Africa attuata attraverso l’indispensabile contributo della Russia.

Il passaggio di consegne da Conte a Draghi è servito anche a questo in quanto Conte era troppo vicino al partito comunista cinese, nemmeno a Xi Jinping, e le élite Occidentali volevano che invece l’Italia fosse saldamente riposizionata sotto l’egida dell’establishment francese.

A questo è servito il cambio da Conte a Draghi e non certo perché il secondo era diventato “sovranista” come una campagna di disinformazione a dir poco indecente orchestrata da canali Telegram a libro paga dei servizi e da ambienti vicini alla Lega hanno provato a far credere.

Nel gennaio del 2022, come si diceva, gli equilibri si spezzano. Draghi chiede di andar via, e la politica preferisce lasciarlo lì dov’è perché un parafulmine in fondo fa comodo a tutti e la classe politica italiana non può ritornare nella cabina di regia di palazzo Chigi dopo aver perseguitato gli italiani per più di due anni e passa.

La riluttanza della Meloni a voler governare si spiega anche per questa ragione. La poltrona di palazzo Chigi scotta troppo e non ci si vuole mettere a sedere nessuno.

Chi può sedersi lì e portare avanti un piano che ormai è fallito? Nessuno, e oggi si assiste al vuoto governativo della Meloni che già guarda a Bruxelles per le stesse ragioni per le quali Draghi abbandonò la nave che imbarcava acqua.

Il divorzio tra Draghi e la politica non è stato però placido. E’ stato amaro e pieno di risentimenti e di messaggi nemmeno troppo velati che piovono reciprocamente.

Quando ha lasciato, l’uomo del Britannia ha iniziato instancabilmente a cercare un altro incarico non tanto, crediamo noi, per ragioni pecuniarie ma per questioni di immunità in quanto Draghi è stato l’uomo che nel 2021-2022 ha calpestato, assieme ai partiti che lo assistevano, un considerevole numero di leggi.

Ogni porta però era chiusa. Ha provato alla NATO ma lì la partita nemmeno è iniziata perché gli Stati Uniti si sono allontanati dall’organizzazione e sono in procinto di lasciarla con il ritorno ufficiale di Trump.

Ha provato alla Commissione europea e alla BCE, dove è già stato, ma anche lì ogni porta è rimasta saldamente chiusa.

Nemmeno una campagna stampa chiaramente fatta su commissione ha spostato nulla per l’ex presidente della BCE.

La realtà è semplicemente una sola. Draghi è finito e non serve più al mondo che lui ha servito per così tanti anni.

Quei “velati messaggi” di Draghi alla politica

Adesso si sente parlare nuovamente di lui in un articolo del Foglio che ha ricevuto molto poca attenzione e al quale gli altri media nemmeno hanno prestato troppa attenzione.

Draghi non vive più a Roma. Ha lasciato la sua storica casa di viale Bruno Buozzi per andarsene a Milano e questo suscita certamente sorpresa perché Draghi non ha mai vissuto in pianta stabile da quelle parti.

L’ex premier gravitava attorno a Roma, Anzio e la casa di Città della Pieve che no, non è stata quasi certamente incendiata come ha voluto far credere qualche disinformatore intento a raccontare la storiella del Draghi “pericoloso per il sistema”.

Questo trasferimento a Milano ha il sapore di un “esilio”. Sono interessanti soprattutto i messaggi che manda la moglie, Serenella, che raramente parla alla stampa e che in questa occasione afferma che la politica “teme Draghi”.

Come si è giunti a questo punto? Soltanto due anni erano tutti lì adoranti alla corte dell’uomo del Britannia e ora gli stessi servi lo temono.

Chissà che Draghi forse non sia pronto a dire qualcosa su quanto fatto e visto a palazzo Chigi ai tempi del suo governo che potrebbe inguaiare la già molto inguaiata classe politica italiana.

C’è come un sapore di vendetta nelle parole di Serenella che afferma anche che il Quirinale era il grande cruccio di suo marito.

L’ex presidente del Consiglio non ha ancora digerito quel tradimento. Non ha ancora digerito di essere stato abbandonato da quegli ambienti massonici che lo hanno spinto al governo e che poi lo hanno lasciato al suo destino pur di salvare loro stessi.

Ormai in questa fase di crollo del sistema politico italiano ognuno pensa a salvare sé stesso e già si vede l’escalation della guerra tra bande in corso nella politica.

In Puglia si assiste ad una serie di inchieste incrociate che vedono prima colpire la giunta comunale di Decaro a Bari e poi quella regionale di Emiliano in quello che sembra essere chiaramente un botta e risposta tra correnti dello stesso mondo che si fanno la guerra.

Quando crollano i regimi, ci sono strane morti, inchieste ad orologeria e fughe improvvise all’estero e alcuni di questi elementi già li vediamo.

Ancora oggi non è nota la causa di morte di Bruno Astorre, senatore del PD, e ancora non sono state nemmeno mostrate le immagini che lo avrebbero immortalato nel suo presunto suicidio nonostante il palazzo dal quale si sarebbe gettato, nel cuore del centro storico di Roma, è uno dei luoghi più sorvegliati di Roma.

Non si sa nemmeno cosa è accaduto alla poliziotta uccisa, sempre a Roma, in servizio a Montecitorio e la versione che è stata raccontata dai media, quella di un delitto passionale commesso da un solitario, è stata smentita dai testimoni che parlavano di due uomini, uno dei quali un poliziotto, presenti sul luogo dove è stato attuato un vero e proprio omicidio su commissione.

L’aria è di dismissione generale e quei messaggi della moglie di Draghi fanno presagire qualche altro possibile colpo di scena in futuro.

Sono gli ultimi giorni di Pompei non solo della Seconda Repubblica ma con ogni probabilità della stessa Repubblica dell’anglosfera che difficilmente potrà sopravvivere alla chiusura degli equilibri del 1945.

Adesso è la fase delle vendette incrociate. Adesso è la fase dove i servi rimasti senza padroni si assaltano con ferocia pur di mettersi in salvo.

Chi avrebbe mai ipotizzato tutto questo tre anni fa? In pochissimi e noi eravamo tra quelli non per qualche misteriosa dote taumaturgica ma semplicemente perché erano già venute meno le condizioni politiche per il piano globalista, come ebbe a costatare con amarezza nel 2022 lo stesso Massimo D’Alema.

Saranno mesi arroventati soprattutto dopo le europee. Un’epoca si sta chiudendo e ne inizierà presto un’altra.

Altre teste pesanti molto presto rotoleranno.

Cesare Sacchetti

fonte

Economia: il multipolare

Mentre le Banche Centrali dello Stato Profondo, continuavano a fallire a causa delle loro valute fiat, i Globalisti cercavano freneticamente di mantenere tutto intatto sviluppando un sistema di valuta fiat digitale CBDC non basato su asset che avrebbe controllato completamente la vostra vita – dicendovi, per esempio, dove e se potevate comprare cibo a seconda del vostro Punteggio di Credito Sociale – una formula basata sulla vostra devozione alla loro Agenda di Sinistra.

Nel frattempo, le valute sovrane delle nazioni BRICS, sostenute dall’oro e dagli asset del Movimento Q, dovevano essere implementate dopo la “Domenica di Pasqua dei Nuovi Inizi”, lunedì 1° Aprile. Tutte le nazioni qualificate del mondo (il che significa che non parteciperanno alla guerra) avevano le loro valute sostenute dall’oro/dai beni che, attraverso questo Reset valutario globale, avevano un valore di 1:1 l’una con l’altra. Insieme al nuovo Sistema Finanziario Quantico, che funzionava sul vostro telefono e computer quantico personale attraverso il nuovo e sicuro sistema satellitare Star Link, è arrivata la legge GESARA. Le tasse personali sarebbero state inesistenti, poiché GESARA assicurava un flusso di entrate sostenibile per tutti i governi. Nell’aprile del 2024 verrà applicata in tutto il mondo una nuova aliquota fiscale standard del 14% sui nuovi beni non essenziali. Nessuna tassa sul reddito, sul cibo o sulle medicine. Tutti i debiti nei confronti dell’illegale IRS e della Federal Reserve della Cabala dello Stato Profondo dei Globalisti, adoratrice di Satana, saranno condonati. Niente più IRS. Niente più Federal Reserve. Niente più debito.

Fonte Massimiliano Grasso- Telegram