L’APPROCCIO CINESE AL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Fonte immagine: https://www.lowyinstitute.org/the-interpreter/china-s-carbon-emissions-trading-scheme-smoke-mirrors

Con l’aggravarsi della situazione climatica mondiale, gli Stati si stanno impegnando a mitigare il problema. Una delle soluzioni attuate dal governo cinese, è stato il lancio ufficiale di un suo sistema di scambio di emissioni. Nel 2021, hanno difatti creato il più grande mercato di scambio di carbonio del mondo. L’Emmisions Trading System (ETS) è un meccanismo per lo scambio di quote di emissione di gas serra, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di carbonio e promuovere la transizione verso un’economia più verde. Il mercato copre il settore della produzione di energia e altre industrie pesanti e si prevede che si espanderà per coprire più settori in futuro.

La crisi ambientale cinese – risultato di decenni di rapida industrializzazione – non solo minaccia la salute e i mezzi di sussistenza degli 1,4 miliardi di abitanti del paese, ma anche il buon esito della lotta globale contro il cambiamento climatico. Essendo infatti la Cina la più grande fonte mondiale di emissioni di gas serra degli ultimi anni, soffre ormai di un livello di inquinamento atmosferico notoriamente molto elevato.

Le sue industrie ad alta intensità di emissioni di anidrite carbonica o hanno causato ulteriori forti impatti ambientali, tra cui la scarsità d’acqua e la contaminazione del suolo. E, come il resto del mondo, nei prossimi decenni la Cina dovrà affrontare conseguenze sempre più dure del cambiamento climatico, comprese inondazioni e siccità. In risposta a queste problematiche il Dragone ha deciso di ratificare accordi come quello di Parigi, o il Protocollo di Kyoto, per conformarsi alle misure di mitigazione che il resto del mondo sta cercando di attuare per risollevare le sorti del nostro Pianeta.  

Con il Protocollo di Kyoto – il primo e più importante accordo internazionale dopo la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) – sono stati istituiti degli obiettivi vincolanti di limitazione e riduzione dei gas effetto serra per i paesi che vi aderiscono.

Queste riduzioni devono avvenire principalmente a livello nazionale, tuttavia il Protocollo permette di ridurre le emissioni di gas effetto serra attraverso dei meccanismi basati sul mercato, i cosiddetti Meccanismi Flessibili, il principale dei quali è: l’Emissions Trading System

Quest’ultimo consente lo scambio di crediti di emissione tra Paesi industrializzati e ad economia in transizione; un paese che abbia conseguito una diminuzione delle proprie emissioni di gas serra superiore al proprio obiettivo può così cedere (ricorrendo all’ETS) tali “crediti” a un paese che, al contrario, non sia stato in grado di rispettare i propri impegni di riduzione delle emissioni di gas-serra.

La Cina – che prima non aveva valutato l’implementazione di un proprio ETS nazionale – nel 2013, anche a causa dei persistenti fenomeni di estesa ed inquietante foschia che avvolgeva le proprie città, ha deciso di iniziare a valutare un sistema cinese di scambio di carbonio. L’Unione Europea in questo caso ha fatto da musa, avendo istituito il proprio meccanismo (nonché il primo in assoluto in tutto il mondo) di scambio delle quote di gas effetto serra. Il sistema europeo di emissions trading (EU ETS), varato con una Direttiva del 2003 e operativo dal 2005, è un modello che, attraverso quasi vent’anni di funzionamento e progressive correzioni delle regole iniziali, ha creato un corpo di esperienze utili per la progettazione e la gestione di sistemi analoghi in varie parti del mondo

Pechino, ispirata da questa nuova politica europea, ha quindi creato il proprio “carbon’s market” che funziona secondo uno schema di quote. Le aziende nell’ambito del programma sono tenute a depositare i permessi di emissione presso il governo per evidenziare la parte delle loro emissioni che intenderebbero negoziare. 

PLo schema consente agli emettitori di carbonio di seguire due vie: ridurre le emissioni o acquistare quote di emissione da altri emettitori, creando un mercato del carbonio in cui gli emettitori possono acquistare e vendere crediti di emissione. Il Beijing Green Exchange e il China Hubei Carbon Emissions Exchange sono le due piattaforme di scambio per il sistema. Il Beijing Green Exchange è la piattaforma di scambio nazionale per i crediti volontari di carbonio e per le compensazioni nazionali, che gli operatori coperti dall’ETS nazionale possono utilizzare per la conformità. Questo sistema, che copre il 40% delle emissioni totali cinesi, permetterà la neutralità dal carbone entro il 2060, come d’altronde è stato stabilito con l’Accordo di Parigi, o almeno così sembra.

Xi Jinping è perfettamente cosciente che il ruolo cinese, nelle politiche climatiche, è sicuramente di grande importanza e che questo meccanismo di scambio delle quote di gas effetto serra permette, alla Nazione che guida, uno sviluppo coerente nel rispetto delle ormai necessarie politiche climatiche. Ciò potrebbe inoltre rafforzare la leadership della Cina nell’azione per il clima e la sua influenza nei negoziati globali. Altri paesi potrebbero guardare all’ETS cinese come modello per i propri sforzi di riduzione delle emissioni. 

Pechino attualmente si trova in una posizione in cui ha pochi alleati su cui poter contare, per via di diversi fattori: la sempre più contorta situazione taiwanese, le controversie territoriali e l’equivoca collocazione cinese nei riguardi degli eventi bellici russo-ucraini. Ha l’effettivo bisogno di costruirsi alleati almeno sul fronte climatico, seppur cosciente di “avere il coltello dalla parte del manico”, in quanto maggior emettitore al mondo. Una situazione che sul fronte Stati Uniti potrebbe rappresentare due lati della stessa medaglia. 

Nel primo scenario si presuppone che grazie a questo nuovo mercato, la Cina si faccia promotrice delle politiche climatiche autoproclamandosi come leader, (aumentando la propria influenza geopolitica) ruolo che molto spesso è stato di Washington – almeno prima che Trump decidesse di ritirarsi dall’accordo di Parigi, dopo averlo firmato – sicuramente non abituato ad essere secondo in qualcosa. Dall’altra parte potrebbe essere percepito come un punto di svolta che permette ai due grandi Paesi, nonché i due più grandi inquinatori, di voler cooperare in merito alle azioni di tutela climatica. 

Certamente utopico, ma nel 2021 Cina e Stati Uniti hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si impegnano a lavorare insieme per affrontare la crisi climatica. La dichiarazione include impegni per rafforzare le ambizioni climatiche, promuovere lo sviluppo verde e sostenere la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. 

Inoltre, la presenza di un meccanismo di scambio delle quote di gas effetto serra cinese, potrebbe invogliare gli USA ad istituirne uno, dato che attualmente rimangono l’unica superpotenza a non possederne alcuno, a differenza della sua nemesi cinese e della sopracitata Unione Europea. 

L’ETS sta dunque permettendo al Dragone di applicare la sua politica di riduzione, che lo porterà alla neutralità carbonica entro il 2060, o almeno così si spera. Nonostante possa sembrare un approccio vincente da molti lati, nasconde sicuramente anche alcune criticità: la mancanza di trasparenza, che riguarda l’assegnazione delle quote di emissione; la copertura limitata, incentrata esclusivamente sul settore energetico; monitoraggio e applicazione. Ci sono preoccupazioni circa l’accuratezza dei dati sulle emissioni e la capacità dei regolatori di far rispettare i limiti di emissione. Senza un adeguato meccanismo di monitoraggio e un’applicazione efficaci, il sistema potrebbe non raggiungere i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni. 

Sebbene il sistema di scambio di emissioni cinese sia il più grande mercato del carbonio del mondo, e presenti alcune potenziali sfide tendenti ad obiettivi virtuosi, accusa anche molte ombre e poca esperienza. Nel complesso avrebbe comunque tutte le “carte in regola” per svolgere un ruolo significativo negli sforzi di riduzione delle emissioni globali e potrebbe permettere, una volta tanto, a Pechino di cooperare con la comunità internazionale, fatto non del tutto scontato.

La sola possibilità di una futura riduzione totale di emissioni di carbonio da parte della Cina segna una grande vittoria, non solo per il clima ormai devastato, ma anche per le future collaborazioni che questo paese potrà avere con delle nazioni, come gli Stati Uniti, che proveranno ad impegnarsi nella creazione di un proprio ETS, come risposta al cambiamento climatico.

Greta Caira

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ANZIANI: assistenza domiciliare gratuita

Chi ne ha diritto, come funziona .. per saperne di più

L’assistenza domiciliare gratuita è garantita agli anziani che presentano una condizione di non autosufficienza accertata dalla Commissione Medica Locale (CML), o da un Medico di Medicina Generale (MMG). La non autosufficienza può essere dovuta a fattori come problemi fisici, deficit cognitivi o situazioni di fragilità sociale. L’individuazione del diritto all’assistenza domiciliare gratuita avviene attraverso una valutazione medica, che tiene conto delle esigenze e delle condizioni specifiche dell’anziano.

Come funziona l’assistenza domiciliare per anziani in Italia?

L’assistenza domiciliare in Italia viene fornita da personale qualificato come assistenti familiari o operatori socio-sanitari. Questi professionisti si occupano di garantire una serie di servizi all’interno della casa dell’anziano. Tra i servizi offerti rientrano l’assistenza nella somministrazione di farmaci, l’aiuto nelle attività quotidiane come l’igiene personale, la preparazione dei pasti, la gestione della casa e la compagnia. L’obiettivo principale dell’assistenza domiciliare è quello di consentire agli anziani di vivere in modo autonomo e sicuro nel proprio ambiente domestico.

Cosa prevede l’assistenza domiciliare in Italia?

L’assistenza domiciliare in Italia prevede un supporto personalizzato, in base alle esigenze specifiche dell’anziano. Oltre ai servizi di base, come l’igiene personale e la gestione domestica, l’assistenza può includere anche attività di riabilitazione, terapie del linguaggio ed assistenza infermieristica specializzata. Inoltre, possono essere forniti servizi di accompagnamento, attività ricreative e supporto emotivo, per favorire il benessere complessivo dell’anziano.

Come si fa a richiedere l’assistenza domiciliare in Italia?

Per richiedere l’assistenza domiciliare in Italia, è necessario avviare una procedura amministrativa presso i servizi sociali del Comune di residenza dell’anziano. Inizialmente, si deve presentare una domanda di valutazione della non autosufficienza, accompagnata da documentazione medica che attesti la condizione dell’anziano. Successivamente, la CML o il MMG effettueranno una valutazione delle condizioni dell’anziano e, in base ai risultati, verrà stilato un Piano di Assistenza Personalizzato (PAP) che specifica i servizi necessari.

Quanto costa all’ora l’assistenza domiciliare in Italia?

Il costo dell’assistenza domiciliare in Italia può variare a seconda di diversi fattori, tra cui la regione, la qualifica del personale e la tipologia di servizi richiesti. In media, il costo orario dell’assistenza domiciliare può variare da 10 a 20 euro. È importante sottolineare che alcuni servizi di assistenza domiciliare possono essere finanziati dal Sistema Sanitario Nazionale o dai Comuni, riducendo così il costo a carico dell’anziano o della sua famiglia.

In conclusione, l’assistenza domiciliare per anziani in Italia è un servizio essenziale per garantire una vita dignitosa e confortevole all’interno delle proprie abitazioni. L’accesso all’assistenza gratuita è determinato dalla non autosufficienza accertata dalla CML o dal MMG.

L’assistenza domiciliare prevede una vasta gamma di servizi personalizzati e può essere richiesta presso i servizi sociali del Comune di residenza. I costi dell’assistenza domiciliare in Italia variano a seconda di diversi fattori, e possono essere finanziati anche dal Sistema Sanitario Nazionale o dai Comuni, in base alle condizioni dell’anziano.

Situazione degli anziani a Milano

Se i nonni, come spesso e da più parti si dice, costituiscono una preziosa risorsa, occorre mettere in atto scelte coerenti che permettano di valorizzarla al meglio. […] I cosiddetti nuovi modelli di famiglia ed il relativismo dilagante hanno indebolito questi valori fondamentali del nucleo familiare. […] Di fronte alla crisi della famiglia non si potrebbe forse proprio ripartire dalla presenza e dalla testimonianza di coloro – i nonni – che hanno una maggiore robustezza di valori e di progetti? Non si può, infatti, progettare il futuro senza rifarsi ad un passato carico di esperienze significative e di punti di riferimento spirituale e morale”.

(Papa Benedetto XVI – dal Discorso ai partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, 5 aprile 2008)

Non è certo rassicurante la situazione degli anziani in Lombardia. Ecco la “generazione in bilico” fotografata dai numeri dell’Osservatorio regionale sulla terza età. In definitiva le condizioni degli anziani dopo la pandemia sono molto peggiorate, e non ci riferiamo alla salute.

Sempre più longevi, ma anche molto soli, chiusi in casa, senza aiuti domestici, in difficoltà quando hanno problemi sanitari perché la medicina territoriale non funziona. E infine impoveriti, perché le pensioni sono basse e non arrivano altri sussidi. Gli anziani lombardi – oltre 3,4 milioni di persone sopra i 55 anni, la metà dei quali ha più di 64 anni  – sono “Una generazione in bilico”, come li definisce il secondo rapporto realizzato da Spi Cgil Lombardia, Fnp Cisl Lombardia e Uilp Uil Lombardia, in collaborazione con Ars – Associazione per la Ricerca Sociale di Milano, sono promotori dell’Osservatorio regionale sulla terza età.

Spi Cgil Lombardia, Fnp Cisl Lombardia e Uilp Uil Lombardia, in collaborazione con Ars – Associazione per la Ricerca Sociale di Milano, sono promotori dell’Osservatorio regionale sulla terza età.

Questa ampia indagine si intitola “Più fragili dopo la tempesta? In equilibrio fra desideri, fragilità, aiuti” e, ad un anno esatto dalla prima ricerca, racconta come siano peggiorate le condizioni di vita degli anziani e le loro condizioni di reddito. Il campione preso in esame va dai 55 anni in su: il primo gennaio 2022 la Lombardia contava 3.455.759 residenti di età compresa tra i 55 e gli 85 anni, pari al 34,8 per cento della popolazione regionale; i 55-64enni, coloro che si apprestano ad entrare nell’età anziana, sono in Lombardia quasi un milione e mezzo e, da soli, costituiscono il 15% della popolazione regionale. L’indagine ha coinvolto 1.211 cittadini residenti in Lombardia che, tra luglio e ottobre 2022, hanno compilato un questionario distribuito dai tre sindacati promotori della ricerca.

Un primo dato emerso dall’analisi è la presenza non marginale di una popolazione povera o relativamente povera, il cui reddito familiare netto non arriva a mille euro al mese. Parliamo del 13 per cento degli intervistati over 55 (di cui il 7 per cento vive da solo). Proiettati sulla popolazione lombarda, sono 488.000 persone, ma a questa condizione si associa anche un basso accesso ai servizi pubblici. Ma è la dimensione della solitudine che incide negativamente sulle condizioni di vita degli anziani: un terzo degli anziani lombardi vive da solo e, anche se tre quarti degli anziani esce di casa tutti i giorni, vi è un alto il numero degli anziani che vivono un’auto-reclusione domestica importante: se i numeri sono trascurabili fino ai 70 anni, oltre i 75 si toccano vette del 14 per cento, cioè oltre 100 mila anziani lombardi confinati in casa, con evidenti bisogni di un aiuto continuo nelle funzioni di base della vita quotidiana.

Il problema principale delle persone avanti negli anni è quello della salute e della difficoltà di accesso alla sanità pubblica. Due intervistati su 10 dichiarano uno stato di salute problematico o molto problematico. La quota sale ovviamente tra i più anziani, ma è soprattutto alta (a parità di età) tra chi vive solo (il 34 per cento) e tra i meno istruiti, che purtroppo hanno a disposizione meno risorse. Chi vive senza una rete di supporto ha più facilmente uno stato di salute critico, soprattutto se over 75: si tratta del 18% del totale, cioè 160 mila anziani che vivono soli e non possono contare su alcun aiuto in caso di bisogno.

Sei anziani su 10 non hanno mai utilizzato servizi pubblici di diversa natura, dall’assistenza sociale ai centri diurni. A parte le attività riabilitative sociosanitarie – che registrano un utilizzo da parte del 17 per cento degli anziani – tutti gli altri servizi proposti registrano tassi d’uso tra l’1 e il 5 per cento. La sanità di prossimità è ancora molto lontana dal diventare una realtà concreta e funzionante. Ci sono ancora tantissimi servizi poco utilizzati ma che riscuotono alti livelli di interesse, come i servizi di teleassistenza, telesoccorso e di trasporto e accompagnamento fuori casa. Sono in particolare i giovani anziani ad esprimere un marcato interesse nei confronti delle applicazioni di welfare digitale.

Meglio va sotto il profilo dell’invecchiamento attivo specie per chi sta sufficientemente bene di salute. Utilizzando l’indice generale  – basato sulle dimensioni di “Partecipazione e cura”, “Vita autonoma” e “Capacità e fattori abilitanti” – la ricerca dice che in Lombardia su una scala da 1 a 100 gli anziani invecchiano “attivamente” su un valore pari a 46, meglio che nel resto d’Italia, dato che la media nazionale Istat di 34 nel 2018. 

Gli anziani lombardi, dunque, si dimostrano piuttosto autonomi e generalmente in buona salute, ma meno partecipi e coinvolti nella comunità locale. In particolare, il 72 per cento esce di casa tutti i giorni ma, togliendo la necessità di andare a fare la spesa, solo una parte degli anziani è coinvolta in modo regolare in altre attività come volontariato, hobby, sport. La metà degli anziani intervistati frequenta un amico almeno una volta alla settimana, uno su cinque tutti i giorni. La rete amicale si dimostra essere una risorsa sempre più cruciale. “Dall’analisi, è evidente che gli anziani che vivono con i familiari sono più attivi rispetto a chi vive solo: chi vive da solo, infatti, ha meno stimoli ad invecchiare attivamente, perché sconnesso da relazioni e opportunità“, si legge nella ricerca. È, inoltre, più attivo chi ha un titolo di studio maggiore: ad esempio, al crescere del titolo di studio e dello status cresce anche la frequenza con cui gli anziani vanno in vacanza o passano weekend fuori casa (il 75 per cento dei laureati viaggia ogni anno, contro il 19 per cento di chi possiede il titolo elementare).

Per quasi un quarto degli intervistati, l’ente pubblico figura al primo posto come soggetto da cui gli anziani desiderano ricevere più aiuti soprattutto dagli enti pubblici, dai medici, dal Comune, dalla Regione, dalle forze di sicurezza: se sette anni fa metà degli anziani lombardi sosteneva che le attività di cura dovevano rimanere in capo alla famiglia, oggi tale quota si è ridotta drasticamente a 2 casi su 10, a favore del ruolo dello Stato, che sale dal 3 al 27 per cento. “La scarsa presenza dei servizi e tutte le difficoltà che il Covid ha rivelato nei termini di una sanità di prossimità rende netta ed esplicita questa attesa”, commentano i ricercatori.

FONTE

Combattere l’Alzheimer anche a tavola

L’alimentazione è una parte fondamentale della nostra esistenza. Mangiare bene aiuta a tenere il nostro corpo, ma viene difficile pensare che alcune diete, rispetto ad altre, possano aiutare contro malattie come il morbo di Alzheimer. Secondo un nuovo studio però, di fatto una dieta come il digiuno intermittente può di fatto aiutare a rallentare il decorso di questa malattia ancora così misteriosa.

Lo studio, che suona complicato, si è basato sull’idea di “riconfigurare gli orologi circadiani degli animali in un modello murino di Alzheimer, attraverso un programma del digiuno intermittente”. Questa strada è stata presa in quanto il morbo di Alzheimer, con i suoi sintomi, va a interferire con il naturale processi biologici che avvengono nel cervello, ma anche nel resto del corpo. Soprattutto va a interferire proprio il ciclo sonno/veglia che porta a una velocizzazione del deterioramento cognitivo.

Alzheimer e la dieta a digiuno intermittente

Le parole dei ricercatori della UC San Diego: “Per molti anni, abbiamo ipotizzato che le interruzioni circadiane osservate nelle persone con Alzheimer fossero il risultato della neurodegenerazione, ma ora stiamo imparando che potrebbe essere il contrario: l’interruzione circadiana potrebbe essere uno dei principali fattori determinanti della patologia dell’Alzheimer. Ciò rende le interruzioni circadiane un obiettivo promettente per i nuovi trattamenti dell’Alzheimer, e i nostri risultati forniscono la prova di concetto di un modo semplice e accessibile per correggere queste interruzioni”.

L’esperimento fatto per ora solo con i topi ha mostrato come di fatto lasciare solo una finestra specifica di tempo in cui mangiare a questi animali ha portato a un cambiamento quantificabile a livello molecolare. Molti geni che si sa essere legati al morbo di Alzheimer e all’infiammazione del cervello venivano espressi in modo diverso. Ora bisogna capire se anche nell’uomo può succedere la stessa cosa.

Giacomo Ampollini

FONTE

Che cosa rimane del convegno “Farsi prossimo”

Sabato 14 Marzo 1987.Teatro Lirico a Milano. Dalle 9.30 alle 13.00. Il teatro è gremito di gente. Gente delle comunità cristiane delle città che si ritrovano per applicare le grandi idee e le linee uscite dal Convegno diocesano sul Farsi Prossimo tenuto ad Assago nel novembre dell’anno precedente.

Gli interventi dei relatori si susseguono: l’Arcivescovo Cardinal Carlo Maria Martini, il Sindaco Paolo Pillitteri, il Vicario di Milano Mons. Marco Ferrari che fa gli onori di casa, il responsabile della Caritas Don Angelo Bazzari.

La relazione di Don Bazzari tratta argomenti importanti_:

  • la comunità cristiana davanti alle nuove e vecchie povertà di Milano
  • l’impegno della Chiesa milanese
  • le prospettive per un concreto impegno tra la realtà ecclesiale e quella civile

Queste la basi sulle quali collaborare, queste le basi di un impegno ecclesiale e civile per dare a Milano un volto caritatevole, l’impegno è condiviso e l’emozione in sala è palpabile.

Ero presente a quel convegno, sono stata parte di quel convegno come consigliere della zona 19 di Milano (100mila abitanti), ne ho apprezzato gli intenti e ho sperato veramente che i propositi condivisi e importanti potessero trovare attuazione.

Sono trascorsi 36 anni da allora e da allora è cambiato il mondo: l’inchiesta Mani Pulite ha spazzato via una classe politica, la Chiesa milanese ha perso la Il Cardinal Martini (2012) e solo la Caritas ha portato avanti il progetto con la creazione di alcune “strutture caritatevoli”.

Mentre a Roma si susseguivano i pontefici, anche la Chiesa entrava in crisi, il governo della nazione subiva pesanti contraccolpi e, per arrivare rapidamente fino ai giorni nostri, l’Italia si apriva alla migrazione incontrollata e davvero poco ospitate mettendo a rischio la sicurezza dei cittadini e infine subiva una pandemia che in tre anni minava l’economia del Paese.

Difficile ora riprendere in mano un progetto così importante e molto più necessario di prima per far fronte ad una povertà molto più grave e alla quale si è aggiunta una violenza incontrollata nelle città.

Molti di noi che avevano caldeggiato e condotto in porto il convegno, si sono ritirati dalla scena politica e assistono con grande dolore al disfacimento del Paese, ora nelle mani di incapaci di qualsiasi colore essi siano. Le speranze muoiono all’alba…., era il titolo di un noto film western, ma nei film del vecchio west i buoni arrivano sempre in tempo e salvano la situazione. In questo momento però è davvero difficile distinguere i buoni dai cattivi e dar fiducia a qualcuno, visto che la fiducia che per anni abbiamo dato con il voto, è stata purtroppo tradita.

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Lettere dal convegno

Manuela Valletti

Jelly Drops, innovativi bonbons d’acqua, aiutano ad idratare chi soffre di demenza, soprattutto durante le ondate di calore

Gianluca Riccio

Gianluca Riccio

Durante le ondate di calore come quella di questi giorni (sperando sia l’ultima dell’anno) idratare il corpo è fondamentale, e chi soffre di demenza o malattie correlate come l’Alzheimer rischia di non farlo. Garantire un’adeguata assunzione di liquidi può diventare una sfida se si combatte con la memoria.

Questi Jelly Drops, autentici “bonbons d’acqua”, sono stati progettati specificamente per aiutare le persone affette da demenza a bere quando serve e quanto serve.

La sfida dell’idratazione nella demenza

Le condizioni che portano a forme di demenza, e in particolare il morbo d’Alzheimer, rappresentano una delle principali sfide sanitarie del nostro tempo. L’OMS stima che nel mondo ci siano 55 milioni di persone costrette a convivere con le complicazioni insidiose della demenza. Una delle peggiori è la perdita della percezione della sete, l’incapacità di ricordare o capire quando ci si deve idratare. Durante le ondate di calore, come quelle che hanno recentemente colpito l’Europa (in particolare l’Italia, investita in pieno nel mese di luglio) il rischio di disidratazione aumenta notevolmente.

Idratare

Jelly Drops: dolce soluzione

Jelly Drops contengono il 95% di acqua e sono arricchiti con elettroliti per idratare meglio il corpo. Non solo sono privi di zuccheri, ma il loro aspetto colorato e invitante li rende un’opzione allettante anche per chi potrebbe altrimenti rifiutarsi di bere.

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Le ragnatele artificiali catturano acqua dall’aria meglio di ogni altra cosa

Le guerre dell’acqua: uno sguardo al futuro dei conflitti fluviali

L’idea dietro questi bonbons è nata dalla mente creativa dell’inglese Lewis Hornby. L’ispirazione? Come spesso accade, in famiglia: dalla sua stessa nonna, Pattinson, che aveva il problema di ricordare quando e quanto bere.

Idratare, e con fierezza. Ma non basta, ovviamente

Mentre i Jelly Drops offrono una soluzione pratica e immediata per affrontare il problema di idratare le persone affette da demenza, la comunità scientifica non si ferma e continua a cercare trattamenti più focalizzati per affrontare il problema alla radice.

Recentemente un nuovo farmaco, chiamato lecanemab, ha mostrato di ridurre il declino della memoria e del pensiero associati all’Alzheimer. Questo farmaco attacca gli ammassi proteici nel cervello che molti ritengono siano la causa della malattia.

Per ulteriori dettagli sulla recente ricerca sul lecanemab e altri sviluppi nel campo della demenza, potete consultare questo articolo.

Anche se i risultati sono promettenti, è importante notare che i benefici del farmaco sono per ora piccoli e accompagnati da effetti collaterali significativi. Tuttavia, la ricerca in questo campo è in costante evoluzione e ogni nuovo sviluppo porta speranza.

La demenza è una delle principali sfide sanitarie del nostro tempo, con 10 milioni di nuovi casi diagnosticati ogni anno. Con il numero di casi di demenza previsti per salire a 78 milioni entro il 2030 e 139 milioni nel 2050, la corsa è aperta per sviluppi scientifici e ricerche che ci aiuteranno a comprendere, trattare e possibilmente prevenire la malattia.

fonte

Ricerca

Corso online gratuito di InFormazione per familiari di persone con malattia di Alzheimer: una ricerca per prevenire gli effetti dello stress in chi assiste

Perché questa ricerca?

L’assistenza domiciliare dei pazienti affetti da malattie di Alzheimer (AD) è spesso delegata a familiari, i cosiddetti caregiver informali. Tale assistenza può essere psicologicamente, fisicamente e finanziariamente onerosa e può esporre i caregiver a maggiore vulnerabilità per malattie psicofisiche. Studi sui tradizionali interventi di psicoeducazione (cicli di incontri in cui vengono fornite conoscenze teoriche e pratiche per l’assistenza) ne hanno dimostrato l’effetto positivo sul benessere psicofisico sia del caregiver che della persona assistita. L’apprendimento esperienziale attraverso la realtà virtuale (VR) è stato recentemente considerato un ulteriore metodo efficace per suscitare comportamenti empatici in ambito assistenziale. Leggi tutto

Alzheimer: un video e un libro indimenticabili

Il mio papà parla solo con il cane….

Il padre di Lisa Abeyta ha l’Alzheimer, allo stadio avanzato. Non riconosce più nessuno, e ha perso anche gran parte della capacità di formulare frasi di senso compiuto. Ma quando è con il suo cane Roscoe, succede un piccolo miracolo, che la donna ha voluto immortalare in un video. Con l’animale, il papà di Lisa sembra riuscire a parlare, a esprimersi. “Se i vostri cari parlano ancora con voi, ascoltateli perché non potete sapere quando sarà l’ultima volta” è il messaggio di Lisa. Il video postato su YouTube ha raggiunto in soli tre giorni quasi tre milioni di visualizzazioni. (RCD – Corriere Tv)
Qui il video:

https://video.repubblica.it/mondo/l-uomo-malato-di-alzheimer-che-parla-solo-con-il-suo-cane/163871/162362


PAPA’ E’ STATO BELLO VOLERTI TANTO BENE

Il mio papà, se ne è andato il 23 luglio 2007 e io sento tanto la sua mancanza. La sua malattia mi ha profondamente cambiato e ha cambiato la mia vita per sempre. Saper trovare del buono anche nelle cose più tristi che ci accadono è un dono che solo le persone che hanno fede posseggono e io credo di aver scoperto quel dono.
Il morbo di Alzheimer ha portato con se tanto dolore, un dolore così forte da spezzarmi il cuore. Parte di questo dolore era legato al fatto di aver perso il mio papà, o meglio di aver perduto la persona forte e determinata che ero abituata a conoscere e che mi dava sicurezza. E’ vero, quella persona non esisteva più e il suo ricordo era struggente.
In realtà però mio padre c’era, era ancora accanto a me, era soltanto cambiato. Ora era lui ad essere fragile e bisognoso di aiuto.
Quando finalmente sono riuscita a comprendere questo mi sono rapportata con lui in modo completamente differente, prima ero solo sua figlia, poi sono diventata sua figlia e sua madre allo stesso tempo. Non mi aspettavo nulla da lui, se non un sorriso, non potevo discutere con lui e raccontargli della mia vita e di quella della mia famiglia, ma potevo spiegargli con dolcezza quello che lui stentava a capire, potevo porgergli l’acqua o accarezzargli dolcemente il capo.
Insomma il nostro rapporto era cambiato, ma non si era interrotto. Ho capito che mi è stato concesso di poter ricambiare quanto mio padre aveva fatto per me, per i miei figli, per mio marito con tanta tenerezza e con tanto affetto quotidiano.
Io e lui avevamo imparato a comunicare senza parole, quando mi vedeva i suoi occhi sorridevano e bastava un suo sguardo perché io capissi se era contento, se stava bene.
E’ stato tanto difficile accettare di non ritrovarlo più come un tempo, ma alla fine la persona che avevo davanti era così dolce, tenera, preziosa e pura che ringrazio il Signore per avermi dato, in tanto dolore, anche la gioia di vivergli accanto.© Manuela Valletti

GRUPPO DI SUPPORTO AI PARENTI DEI MALATI – SONO OLTRE 7000 GLI ISCRITTI

Papà mi portava in bicicletta

un libro che raccont quattro anni accanto ad un papà che non ricorda, il mio papà. Questo libro ha fatto il giro del mondo.

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Alzheimer:Le percezioni del malato

Esemplificazione dei cambiamenti della percezione visiva e cognitiva, studiati su malati di Alzheimer a diversi stadi della malattia (dallo stadio iniziale a 24 mesi dopo l’insorgere della patologia).

La documentazione scientifica inerente la malattia di Alzheimer rileva che, a livello mondiale, questa patologia, insieme con gli altri tipi di demenza, affligge circa 18 milioni di cittadini e rappresenta il 60% sul totale delle demenze. Il fenomeno assume grande rilevanza anche a livello europeo; vengono rilevati circa 3 milioni di casi annui in Europa. In Italia, ne soffrono 600.000 persone (pari al 6 – 7% della popolazione sopra i 65 anni) e si contano circa 80.000 nuovi casi l’anno.

Tali rilevanze demografiche hanno portato all’aumento della spesa pubblica come risposta alla crescente richiesta di servizi adeguati. Il fatto che, ad oggi, non esistano terapie farmacologiche efficaci per la guarigione, ha spostato l’interesse ad un approccio di tipo riabilitativo che trova nel microambiente in cui il malato vive, un alleato strategico. Un ambiente idoneo, infatti, diventa promotore delle facoltà residue della persona, sia sul piano cognitivo, funzionale, comportamentale che affettivo.

All’ambiente domestico e all’importanza che esso assume per mantenere la persona con Alzheimer nella propria casa il più a lungo possibile è dedicato invece l’opuscolo Visioni sfumate. Nella sua facilitata comunicatività è un efficace strumento di ausilio per i familiari dei malati, sui quali grava l’onere e la responsabilità di una faticosa assistenza.

L’illlustazione di questa pagina è tratta da “Gentlecare – changing the experience of Alzheimer’s Disease in a positive way” di Moyra Jones – Hartley & Marks Publishers, Vancouver, 1999

Alzheimer: la ricerca a che punto è

Una diagnosi che cambia la vita, quella dell’Alzheimer, una malattia che porta a perdere sé stessi, il ricordo del proprio passato e una lucida presenza per vivere il presente. Oggi ricorre la XXIX Giornata Mondiale dell’Alzheimer: sono numerosissimi gli eventi, le mostre e i convegni previsti per l’occasione. Un momento importante per fare il punto su ricerca, cure, progettualità e passi avanti compiuti nell’ultimo anno per affrontare la sfida di questa malattia, definita anche dall’OMS “una priorità di sanità pubblica”.

Dal 2022, a tale urgenza è stata data anche una prima risposta economica, con uno stanziamento di fondi alle regioni per il Piano Nazionale Demenze di 15 milioni di Euro, cifra ritenuta tuttavia insufficiente dalla Federazione italiana Alzheimer per una malattia i cui costi globali vanno da 1,3 trilioni di dollari nel 2019, alle previsioni di 2,8 entro il 2030 (fonte: OMS).

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Ricerca e cure: si guarisce dall’Alzheimer?

Dopo il Giappone, l’Italia è uno dei paesi più “vecchi” del mondo con 148,6 anziani ogni 100 giovani (fonte: Istat 2020). Circa 1 milione di persone over 65 sono affette da demenza, oltre 630 mila da malattia di Alzheimer e oltre 928 mila da Declino Cognitivo Lieve (fonte: Biogen Deloitte): le previsioni di aumento della popolazione anziana lasciano intravedere numeri sempre crescenti.

Ad oggi l’Alzheimer può essere gestito e in tal senso c’è molto da poter fare, soprattutto fornendo ai caregiver tutti gli strumenti per comprendere la malattia e capire come agire. Tuttavia, dalla demenza purtroppo ancora non si guarisce. Come riportato nell’ultimo numero del Notiziario della Federazione Alzheimer Italia del 2022 “non esistono a oggi terapie risolutive, ma solo sintomatiche. Le terapie testate finora (e anche approvate, come nel caso del discusso Aducanumab, bocciato in Europa), infatti, mirano a eliminare una delle possibili cause associate alla malattia, l’accumulo della beta amiloide, quando i danni associati possono essere già avvenuti e irreparabili”.

Il dibattuto caso del farmaco Aducanumab

È di recente uscita lo studio scientifico pubblicato da Dove Medical Press su sfide e opportunità nell’uso di Aducanumab per il trattamento dell’Alzheimer, che sottolinea la non concordanza tra i pareri espressi nel 2021 dai due maggiori enti regolatori internazionali: FDA negli Stati Uniti che ha approvato l’uso del farmaco ed EMA in Europa che ha dato parere negativo, seguito poco dopo anche dall’agenzia giapponese.

Nello specifico l’EMA non ha approvato Aducanumab anche per la sua ridotta efficacia. “L’approvazione è avvenuta sulla base di risultati ‘surrogati’ e la modalità accelerata della stessa vincola ad uno studio post-approvazione per confermare i benefici clinici – dichiara Mauro Colombo, Ricercatore in gerontologia clinica, ASP Golgi-Redaelli – Gli esperti dell’EMA invece hanno ritenuto che questo farmaco non mostrasse un chiaro segnale di efficacia né un profilo di sicurezza soddisfacente per il trattamento di pazienti in fase iniziale“.

Nuove terapie e il ruolo dell’intelligenza artificiale

Sono numerosi gli studi portati avanti in Italia e nel mondo: alcuni ricercatori presso il CNR stanno indagando i meccanismi che guidano la neurodegenerazione nell’Alzheimer e aprendo spiragli verso terapie per rallentare la progressione della malattia.

Anche l’intelligenza artificiale si sta rivelando una valida strada per sviluppare nuove strategie di diagnosi e cura per prevenire Alzheimer e altre forme di demenza senile: come riporta il Notiziario della Federazione Alzheimer Italia, ricercatori inglesi “hanno sviluppato un algoritmo basato sull’intelligenza artificiale capace di analizzare dettagliatamente le immagini di una risonanza magnetica facendo un’analisi approfondita del cervello. Questo studio, realizzato su un iniziale gruppo di 400 malati di Alzheimer lieve o grave, soggetti di controllo e pazienti con altre malattie neurologiche e demenze, ha diagnosticato la malattia nel 98% dei casi”. Un prezioso passo in avanti per una diagnosi chiara, importante per affrontare questa complessa malattia, che necessita innanzitutto di comprensione e vicinanza umana.

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Giulia Angelon

Giulia Angelon

Mi piace esplorare l’esistenza, osservandone i misteri e sperimentando la forza creatrice che genera l’atto di comunicare quando nasce dall’ascolto e dal dialogo. Per BuoneNotizie.it scrivo di benessere e innovazione in chiave culturale, imparando l’arte di esserci nelle cose con intensa leggerezza.

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