Come l’Europa cristiana creò l’odio verso gli ebrei nel Medioevo

imamgine medievale antisemita

 L’immaginario legato all’odio nei confronti della comunità ebraica non conosce praticamente limiti: copertina del pamphlet antisemita “Der Juden Ehrbarkeit” (“La rispettabilità degli ebrei”) del 1571.  archive.org 

Serie Antisemitismo in Svizzera, Episodio 1:

La pandemia di Covid-19 ha evidenziato una volta di più che quasi tutte le teorie complottiste considerano la comunità ebraica responsabile dei mali di questo mondo. All’origine ci sono menzogne risalenti all’Europa medievale. 

Questo contenuto è stato pubblicato al 14 agosto 2022 – 11:00 

12 minuti 

David Eugster 

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Sono pochissime le storie raccapriccianti che hanno avuto lo stesso successo di quella che vede la comunità ebraica alla testa di una cospirazione planetaria. Racconti tutt’oggi diffusi e presenti più che mai nelle chat di tutto il mondo: all’origine di ogni problema – così si narra – ci sono ebrei con una grande abilità nel gestire il denaro.

Versioni più radicali dipingono gli ebrei come mostri animaleschi, all’immagine dell’opera presentata recentemente alla documenta di Kassel, in Germania, una delle più importanti manifestazioni internazionali di arte contemporanea. Negli ultimi due anni, in rete è circolata anche la teoria secondo cui all’origine della pandemia di Covid-19 ci sono persone di religione ebraica.

I racconti che hanno alimentato l’odio verso gli ebrei nell’ultimo millennio sono nati nell’Europa dell’Alto Medioevo. Hanno portato alla persecuzione e allo sterminio di moltissime persone, anche in Svizzera.

L’esclusione degli ebrei

All’inizio, il cristianesimo è una piccola setta del giudaismo. La differenziazione è quindi di fondamentale importanza e le tensioni tra i due gruppi sono inevitabili. Subito dopo l’affermazione del cristianesimo in Europa, il popolo ebraico è accusato di essere responsabile della morte di Gesù. Gli ebrei vengono marginalizzati e demonizzati. Tuttavia, ci vorranno più di mille anni prima che l’odio e la violenza nei confronti degli ebrei diventino una realtà quotidiana in Europa.

La situazione cambia con le prime crociate intorno all’anno 1100: orde di fanatici religiosi di tutte le classi sociali, spinti da un desiderio di redenzione, si mettono in moto per uccidere le popolazioni pagane in Oriente e liberare la sacra Gerusalemme. Ai loro occhi, è logico combattere i nemici di Cristo già in patria: gli ebrei sono tormentati e devono scegliere se venire battezzati o morire.

Le persecuzioni durante le crociate rendono la comunità ebraica più vulnerabile. Molte professioni sono vietate agli ebrei, i quali non possono nemmeno fare parte di corporazioni. Le autorità medievali spingono così gli ebrei verso le attività creditizie, proscritte ai cristiani. Alla fine dell’XI secolo, il Papa permette esplicitamente agli ebrei di chiedere degli interessi, mentre per i cristiani questo era considerato un peccato. Un regalo avvelenato.

Nel XIII secolo, l’esclusione degli ebrei diventa un dogma ecclesiastico. Nel 1213, Papa Innocenzo III, un ambizioso esperto di diritto canonico, convoca il Concilio Lateranense IV. Circa 1’500 emissari provenienti da tutte le province si recano a Roma per discutere per mesi le questioni centrali della Chiesa cattolica. Ad esempio, la necessità delle crociate e il modo di trattare i gruppi eretici quali i Valdesi.

Diverse discussioni concernono la vita della comunità ebraica, direttamente e indirettamente. Il concilio decide in particolare di obbligare gli ebrei a indossare dei segni di riconoscimento nella vita di tutti i giorni per distinguersi dai cristiani, stigmatizzandoli così alla stregua di altri gruppi emarginati dell’epoca: prostitute, mendicanti e lebbrosi.

Inoltre, il clero condanna ancor più fermamente la riscossione di interessi, ben sapendo che tale pratica era stata esplicitamente consentita agli ebrei e solo pochi decenni prima.

raffigurazione antisemita
 Raffigurazione del presunto omicidio rituale del giovane Rodolfo a Berna nella cronaca illustrata svizzera di Diebold Schilling: gli ebrei sono facilmente riconoscibili per i copricapo a punta che erano obbligati a indossare all’epoca. Diebold Schilling, Amtliche Berner Chronik 

La menzogna dell’omicidio rituale

Per molto tempo, gli interessi economici delle persone debitrici degli ebrei sono poco evocati, mentre le sofferenze inflitte agli ebrei sono ampiamente spiegate e giustificate con motivi religiosi. Al Concilio Lateranense IV, le discussioni sul rituale della messa hanno conseguenze indirette per la comunità ebraica: l’ostia che rappresenta il corpo di Gesù e il vino servito durante la messa entrano nell’ortodossia cattolica. Questo significa che la Passione del Cristo svolge un ruolo sempre più centrale in seno alla Chiesa.

Sulla scia di questi cambiamenti, nell’XI secolo si sviluppa la teoria cospirativa secondo cui gli ebrei sacrificherebbero dei bambini cristiani. La leggenda si diffonde prima in Inghilterra, poi in Francia. Nel 1294, il giovane Rodolfo è ritrovato morto a Berna. La sua morte è immediatamente imputata alla comunità ebraica locale. Sebbene le autorità non credano alla teoria dell’omicidio rituale, tutti gli ebrei sono espulsi dalla città. Rodolfo di Berna viene considerato un martire: fino alla Riforma, le sue ossa sono conservate nell’altare della cattedrale di Berna, prima di essere trasferite in una tomba su cui è annotato che il giovane è stato ucciso da ebrei. L’intera vicenda è stata rimessa in discussione soltanto nel XIX secolo, dal vescovo di Basilea.

Ancora oggi, l’espulsione degli ebrei nel 1294 continua a perseguitare la città di Berna. Si discute infatti se l’iconica “Kinderfresserbrunnen” (la fontana del mangiatore di bambini) sia un riferimento all’omicidio di Rodolfo e alla persecuzione della popolazione ebraica. L’orco che si nutre di bambini indossa infatti un vistoso copricapo che secondo le voci critiche ricorda il cappello giallo a punta che gli ebrei dovevano indossare come segno distintivo nel XIII secolo.

All’inizio della teoria del sacrificio rituale, la sofferenza dei bambini è paragonata alla Passione del Cristo. Si afferma che gli ebrei riproducono il loro peccato inchiodando sulla croce dei giovani cristiani. Col diffondersi della leggenda in Europa, la presunta follia omicida degli ebrei è sempre più attribuita alla loro sete di sangue. Gli ebrei hanno bisogno del sangue per preparare la matzah – il pane azzimo consumato durante la Pasqua ebraica – o per altri riti segreti.

manifestanti
 La leggenda dell’omicidio rituale è stata riportata in auge: una teoria complottista sostiene che una certa “élite hollywoodiana” utilizza il sangue dei bambini per ottenere l’adrenocromo, una sostanza dalle presunte proprietà ringiovanenti.  Keystone / Christian Monterrosa 

La menzogna dell’avvelenamento delle fontane

È a quest’epoca che cambia la rappresentazione degli ebrei nell’arte, secondo la storica dell’arte Sara LiptonCollegamento esterno. Gli ebrei si distinguono ormai dai cristiani. Nelle illustrazioni della Passione del Cristo, indossano i nuovi segni distintivi che sono stati loro imposti: dei cappelli o degli anelli gialli, il colore associato all’avarizia, all’invidia e alla superbia. Anche i loro volti sono raffigurati in modo diverso: gli ebrei cominciano a essere disegnati con il naso adunco, all’immagine di Satana.

raffigurazione del diavolo
 Il naso ricurvo del diavolo simboleggia, con la sua bruttezza, la malvagità meschina del personaggio.  British Library Board /Arundel 157 f.5v 

Progressivamente, l’odio verso la comunità ebraica si stacca dalle spiegazioni teologiche. Alla fine del XIV secolo, quando la peste si sta propagando in Europa, inizia a circolare un’altra menzogna: gli ebrei sono accusati di aver avvelenato i pozzi al fine di diffondere la “morte nera”. Ne consegue un’ondata di persecuzione e di sterminio che si abbatte sulla comunità ebraica.

Nel 1348, un medico ebreo di Losanna afferma sotto tortura che degli ebrei hanno fomentato un complotto fabbricando un veleno e distribuendolo alla diaspora ebraica con l’ordine di avvelenare i pozzi locali. Le autorità inviano una copia di questa “confessione” a Friburgo, Berna e Strasburgo, da dove si propaga in tutto l’Impero tedesco. Le città condividono le loro esperienze in materia di espulsioni e stermini. Laddove giunge la notizia della “confessione”, la comunità ebraica è oggetto di perquisizioni, torture e persecuzioni. Nel 1348, le città svizzere di Berna, Burgdorf, Soletta, Sciaffusa, Zurigo, San Gallo e Rheinfelden espellono o sterminano tutte le loro popolazioni ebraiche.

meme antisemita
 All’inizio del 2020, su Internet sono circolati rapidamente dei meme che accusavano gli ebrei di essere all’origine della pandemia di coronavirus. Al contrario, questo meme denuncia le vignette antisemite e il tentativo di incolpare la comunità ebraica per la Covid-19.  ADL 

Nel 1349, le città consigliano ai comuni ancora reticenti quali Aarau e Winterthur di giustiziare la comunità ebraica, cosa che poi fanno. A Basilea, le autorità – che fino a un anno prima non avevano esitato a espellere le persone che avevano vandalizzato il cimitero ebraico – decidono di allontanare tutti gli ebrei residenti in città e di bruciarne un centinaio in una casa di legno appositamente costruita su un’isola del Reno.

La menzogna dell’ebreo ricco

Intorno al 1400, si comincia a fare un legame esplicito tra le persecuzioni e il ruolo economico assegnato agli ebrei dall’inizio del millennio. Il cronista di Strasburgo Fritzsche Closener rileva che il fatto di potersi sbarazzare dei propri debiti espellendo i creditori ebrei rappresenta il veleno che è stato fatale a questa comunità.

Dopo i pogrom legati alla peste, le comunità ebraiche si reinsediano lentamente nelle città di tutta Europa. Le disposizioni discriminatorie della Chiesa sulla segregazione sono però ora applicate con maggior rigore: a Zurigo, le prostitute che offrono i loro servizi agli ebrei sono bandite e le donne che hanno relazioni intime con loro sono umiliate pubblicamente e costrette a indossare un cappello a punta. I cristiani sopresi a ballare e festeggiare con gli ebrei vengono puniti. A Basilea, agli ebrei non è più permesso toccare gli alimenti al mercato. A Ginevra, sono obbligati a vivere in un ghetto che dalla fine del XV secolo devono condividere con le prostitute.

A causa delle espulsioni e dei rimborsi arbitrari dei debiti, il patrimonio di molti creditori ebrei si riduce drasticamente nel corso del XIV secolo. Le regole sono allentate e numerosi concorrenti cristiani si lanciano nell’attività. Gli ebrei sono spinti verso il settore del banco dei pegni, considerato particolarmente riprovevole perché le persone debitrici perdevano case e terreni.

meme antisemita
 Il meme antisemita “Happy Merchant” sta circolando in tutte le possibili versioni su Internet. Raffigura un uomo con il naso adunco che si sfrega le mani e viene utilizzato come simbolo per affermare che la comunità ebraica controlla il mondo e accresce costantemente la sua influenza. Questa versione si riferisce al vaccino contro la Covid-19.  ADL 

I nobili impoveriti attribuiscono il loro declino economico agli alti tassi di interesse applicati dagli ebrei, anche se questi ultimi rappresentano spesso l’ultima possibilità per procurarsi delle liquidità. La comunità ebraica diventa così il capro espiatorio di un cambiamento strutturale economico, dal potere feudale a un’economia dominata dal commercio urbano.

Il fatto di praticare l’usura diventa il motivo principale delle persecuzioni verso gli ebrei. La popolazione non ha più bisogno di loro. Le città di tutta Europa iniziano a espellere definitivamente le popolazioni ebraiche, anche se un medico o alcune famiglie hanno a volte il diritto di rimanere. Alla fine del XV secolo, gli ebrei sono espulsi dalle città anche in Svizzera. Fuggono verso est o si stabiliscono nelle regioni rurali.

Ma l’assenza degli ebrei non attenua l’odio nei loro confronti. Ogni anno, durante le rappresentazioni della Passione del Cristo, appaiono delle figure diaboliche simboleggianti il popolo ebraico e la leggenda dell’ebreo ossessionato dal denaro e assetato di sangue continua a svilupparsi.

vignetta antisemita
 La figura antisemita dell’ebreo assetato di sangue viene qui utilizzata per criticare le moderne forme di commercio. Leon Barritt: The Commercial Vampire (1898).  wikicommons 

L’antisemitismo non si esaurisce nemmeno con la Riforma: i discorsi ostili di Martin Lutero contro gli ebrei sono visti dagli storici come il punto di congiunzione tra l’odio per gli ebrei del Medioevo e quello dell’epoca moderna.

Gli ebrei sono considerati automaticamente dei malfattori economicamente dannosi e divinamente corrotti. L’odio nei loro confronti diventa folklore e i racconti paranoici sulla popolazione ebraica servono da passe-partout per superare periodi di rottura e fasi di incertezza.

L’antisemitismo moderno trae ispirazione da tutta questa odiosa narrazione sugli ebrei. Durante gli sconvolgimenti radicali provocati dall’industrializzazione nel XIX secolo, gli ebrei diventano ancora una volta il capro espiatorio dei cambiamenti sociali. L’odio per gli ebrei assume una connotazione biologica con lo sviluppo di teorie razziali, che si propagano in modo devastante nel mondo.

Traduzione dal tedesco: Luigi Jorio

Altri sviluppi

Antisemitische Karikatur eines Warenhausbesitzers

Altri sviluppi 

Rivolta “antiparassitaria”: attacchi antiebraici contro i centri commerciali svizzeri 

Questo contenuto è stato pubblicato al 04 set 2022   Negli anni Trenta, l’antisemitismo contro i grandi magazzini si intensificò e il Consiglio federale proibì lo sviluppo di centri commerciali.Di più Rivolta “antiparassitaria”: attacchi antiebraici contro i centri commerciali svizzeri 

Fonte

Di cosa parlano gli Italiani sui social? La scuola è un argomento caldo. “Spiati” sui social grazie alla IA

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Il calcio domina, era prevedibili con oltre 2,8 miliardi di interazioni, seguito da dibattiti politici, che hanno generato 1,6 miliardi di interazioni. Tra i temi caldi anche la scuola. I dati sono stati rivelati dal Rapporto annuale SocialData, un’innovativa indagine che svela le vere preoccupazioni della società italiana attraverso l’analisi delle conversazioni online.

Politica

La politica ha suscitato un ampio interesse, dimostrando che gli argomenti politici sono ancora molto rilevanti per gli italiani. La questione della sicurezza si è dimostrata altrettanto importante, con 9,6 milioni di contenuti web che hanno sollevato preoccupazioni legate alla criminalità, attirando 1,8 miliardi di interazioni. Tuttavia, temi come femminicidio, molestie e stalking hanno ricevuto meno attenzione rispetto a furti, rapine e aggressioni.

Preoccupazioni economiche

Nel campo del lavoro, gli italiani hanno mostrato una preoccupazione predominante per il valore degli stipendi, con 129 milioni di interazioni. Le questioni delle morti sul lavoro e della disoccupazione hanno ricevuto meno attenzione, indicando che le questioni economiche immediate sono di maggiore interesse per la popolazione.

Personaggi politici

Tra i politici più discussi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini hanno guidato la classifica, seguiti da Elly Schlein e Giuseppe Conte. Meloni, in particolare, ha suscitato il maggior interesse, con oltre 253 milioni di interazioni.

Eventi

Un dato interessante emerso dal rapporto riguarda le figure pubbliche che ci hanno lasciato nel 2023. La morte di Silvio Berlusconi ha dominato la scena online, superando significativamente le menzioni di altri famosi decessi, incluso quello dell’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Dibattito sulla racvolta dati

Il Rapporto annuale SocialData che ha estrapolato i temi di discussione on-line per poi farli analizzare dall’IA. Paolo Mieli, riferendosi al metodo di raccolta, ha commentato così il sondaggio: “siamo di fronte ad un evento epocale: questo è il primo sondaggio fatto in Italia su quello di cui veramente parlano le persone. In cui le informazioni che raccogliamo sono disponibili in modo indiretto e non filtrato, senza che i soggetti sappiano di essere ‘intercettati’“.

Fonte

L’immersione nella vita

Dodecanneso, isola di Tilos (Piscopi)

36 gradi 24 primi N, 27 gradi 26 primi E. Giugno 1976

Monte Cuzzuva altezza circa 500 mt quasi a picco sul mare.

Isola di Tolos

Il blu intenso della profondità attira come una calamita. La roccia calcarea si immerge nel blu e la superficie immobile senza un filo di vento, luccica sotto il caldo sole di giugno. Il gommone ormeggiato con una cima ad uno spuntone a forma di pinnacolo, praticamente non si muove. I miei gesti sono meccanici, silenziosi, quasi maniacali. Infilo il corpetto della muta da 3mm. a mezza gamba, ed il cappuccio. Pulisco il vetro della maschera sputandoci dentro, nella migliore tradizione subacquea e lo sciacquo creando un minimo di movimento nell’acqua circostante. Indosso i piombi, tre kg, voglio essere leggero quando mi troverò in assetto negativo, pinne da profondità, afferro lo Sten e scivolo silenzioso lungo il tubolare. La temperatura dell’acqua è piacevole, il primo mezzo metro è quasi tiepida. Mi sposto dal gommone allontanandomi dallo strapiombo. Guardo verso il fondo che degrada velocemente. Forse dalla linea di marea tracciata sulla roccia la parete scende in verticale fino a una diecina di metri, poi degrada in obliquo verso il blu profondo. Puro cristallo di Boemia, la trasparenza è massima. Piccole famigliole di occhiate transitano a ridosso della roccia a cercare protezione, delle salpe saettano nell’acqua libera e si immergono quando mi avvicino. Ormai il fondo non si vede più. Alla base della scarpata, sui 15 mt. una cerniola in candela mi osserva con curiosità, pronta a intanarsi al minimo cenno di pericolo. Ho già iniziato l’ossigenazione da alcuni minuti, la testa comincia leggermente a girare, sto per arrivare al massimo dell’iperventilazione.

Sono completamente rilassato, respiro normalmente per ristabilire l’equilibrio. Svuoto la mente e con una capriola perfetta e silenziosa mi immergo con il braccio destro col fucile in linea con il resto del mio corpo. I miei occhi non guardano verso il fondo perchè la testa non è inclinata ma in posizione normale. Porto la mano sinistra al naso e comincio a compensare. 3, 6, 9 mt. un sibilo sottile e ristabilisco la pressione contro il timpano. La cerniola che avevo visto dalla superficie, si sposta di qualche metro e si avvicina alla sua tana osservandomi con curiosità.

Dò uno sguardo al profondimetro, sono sotto i 14 mt. infatti il mio corpo è diventato leggermente negativo e scivolo verso i 20 mt.. Mi sento bene, in forma perfetta, ogni molecola del mio corpo è attiva e vigile. Guardo verso il basso e il fondo non si vede. Scorgo sulla destra un roccione piatto e mi avvicino, sono sui 27 mt. Mi piazzo in orizzontale su questo sperone ed aspetto. Probabilmente il fondale sotto di me sarà sui 40 mt. Il mio sguardo penetra nel blu cobalto, alcune ombre sfuggenti mi fanno capire che i dentici si muovono ma restano lontani.

Ci sono dei momenti nella vita in cui il tempo si ferma! Tutta la vita passata, ti scorre davanti agli occhi come in un film. Vedi le belle cose, quelle brutte, quelle che avresti voluto non fare e quelle che invece hai fatto e di cui non vai fiero. Sono solo attimi ma sono profondi, perché ti mettono in contatto con il tuo essere, quello vero. In quei momenti la tua personalità, il tuo ego, spariscono, e sei finalmente in contatto con l’anima. È un viaggio  nei meandri reconditi della coscienza, quelli che solo a tratti nel corso delle tue giornate intravedi in alcuni pensieri o in alcune manifestazioni esteriori che riconducono alla tua parte più privata, più essenziale. In quei momenti stai bene, sei pulito, ti senti parte di un tutto, non sei più separato dall’albero vicino al quale stai passando o dal tuo cane che ti trotterella accanto. È un unico essere che li racchiude tutti e tu non esisti più in quanto essere separato ma solo perchè fai parte di un insieme. Così, mentre il tuo sguardo spazia nelle profondità marine nell’attesa che un guizzo argenteo si avvicini a tiro dello Sten, la mente si allarga e tu non sei più schiacciato da una colonna di 27 metri di acqua, che il tuo corpo per un miracolo della natura, bilancia perfettamente, con il cuore che provvede a pompare sangue nelle arterie  per compensare il peso che ti schiaccia. Anzi, sei leggero e ti sposti senza fatica roteando su te stesso per guardarti attorno nel caso che la preda stia per sorprenderti alle spalle. 

La vita è così. Una scintilla, un lampo che ti acceca per un istante e ti lascia come cieco per un pò, fino a quando le tue pupille si riabituano all’oscurità ed allora riprendi a vedere. Il punto è proprio questo: vedere. Ma che cosa vediamo? Probabilmente solo quello che vogliamo vedere, quindi una piccolissima parte dell’esistenza. Il resto è nascosto. L’apparenza , la Maya degli antichi, questo vediamo e percepiamo. I nostri sensi ne sono completamente annicchiliti. Bisogna vedere attraverso questa coltre con gli occhi della mente che sono il nostro organo di contatto con la realtà. Spesso durante la nostra giornata è proprio come se restassimo in apnea, e ci impedissimo di respirare. Ed è noto cosa succede quando l’ossigeno non arriva al cervello attraverso i polmoni, si muore. E così noi durante il corso della nostra esistenza, muoriamo, un pò alla volta, giorno dopo giorno. Ci accontentiamo di piccoli sorsi di aria che ci consentono di sopravvivere, non di vivere. L’iperventilazione profonda che si fa prima di una immersione consiste in diversi passaggi: il primo è il lavaggio degli strati profondi dei polmoni. Mi spiego meglio. Quando viviamo la nostra esistenza quotidiana e respiriamo normalmente, utilizziamo sono una piccola parte della capacità dei nostri polmoni, circa un terzo. I restanti due terzi immagazzinano di riflesso dell’aria che non è priva di co2. Quindi il primo passo è quello di svuotare i nostri polmoni completamente, ripulirli e quindi fare in modo che la loro capacità che varia da individuo ad individuo, possa essere riempita di aria pulita al 100%. Successivamente bisogna respirare a fondo per fare in modo che tutti i capillari presenti nei polmoni diventino saturi di ossigeno, la preziosa riserva che ci viene in aiuto nei momenti difficili della risalita quando conta persino il piccolo volume di aria contenuto nella maschera. Questa fase è la più lunga e laboriosa ed è quella che ci porta alla saturazione. L’ultima consiste nell’immagazzinamento nei polmoni di tutta la capacità disponibile di aria. Quindi finalmente inizia l’immersione con la capriola e la discesa. Questa esemplificazione ha a che vedere con la vita. Più ci ossigeniamo e più scendiamo nelle profondità del mare o dell’essere. Infatti anche nella nostra vita dobbiamo ripulire la coscienza da tutte le scorie che abbiamo immagazzinato nel corso degli anni. Ripulire la superficie della nostra coscienza da tutte le asperità che si sono create in seguito alle scelte sbagliate che abbiamo fatto, alle strade impervie che abbiamo risalito solo spinti magari dalla sete di guadagno, oppure dal desiderio di potere, tutte caratteristiche della nostra personalità, il nostro ego. Eppure la via maestra era lì, di fronte a noi, non avevamo che scegliere se farci trascinare o nuotare controcorrente. Nel primo caso ci si lascia andare, è più semplice che lottare, si fa meno fatica e i risultati sono immediati…li vediamo a pochi passi. Quando invece il tuo corpo entra nel flusso della corrente contraria, ogni singolo muscolo deve reagire e creare una forza che superi quella della corrente anche di pochissimo, per procedere e i risultati li vedremo solo quando cm dopo cm saremo giunti là dove non v’è più corrente nè turbinio ma solo pace e tranquillità. Ruyard Kipling nel suo bellissimo poema “If”, ha mirabilmente sintetizzato ciò che sto cercando di dire : if you can fill the unforgiving minute with sixty seconds’ worth of distance run, Yours is the Earth and everything that’s in it, and, wich is more, you ‘ll be a Man, my son!

Fabrizio

Benedetto XVI non ha avuto timore dei lupi

IL CONCLAVE DEL 2005… UNA DRAMMATICA LOTTA TRA IL COSIDDETTO “PARTITO DEL SALE DELLA TERRA ” E IL “GRUPPO DI SAN GALLO”, “UNA SPECIE DI MAFIA-CLUB”…

Nel conclave dell’aprile del 2005… Joseph Ratzinger, dopo una delle elezioni più brevi della storia della Chiesa, uscì eletto dopo solo quattro scrutini a seguito di una drammatica lotta tra il cosiddetto “Partito del sale della terra” (“Salt of Earth Party”) intorno ai cardinali López Trujíllo, Ruini, Herranz, Rouco Varela o Medina e il cosiddetto “Gruppo di San Gallo” intorno ai cardinali Danneels, Martini, Silvestrini o Murphy-O’Connor; gruppo che, di recente, lo stesso cardinal Danneels di Bruxelles in modo divertito ha definito come “una specie di mafia-club”.
L’elezione era certamente l’esito anche di uno scontro, la cui chiave quasi aveva fornito lo stesso Ratzinger da cardinale decano, nella storica omelia del 18 aprile 2005 in San Pietro; e precisamente lì dove a “una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie” aveva contrapposto un’altra misura: “il Figlio di Dio e vero uomo” come “la misura del vero umanesimo”.
Questa parte… oggi si legge quasi come un giallo mozzafiato di non troppo tempo fa; mentre invece la “dittatura del relativismo” da tempo si esprime in modo travolgente attraverso i molti canali dei nuovi mezzi di comunicazione che, nel 2005, a stento si potevano immaginare.

Già il nome che il nuovo papa si diede subito dopo la sua elezione rappresentava perciò un programma. Joseph Ratzinger non divenne Giovanni Paolo III, come forse molti si sarebbero augurati. Si riallacciò invece a Benedetto XV – l’inascoltato e sfortunato grande papa della pace degli anni terribili della Prima guerra mondiale – e a san Benedetto di Norcia, patriarca del monachesimo e patrono d’Europa. Potrei comparire come superteste per testimoniare come, negli anni precedenti, mai il cardinale Ratzinger aveva premuto per assurgere al più alto ufficio della Chiesa cattolica.

Già sognava invece vivamente una condizione che gli avrebbe permesso di scrivere in pace e tranquillità alcuni, ultimi libri. Tutti sanno che le cose andarono diversamente. Durante l’elezione, poi, nella Cappella Sistina fui testimone che visse l’elezione come un “vero shock” e provò “turbamento”, e che si sentì “come venire le vertigini” non appena capì che “la mannaia” dell’elezione sarebbe caduta su di lui. Non svelo qui alcun segreto perché fu Benedetto XVI stesso a confessare tutto questo pubblicamente in occasione della prima udienza concessa ai pellegrini venuti dalla Germania. E così non sorprende che fu Benedetto XVI il primo papa che subito dopo la sua elezione invitò i fedeli a pregare per lui…”

Georg Gänswein, 20 maggio 2016

La beffa dell’armistizio di Cassibile e le conseguenze che paghiamo ancora oggi

Per quasi due anni il nostro Paese verrà dilaniato da una guerra civile che si concluderà solo il 25 Aprile 1945 lasciando sul campo mezzo milione di morti e creando una “lacerazione politica” nel popolo italiano i cui effetti nefasti sono giunti sino ai giorni nostri.

Roma – L’8 Settembre 1943 è una data che resterà per sempre marchiata dall’infamia nella storia italiana. Il Gran Consiglio del Fascismo nella notte tra il 24 ed il 25 Lugliodello stesso anno aveva sfiduciato Benito Mussolini inducendo il Re Vittorio Emanuele III a sostituire il Duce con un uomo di sua fiducia, individuato nel Maresciallo Pietro Badoglio .

Pur cadendo il regime fascista l’Italia continuava la guerra al fianco della Germaniama segretamente i nostri diplomatici trattavano la pace con le Forze Alleate e il 3 Settembre veniva siglato l’armistizio a Cassibile, in provincia di Siracusa, che prevedeva però una clausola segreta in base alla quale sarebbe entrato in vigore esclusivamente dopo il suo annuncio pubblico.Il Re ed i suoi ministri in fuga da Roma giungono a Brindisi.

Iniziava così un gioco al rimpiattino tra il Governo italiano che voleva ritardare questo annuncio e il comando alleato che invece voleva rendere noto l’accordo al più presto. Alla fine il generale americano Dwight David Eisenhower  rompeva l’impasse e l’8 Settembre di settantasette anni fa, alle 17.30, trasmetteva il proclama in lingua inglese da Radio Algeri, seguito due ore dopo daBadoglio che annunciava la fine delle ostilità agli Italiani parlando dai microfoni dell’EIAR, che poi diventerà Rai.

Ed è in questo momento che assistiamo “alla morte della patria“: le autorità del “Bel Paese” sono completamente impreparate alla fine della guerra. Il nostro esercito in mancanza di ordini precisi si “sfalda” letteralmente abbandonato a sé stesso e le truppe tedesche ancora presenti nella penisola si impadroniscono facilmente di Roma e dell’Italia settentrionale.Benito Mussolini con Pietro Badoglio.

Possiamo ricordare episodi eroici come quello della Divisione Acqui comandata dal generale Gandini che nell’isola di Cefalonia, in Grecia, rifiutava di arrendersi ai Tedeschi e da questi veniva ignobilmente massacrata per salvare il proprio onore e quello dell’Italia. Il Re, invece, fuggiva precipitosamente dalla Capitale con il suo governo in direzione di Brindisi in Puglia dove erano già sbarcati gli Alleati che avevano liberato il territorio dai nazifascisti.

I fatti di 80 anni or sono

L’armistizio di Cassibile (detto anche armistizio corto) fu un atto della seconda guerra mondiale che prevedeva la resa incondizionata delle forze armate italiane alle forze alleate con il conseguente disimpegno italiano dall’Asse[1] e l’inizio di fatto della cobelligeranza tra Italia e Alleati in caso di reazione armata della Germania nazista.[2]Venne firmato il 3 settembre 1943 dai generali Giuseppe Castellano e Walter Bedell Smith e divenne pubblico l’8 settembre del 1943. L’annuncio dell’armistizio ebbe per conseguenza l’invasione dei territori italiani da parte delle forze armate tedesche e l’inizio della Resistenza e della guerra di liberazione italiana contro il nazifascismo.

La stipula ebbe luogo in Sicilia nella frazione siracusana di Cassibile, in contrada Santa Teresa Longarini[3][4][5] e rimase segreta per cinque giorni, nel rispetto di una clausola del patto che prevedeva che esso entrasse in vigore dal momento del suo annuncio pubblico. Il pomeriggio dell’8 settembre 1943 alle ore 17:30 (18:30 per l’Italia)[6], Radio Algeri trasmise il proclama in lingua inglese per bocca del generale statunitense Dwight Eisenhower. Solo alle 19:42 il popolo italiano venne informato della firma grazie al proclama del primo ministro Pietro Badoglio trasmesso dai microfoni dell’EIAR

La caduta del fascismo

Nella prima metà del 1943, in una situazione generale di grave preoccupazione, indotta dall’opinione, sempre più condivisa, che la guerra fosse ormai perduta e che stesse apportando insopportabili e gravissimi danni al Paese, Benito Mussolini, capo del governo, operò una serie di avvicendamenti, che investirono alcuni dei più significativi centri di potere e delle alte cariche dello Stato, rimuovendo, tra l’altro, alcuni personaggi che reputava ostili alla prosecuzione del conflitto accanto alla Germania, o comunque più fedeli al Re che non al regime fascista. Tra gli altri, furono rimossi Giuseppe Volpi, Presidente della Confindustria e membro del Gran Consiglio del FascismoGaleazzo Ciano, Ministro degli Esteri e genero del Duce, relegato a servire quale ambasciatore presso la Santa Sede, e il Ministro della Cultura Popolare Alessandro Pavolini, cui fu affidata la direzione del quotidiano “Il Messaggero“.

Secondo alcuni studiosi, fu a seguito di tali sostituzioni, finalizzate a rafforzare il regime in crisi di consenso, se non apertamente ostili al Quirinale (dal quale giungevano da tempo segnali critici occulti nei confronti del governo), che re Vittorio Emanuele III avrebbe rotto gli indugi e cominciato a progettare in via esecutiva un piano che consentisse la destituzione del Duce. Maria Josè di Savoia, moglie del principe ereditario Umberto, già ai primi di settembre del 1942 – un anno prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943 – aveva avviato, tramite Guido Gonella, contatti con il Vaticano, nella persona di monsignor Giovanni Battista Montini, auspicando di potersi avvalere della diplomazia pontificia, e quindi dell’Incaricato d’Affari dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, l’ambasciatore Babuscio Rizzo, per fare da tramite e aprire un canale di comunicazione con gli Alleati anglo-americani (in particolare con l’Ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa SedeMyron C. Taylor) al fine di far uscire l’Italia dalla seconda guerra mondiale.

Per questo fu avvicinato Dino Grandi, uno dei gerarchi più intelligenti e prestigiosi dell’élite di comando, che in gioventù si era evidenziato come il solo vero potenziale antagonista di Mussolini all’interno del Partito Nazionale Fascista, e del quale si aveva motivo di sospettare che avesse di molto rivisto le sue idee sul regime. A Grandi, attraverso garbati e fidati mediatori fra i quali il conte d’Acquarone,Ministro della Real Casa, e lo stesso Pietro Badoglio, si prospettò l’opportunità di avvicendare il dittatore e si convenne che la stagione del fascismo originale, quello della “idea pura” dei Fasci di Combattimento, era finita e il regime si era irrimediabilmente annacquato in un qualunque sistema di gestione del potere, avendo perso ogni speranza di sopravvivere a sé stesso.

Grandi riuscì a coinvolgere nella fronda sia Giuseppe Bottai, altro importantissimo gerarcache sosteneva l’idea originaria e “sociale” del fascismo operando sui campi della cultura, sia Galeazzo Ciano, che oltre che ministro e altissimo gerarca anch’egli, era pure genero del Duce. Con essi diede vita all’Ordine del Giorno che avrebbe presentato alla riunione del Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio 1943 e che conteneva l’invito rivolto al Re a riprendere le redini della situazione politica. Mussolini fu arrestato e sostituito da Badoglio, anziché, come era stato sempre detto a Grandi, da Enrico Caviglia.

La nomina di Badoglio non significava una tregua, sebbene fosse un tassello della manovra sabauda per giungere alla pace. Attraverso un gran numero di espedienti, si cercò un produttivo contatto con le Potenze Alleate, cercando di ricostruire quei passaggi delle trattative (sempre indicate come spontanee e indipendenti) già intessute da Maria José, consorte di Umberto di Savoia, che potevano stavolta meritare l’avallo del Re.

Il generale Castellano fu inviato a Lisbona per incontrare gli inviati alleati, tuttavia, non poté attuare la missione con la speditezza che la drammaticità della situazione esigeva. Castellano, infatti, fu autorizzato a raggiungere il territorio neutrale soltanto in treno, e impiegò tre giorni per raggiungere Madrid e in seguito Lisbona. Castellano non parlava inglese e poté avvalersi come traduttore e assistente del console Franco Montanari (che lo accompagnò in seguito fino a Cassibile). Solo il 19 agosto conferì con i rappresentanti del Comando Alleato. Ripartì il giorno 23, giungendo finalmente a Roma il 27 agosto. La missione era durata quindici giorni. Nel frattempo, per affiancare l’inviato italiano, furono mandati a Lisbona in aereo il generale Rossi e il generale Zanussi, che si presentarono ai rappresentanti alleati appena ripartito Castellano per Roma. Questa scelta generò anche una certa perplessità tra gli Alleati; in particolare il generale Zanussi, già addetto militare a Berlino, non era ben visto dagli Alleati, peraltro confusi dall’invio di delegazioni così ravvicinate e senza coordinamento[8]. L’Ambasciatore britannico Ronald Campbell e i due generali inviati nella capitale portoghese dal generale Dwight David Eisenhower, lo statunitense Walter Bedell Smith e il britannico Kenneth Strong, ricevettero la disponibilità di Roma alla resa.[9]

Accettare la resa (rinunciando a conquistare militarmente l’Italia), divenne dunque la scelta più utile, per la quale spendere molte energie diplomatiche, sia da parte americana sia degli altri alleati.

Il 30 agosto, Badoglio convocò Castellano, rientrato il 27 da Lisbona con qualche prospettiva. Il generale comunicò la richiesta di un incontro in Sicilia, che era già stata conquistata. La proposta fu avanzata dagli Alleati per il tramite dell’Ambasciatore britannico in Vaticano, D’Arcy Osborne che collaborava a stretto contatto con il collega statunitense Myron Charles Taylor. Si è congetturato che la scelta proprio di quel diplomatico non fosse stata casuale, a significare che il Vaticano, già attraverso monsignor Montini ben immerso in trattative diplomatiche per il futuro post-bellico, e sospettato dal Quirinale di aver osteggiato la pace in trattative precedenti, stavolta avallasse, o almeno non intendesse ostacolare, il perseguimento di un simile obiettivo.

La scelta delle condizioni

Badoglio, che era convinto di poter negoziare la resa, quantunque si trattasse in realtà di una richiesta di cessazione delle ostilità, inviò Castellano come ambasciatore presso gli Alleati. Castellano fu incaricato di specificare una condizione: l’intervento alleato nella penisola. Badoglio decise addirittura di chiedere agli Alleati di conoscere quali fossero i loro piani, sebbene il conflitto fosse ancora in corso.

Tra le tante altre condizioni che furono richieste agli Alleati, solo quella di inviare 2.000 unità paracadutate su Roma per la difesa della Capitale fu accolta, anche perché in parte già prevista dai piani alleati (ma sarebbe stata poi snobbata dagli stessi comandi italiani)[10]. Il 31 agosto il generale Castellano giunse a Termini Imerese e fu portato a Cassibile (Siracusa).

Castellano chiese garanzie agli Alleati riguardo alla reazione tedesca contro l’Italia alla notizia della firma dell’armistizio e, in particolare, uno sbarco alleato a nord di Roma precedente all’annuncio; da parte alleata si ribatté che uno sbarco in forze e l’azione di una divisione di paracadutisti sulla capitale (un’altra richiesta su cui Castellano insistette) sarebbero stati in ogni caso contemporanei e non precedenti alla proclamazione dell’armistizio. In serata Castellano rientrò a Roma per riferire.

Il giorno successivo Castellano fu ricevuto da Badoglio; all’incontro parteciparono il Ministro degli Esteri Raffaele Guariglia e i generali Vittorio Ambrosio e Giacomo Carboni. Emersero posizioni non coincidenti: Guariglia e Ambrosio ritenevano che le condizioni alleate dovessero a quel punto essere accettate; Carboni dichiarò invece che il Corpo d’Armatada lui dipendente, schierato a difesa di Roma, non avrebbe potuto difendere la città dai tedeschi per mancanza di munizioni e carburante. Badoglio, che nella riunione non si pronunciò, fu ricevuto nel pomeriggio dal re Vittorio Emanuele, che decise di accettare le condizioni dell’armistizio.

L’arrivo di Castellano a Cassibile e la stipula

Un telegramma di conferma fu inviato agli Alleati; in esso si preannunciava anche l’imminente invio del generale Castellano. Il telegramma fu intercettato dalle forze tedesche in Italia che, già in sospetto di una simile possibile soluzione, presero a mettere sotto pressione, attraverso il comandante della piazza di Roma, Badoglio: questi enfaticamente spese molte volte la propria parola d’onore per smentire[senza fonte] qualsiasi rapporto con gli americani, ma in Germania cominciarono a organizzare delle contromisure.

Il 2 settembre Castellano ripartì per Cassibile, per dichiarare l’accettazione da parte italiana del testo dell’armistizio; non aveva tuttavia con sé alcuna autorizzazione scritta a firmare. Badoglio, che non gradiva che il suo nome fosse in qualche modo legato alla sconfitta[senza fonte], cercava di apparire il meno possibile e non gli aveva fornito deleghe per la firma, auspicando evidentemente che gli Alleati non pretendessero altri impegni scritti oltre al telegramma spedito il giorno precedente.

Castellano sottoscrisse il testo di un telegramma da inviare a Roma, redatto dal generale Bedell Smith, in cui si richiedevano le credenziali del generale, cioè l’autorizzazione a firmare l’armistizio per conto di Badoglio, che non avrebbe più potuto evitare il coinvolgimento del suo nome; si precisò che, senza tale firma, si sarebbe prodotta l’immediata rottura delle trattative. Ciò, naturalmente, perché in assenza di un accredito ufficiale, la firma di Castellano avrebbe impegnato solo lo stesso generale, certo non il governo italiano. Nessuna risposta pervenne tuttavia da Roma. Al che, nella prima mattinata del 3 settembre, per sollecitare la delega, Castellano inviò un secondo telegramma a Badoglio, che questa volta rispose quasi subito con un radiogramma in cui chiariva che il testo del telegramma del 1º settembre era già un’implicita accettazione delle condizioni di armistizio poste dagli Alleati.

Ma di fatto continuava comunque a mancare una delega a firmare e si dovette attendere un ulteriore telegramma di Badoglio, pervenuto solo alle 16:30: oltre all’esplicita autorizzazione a firmare l’armistizio per conto di Badoglio, il telegramma informava che la dichiarazione di autorizzazione era stata depositata presso l’ambasciatore britannico in Vaticano D’Arcy Osborne. A quel punto si procedette alla firma del testo dell’armistizio ‘breve’.

L’operazione ebbe inizio intorno alle 17. Apposero la loro firma Castellano, a nome di Badoglio, e Walter Bedell Smith (futuro direttore della CIA) a nome di Eisenhower. Alle 17:30 il testo risultava firmato. Fu allora bloccata in extremis dal generale Eisenhower la partenza di cinquecento aerei già in procinto di decollare per una missione di bombardamento su Roma, minaccia che aveva corroborato lo sveltimento dei dubbi di Badoglio e che probabilmente sarebbe stata attuata se la firma fosse saltata.

Harold Macmillan, il Ministro britannico distaccato presso il Quartier Generale di Eisenhower, informò subito Churchill che l’armistizio era stato firmato “[…] senza emendamenti di alcun genere”.

A Castellano furono solo allora sottoposte le clausole contenute nel testo dell’armistizio ‘lungo’, già presentate invece a suo tempo dall’ambasciatore Campbell al generale Giacomo Zanussi, anch’egli presente a Cassibile già dal 31 agosto, che tuttavia, per ragioni non chiare, aveva omesso di informarne il collega. Bedell Smith sottolineò che le clausole aggiuntive contenute nel testo dell’armistizio “lungo” avevano tuttavia un valore dipendente dalla effettiva collaborazione italiana alla guerra contro i tedeschi.

Nel pomeriggio dello stesso 3 settembre Badoglio si riunì con i Ministri della Marina, De Courten, dell’Aeronautica, Sandalli, della Guerra, Sorice, presenti il generale Ambrosio e il Ministro della Real Casa Acquarone: non fece cenno alla firma dell’armistizio, riferendosi semplicemente a trattative in corso.

Fornì invece indicazioni sulle operazioni previste dagli Alleati; in particolare, nel corso di tale riunione, avrebbe fatto cenno allo sbarco in Calabria, a uno sbarco di ben maggiore rilievo atteso nei pressi di Napoli e all’azione di una divisione di paracadutisti alleati a Roma, che sarebbe stata supportata dalle divisioni italiane in città perché ormai l’Italia avrebbe agevolato gli alleati.

Intanto Hitler, il 7 settembre, aveva chiesto al suo comando di formalizzare in un ultimatum le pressanti richieste che i comandi militari tedeschi facevano al comando supremo italiano.[11] Le richieste comprendevano la libertà di movimento delle truppe tedesche in ogni parte del territorio italiano, in particolare le installazioni della Marina militare. Con insistenza, i tedeschi avevano chiesto più volte di stabilire quartiere alla Spezia, per difendere il locale grande Arsenale della Marina, sede della Flotta Navale da Battaglia e base delle principali navi della Marina: da questo porto, la notte fra l’8 e il 9 settembre, uscirà la Flotta per andare a consegnarsi agli Alleati in ottemperanza delle condizioni d’armistizio, inclusa la “Roma”, poi affondata al largo dell’Asinara dall’aviazione tedesca, il ritiro delle truppe italiane dalle zone di confine con il Reich, la sottomissione di tutte le truppe italiane presenti nella Valle del Po alle direttive del Heeresgruppe B, creazione di un grande contingente di truppe italiane per la difesa dell’Italia del Sud dall’invasione alleata e modifica della catena di comando in favore di un controllo tedesco delle forze armate italiane. L’ultimatum doveva essere firmato da Hitler il 9 settembre, ma l’annuncio dell’armistizio lo rese inutile.[11]

Gli eventi correlati e la divulgazione

Nelle prime ore del mattino del 3 settembre, dopo un bombardamento aeronavale alleato delle coste calabresi, ebbe inizio fra Villa San Giovanni e Reggio Calabria lo sbarco di soldati della 1ª Divisione canadese e di reparti britannici; si trattò di un imponente diversivo per concentrare l’attenzione dei tedeschi molto a sud di Salerno, dove avrebbe avuto invece luogo lo sbarco principale.

Due americani, il generale di brigata Maxwell D. Taylor e il colonnello William T. Gardiner, furono inviati in segreto a Roma per verificare le reali intenzioni degli italiani e la loro effettiva capacità di supporto per i paracadutisti americani. La sera del 7 settembre incontrarono il generale Giacomo Carboni, responsabile delle forze a difesa di Roma. Carboni manifestò l’impossibilità delle forze italiane di appoggiare i paracadutisti americani e la necessità di rinviare l’annuncio dell’armistizio. Gli americani chiesero di vedere Badoglio, il quale confermò l’impossibilità di un immediato armistizio. Eisenhower, avvisato dei fatti, fece annullare l’azione dei paracadutisti, che avevano già parzialmente preso il decollo dalla Sicilia, e decise di rendere pubblico l’armistizio. Alle 18:30 dell’8 settembre gli Alleati annunciarono l’armistizio dai microfoni di Radio Algeri[12]. Alle 18:45 un bollettino della Reuters raggiunge Vittorio Emanuele e Badoglio al Quirinale; il Re decise di confermare l’annuncio degli americani.[13]

L’armistizio fu reso pubblico alle 19:45 dell’8 settembre dai microfoni dell’EIAR che interruppero le trasmissioni per trasmettere l’annuncio (precedentemente registrato) della voce di Badoglio che annunciava l’armistizio alla nazione.

Le conseguenze

Prima pagina del Corriere della Seracon l’annuncio dell’armistizio

Lo stesso argomento in dettaglio: Internati Militari Italiani e Trasferimento di Vittorio Emanuele III.

L’annuncio dell’armistizio da parte degli alleati colse del tutto impreparate e lasciò quasi prive di direttive le forze armate italiane che si trovavano impegnate in compiti di occupazione all’estero, e quelle addette alla protezione del territorio metropolitano: non vi erano ordini né piani, né ve ne sarebbero stati nei giorni a seguire.

Il mattino successivo, di fronte alle prime notizie di un’avanzata di truppe tedesche dalla costa tirrenica verso Roma, il re, la regina, il principe ereditario, Badoglio, due ministri del Governo e alcuni generali dello stato maggiore furono trasferiti nel Sud Italia per mettersi in salvo dal pericolo di una cattura da parte tedesca e per rappresentare ancora il Regno d’Italia in una zona non occupata né dai tedeschi né dagli Alleati. Brindisi divenne per qualche mese la sede degli enti istituzionali. Il progetto iniziale era stato quello di trasferire con il re anche gli stati maggiori al completo delle tre forze armate, ma solo pochi ufficiali raggiunsero Brindisi.

Tristemente noto è l’episodio dell’imbarco nel porto di Ortona: poiché non c’era posto per tutti i componenti del numeroso seguito, molti di loro, pur essendo alti ufficiali delle Forze Armate, si gettarono inutilmente all’assalto della piccola corvetta Baionetta, e una volta respinti a terra, colti dal panico, vestirono abiti borghesi e, abbandonando bagagli e uniformi per terra nel porto, si diedero alla macchia[14].

Così, mentre avveniva il totale sbandamento delle forze armate, le armate tedesche della Wehrmacht e delle SS presenti in tutta la penisola poterono far scattare l’Operazione Achse (secondo i piani già predisposti sin dal 25 luglio dopo la destituzione di Mussolini) occupando tutti i centri nevralgici del territorio nell’Italia settentrionale e centrale, fino a Roma, sbaragliando quasi ovunque l’esercito italiano: la maggior parte delle truppe fu fatta prigioniera e venne mandata nei campi di internamento in Germania, mentre il resto andava allo sbando e tentava di rientrare al proprio domicilio. Di questi ultimi, chi per motivi ideologici o per opportunità si diede alla macchia andò a costituire i primi nuclei del movimento partigiano della resistenza italiana.

Cassibile (Siracusa), 3 settembre 1943. Dopo la firma dell’armistizio fra l’Italia e le potenze alleate, posano per una foto nell’oliveto presso la tenda dove si è svolta la cerimonia. Da sinistra, il brigadiere generaleinglese Kenneth Strong, il generale italiano Giuseppe Castellano, il generale statunitense Walter Bedell Smith (futuro direttore della CIA) e il diplomatico Franco Montanari, che aveva svolto le funzioni di traduttore e interprete per Castellano.

Nonostante alcuni straordinari episodi di valore in patria e su fronti esteri da parte del regio esercito italiano (tra i più celebri si ricordano quelli che si conclusero con l’eccidio di Cefalonia e con l’eccidio di Coo, avvenuto dopo la battaglia di Coo), quasi tutta la penisola cadde sotto la pronta occupazione tedesca e l’esercito venne disarmato, mentre l’intera impalcatura dello Stato cadde in sfacelo. Le Forze Armate italiane riuscirono a sconfiggere e mettere in fuga il nemico tedesco solo a Bari, grazie al deciso e fermo atteggiamento del generale Nicola Bellomo, in Sardegna e in Corsica (che era stata occupata dall’Italia). A Napoli, invece, fu la popolazione a mettere in fuga le truppe nazifasciste dopo una battaglia durata quattro giorni (episodio che sarebbe poi passato alla storia come le cosiddette quattro giornate di Napoli). Una questione a parte si originò circa la mancata difesa di Roma, che poté essere espugnata dai tedeschi malgrado la ferma opposizione fra gli altri reparti militari italiani, di alcuni reggimenti dell’Arma di Cavalleria del Regio Esercito come “Genova Cavalleria” (4°) “Lancieri di Montebello” (8°), “Lancieri di Vittorio Emanuele II°” (10°), questi ultimi due montati anche su semoventi da 75/18 su scafo M42.

La Regia Marina, che era ancorata nei porti da circa un anno per penuria di carburante, dovette consegnarsi nelle mani degli Alleati a Malta come prescritto nelle condizioni di armistizio. Successivamente, dopo la consegna, le navi maggiori furono internate nei Laghi Amari mentre il naviglio minore si unì alle flotte alleate per combattere contro il nuovo nemico. In seguito buona parte della flotta, in ottemperanza del trattato di Parigi del 1947, venne ceduta alle potenze vincitrici o demolita.

La sera dell’8 settembre, quando il ministro della Marina De Courten annunciò alle basi di La Spezia e di Taranto l’armistizio e l’ordine del re di salpare con tutte le navi per Malta, tra gli equipaggi si rischiò la rivolta e in quelle concitate ore c’era chi proponeva di lanciarsi in un ultimo disperato combattimento, chi di autoaffondarsi. Il contrammiraglio Giovanni Galati, comandante del gruppo di incrociatori leggeri Luigi CadornaPompeo Magno e Scipione Africano, rifiutò la resa e dichiarò che non avrebbe mai consegnato le navi ai britannici a Malta, mostrando l’intenzione di salpare per il Nord, o per cercare un’ultima battaglia, o per autoaffondare le navi. L’ammiraglio Brivonesi, suo superiore, dopo aver tentato invano di convincerlo a obbediire agli ordini del Re, al quale aveva prestato giuramento, lo fece mettere agli arresti in fortezza[15], insieme con Galati furono sbarcati il capitano di vascello Baslini e il tenente di vascello Adorni, che si erano rifiutati di consegnare agli alleati le navi al loro comando.[16]

De Courten nel pomeriggio telefonò a La Spezia all’ammiraglio Bergamini, ammettendo che l’armistizio era ormai imminente[17]; dovendo però andare al Quirinale, lasciò al suo vice, ammiraglio Sansonetti, ex compagno di corso di Bergamini, il compito di convincerlo. Bergamini, con riluttanza, accettò formalmente gli ordini lasciando gli ormeggi, ma De Courten nascose la clausola del disarmo che pure era tra le condizioni dell’armistizio così come alcune clausole del Promemoria Dick,[18]allegato all’armistizio.
Tale documento prevedeva, fra l’altro, di innalzare un pennello nero o blu scuro sull’albero di maestra e di porre in coperta grandi dischi neri[17]; questi segnali saranno innalzati dall’ammiraglio Oliva solo alle ore 7 del 10 settembre dopo comunicazione della Supermarina,[17] mentre Bergamini innalzò il gran pavese navigando verso Malta, la sua navigazione si concluse il pomeriggio del giorno seguente, quando la Roma venne sventrata da una bomba teleguidata Fritz-Xlanciata da un Dornier Do 217 tedesco.

La “Pietra della pace” – Cassibile(Siracusa) donata dallo Stato Maggiore di Eisenhower alla baronessa Aline Grande

Il naviglio della Regia Marina perso a causa dell’armistizio, sia per autoaffondamento sia per cattura da parte dei tedeschi fu di 294 363 tonnellate per 392 unità già operative, e di 505 343 tonnellate per 591 unità se si aggiungono le unità in costruzione, questo dislocamento rappresentava il 70% del dislocamento di tutte le navi della Regia Marina all’inizio della guerra, ed era nettamente superiore al dislocamento del naviglio perso nei precedenti 39 mesi di guerra (334 757 tonnellate).[19]

Gli aviatori italiani rimasti fedeli al governo Badoglio, continuarono a far parte della Regia Aeronautica: alcuni reparti della stessa infatti si rischieravano o erano già presenti da prima dell’armistizio, per lo più nelle basi salentine di Galatina, Leverano, Brindisi, Grottaglie, Manduria ancora non raggiunte degli anglo-americani e lasciate dai tedeschi in ritirata.

Fonte :Wikipedia – Il giornale popolare