La necropoli globale

di Marcello Veneziani

Da tre anni e mezzo, salvo brevi intervalli, passiamo da un incubo all’altro, e ogni tentativo di pensare altro, di parlare d’altro, di scrivere d’altro, è visto come qualcosa di inopportuno, di elusivo, quasi di vigliacco, oltre che di stravagante. Dai tempi in cui esplose il covid, nel marzo del 2020 a oggi, stiamo passando da uno psicodramma globale all’altro, senza soluzione di continuità e con l’imperativo di farsi coinvolgere, se non si vuole passare per disertori o peggio, complici, per intelligenza col nemico. Non c’è evento che si possa circoscrivere, localizzare: ogni cosa che accade, ci tocca da vicino, riguarda anche noi, anzi è il preavviso di quel che ci accadrà. La somministrazione dell’angoscia è affidata ai media e propagata dai social.
E appena c’è una pausa tra una tragedia e l’altra, basta un evento atmosferico per trasferirci in una specie di intervallo di “ricreazione”, nell’angoscia del clima, l’ansia della catastrofe ambientale ormai imminente. In modo da non allentare mai la tensione, neanche in pausa o in gita.
Non dirò che c’è un Grande Complotto Mondiale, o un Grande Satana, che ci impone questa filiera di emergenze e di paure. Non può essere. Più probabilmente siamo entrati in una psicosi globale con reazione a catena, che comporta tra l’altro la radicalizzazione della società in posizioni opposte, e ogni tentativo di comprendere, capire le ragioni dell’altra parte s’infrange nella chiamata alle armi: o sei di qua o sei di là, sei col nemico, sei col male, sei dalla parte della malattia, dell’aggressione, del terrore. Ogni evento scava poi un fossato di odio e diffidenza tra noi “occidentali” e loro: i cinesi del virus, i russi dell’invasione, i terroristi islamici e i loro alleati e protettori.
Ma di questa atmosfera che viviamo ormai da troppi anni, vorrei far notare innanzitutto la sua ricaduta sul piano psicologico: si sta impoverendo con una velocità impressionante, pari solo alla radicalità della prospettiva, il nostro orizzonte di pensiero e di vita.
Tutto ciò che non combacia o non conduce ai temi dominanti di oggi è giudicato come una fuga, uno sproposito, un andare fuori tema. Impallidisce la storia, regredisce il pensiero, si essiccano perfino i risvolti umani, sentimentali e affettivi, almeno quelli un tempo dichiarati. Una prova sul campo di quel che dico, un test indicativo, lo trovo nel campo che mi è più congeniale, la cultura. Ogni idea, memoria, critica, divergenza, approfondimento precipita direttamente nell’oblio senza passare da alcun dibattito e alcuna attenzione. I libri devono solo rispecchiare il momento che stiamo vivendo, non possono permettersi di parlare d’altro. Devono parlare di questo mondo o del suo rovescio, per dirla col generale Vannacci. Ma restando strettamente ancorati all’attualità. Se andate a ritroso e sfogliate annate passate di qualunque diario pubblico a mezzo stampa, avete quasi l’impressione che prima vivessimo tutti a Bisanzio, distolti nella varietà dei mondi e degli argomenti, intenti a stabilire la natura degli angeli mentre la città era sotto assedio. Questo rimpicciolimento di vedute alla sola panoramica dei giorni nostri, ci sta impoverendo in modo assoluto e, temo, irreversibile.
A pensarci bene, è proprio questo l’effetto più deleterio che questa mondializzazione monomaniacale, ossessiva, produce sulle nostre menti e nelle relazioni tra le persone. Con atteggiamenti schizofrenici di massa davvero impressionanti.
Ho trovato raccapricciante l’altra sera uscire per le strade di provincia e imbattermi in sciami di bambini che per giocare ad Halloween erano sanguinanti, morenti, accoltellati, proprio come accadeva – ma sul serio, tragicamente – ai loro coetanei a Gaza o in Israele. C’era una bambina con un finto coltello infilato in una tempia fino al manico, che usciva sanguinante con la sua lama dall’altra tempia… Avevo visto immagini analoghe e raccapriccianti poco prima, ma vere, in un video da Gaza che mi era stato girato. Vedere questa simulazione che imita la realtà più cruenta, mentre accade; vedere che il gioco, lo scherzo e la caricatura ricalcavano, inconsapevolmente, l’evento più orrendo e funesto dei nostri giorni, indicava la riduzione del mondo a una dimensione, la peggiore: sia che si viva, sia che si giochi, l’orizzonte è la morte, lo spaventoso, il terribile e il cruento.
In altri termini, anche l’evasione, lo scherzo fa il verso alla realtà, ne è la caricatura giocosa: in fondo, la differenza tra le due situazioni è data solo dal luogo, e dalla lontananza. Poveri quei bambini che vivono realmente, senza colpa, la tragedia di nascere e vivere in quei territori; fortunati quei bambini che da noi possono giocarci su per una sera e uccidere e morire per finta. Ma il mondo non sembra uscire da quell’orizzonte, orrore vero o simulato; che per dirla con Heidegger, rivela l’uomo, fin dalla più tenera età, come essere per la morte; vive, muore o scherza sull’estrema linea di confine.
Possiamo allora dire che la barbarie sta trionfando in quei luoghi come nel mondo global, seppure in gradi e misure diverse: lì colpisce direttamente, qui invece si espande
anche da noi non c’è altro orizzonte che quello imposto dal video, orizzonte riduttivo che scaccia ogni altro segno di vita. La civiltà è l’essere per la vita, che si tramanda; la resistenza alla morte attraverso le opere, gli amori, le fondazioni. Da quando la globalizzazione ha imboccato questa china, diventando necropoli globale, ogni giorno è due novembre.

Fonte

I 30 anni di Maastricht: la storia della falsa Europa dell’UE destinata a morire

di Cesare Sacchetti

Il nome di Maastricht non evocava alcunché nelle menti del pubblico italiano ed europeo trent’anni fa e non evoca probabilmente nulla ancora oggi nelle menti di molte persone.

Questa piccola località olandese bagnata dal fiume Mosa fu scelta nel 1992 per diventare la sede nella quale l’Europa che esisteva fino ad allora sparì per creare invece una sua contraffazione, nota come Unione europea.

Quando Giulio Andreotti, ultimo presidente del Consiglio della Prima Repubblica firmò il trattato di Maastricht nel febbraio del 1992 sembrò farlo non animato da un particolare entusiasmo.

Andreotti nutriva una certa e motivata diffidenza nei confronti dell’Unione che stava nascendo perché essa sarebbe stata chiaramente sin dagli esordi a trazione tedesca e Nord-Europea.

È rimasta celebre la battuta dell’ex presidente del Consiglio che dichiarava di voler così bene alla Germania tanto da volerne due e non una, come accadde all’indomani della riunificazione tedesca, e già in questa riflessione di Andreotti è possibile rilevare tutto il sottile acume ironico e tutta la saggezza politica di un mondo che è morto in quell’infame 1992, quando fu attuato il golpe politico di Mani Pulite in quel famigerato anno.

È impossibile però comprendere quanto accaduto a Maastricht e quanto accade il 1 novembre del 1993, giorno nel quale il Trattato è entrato effettivamente in vigore, senza appunto comprendere prima la dinamica di Tangentopoli che portò ad una ratifica di quel trattato in un clima da caccia alle streghe generale e di disgregazione controllata del sistema politico italiano.

Mani Pulite è quell’evento pianificato a tavolino da ambienti dell’anglosfera che avevano deciso che per poter entrare nella globalizzazione e per poter far sì che l’Italia restasse saldamente vincolata a Maastricht senza nemmeno provare ad allentare i vincoli sovranazionali, era necessario disfarsi prima della vecchia classe politica della Prima Repubblica.

Quest’ultima, con i suoi limiti e i suoi difetti che abbiamo ricordato in precedenti occasioni, era comunque in grado di assicurare un perimetro minimo di sovranità al Paese e di tutelare, seppur in condizioni di sovranità limitata, gli interessi nazionali.

Tale perimetro si è definitivamente ristretto fino a sparire con il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica quando la nascita della nuova e attuale classe politica, con le sue recentissime aggiunte grilline, ha partorito di fatto una congrega di passacarte che non sanno fare altro che eseguire pedissequamente gli ordini che piovono dai vari centri sovranazionali del potere senza nemmeno provare a metterli in discussione.

E Mani Pulite fu concepita negli ambienti dello stato profondo di Washington proprio per impedire che la vecchia classe dirigente potesse con la sua autorità e preparazione politica deviare dal copione assegnato per l’Italia.

Il mondialismo voleva a tutti i costi ingabbiare l’Italia con l’UE

L’Italia infatti occupava ed occupa un ruolo chiave nel progetto dell’Unione europea e del governo globale nel quale il Paese sarebbe dovuto entrare una volta manifestatosi il cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale.

Gli artefici di questo disegno dovevano assicurarsi a tutti i costi che l’Italia, casa del cattolicesimo e del mondo greco-romano, non deviasse in alcun modo dal piano perché se ciò fosse accaduto si sarebbe verificato un effetto domino tale da trascinare con sé tutti gli altri Stati europei.

La storia di Maastricht dunque per l’Italia rappresenta una storia di sottomissione dove una nuova classe politica intrisa fino al midollo da una corruzione e delinquenza raramente vistesi in questo Paese, smantellava pezzo dopo pezzo la struttura vitale della nazione facendola passare dal rango di quarta potenza mondiale industriale a quello di piccolo Stato satellite governato dall’asse franco-tedesco e soprattutto dal garante transatlantico dell’UE, l’impero americano.

Questo spiega la selvaggia svendita del 1992 attuata a bordo del Britannia dal cerimoniere del più grande saccheggio mai visto nella storia d’Italia, quel Mario Draghi allora dirigente del Tesoro, che consegnò a prezzi ridicoli tutto l’enorme patrimonio industriale alle banche di Wall Street quali JP Morgan e Goldman, per la quale poi Draghi andò a lavorare nei primi anni 2000.

E questo spiega anche perché Andreotti il cui partito, la DC, nei primi mesi di quell’anno fu travolto dall’inchiesta di giudici di Milano, si dimise nell’aprile del 1992.

Si era messo in moto un infernale meccanismo concepito tempo prima da potenti circoli sovranazionali che avevano già negli anni 70 tracciato un destino di decadenza per questo Paese così inviso per la sua storia millenaria e per i valori spirituali che esso incarna ai signori della massoneria e del mondialismo.

Arrivò il governo Amato che fu quell’esecutivo che nel luglio del 1992 effettuò il famigerato prelievo sui conti correnti degli italiani per scongiurare lo spauracchio di un fallimento del Paese che in realtà non c’è mai stato perché allora, a differenza di oggi, l’Italia aveva una sua moneta e non aveva alcuna difficoltà a garantire il pagamento del suo debito pubblico, soprattutto uscendo dall’unione monetaria dell’epoca, lo SME, padre dell’attuale euro.

Non era però quello il compito assegnato ad Amato. Il compito assegnato ad Amato era quello di portare l’Italia dentro la prigione dell’Unione europea nella maniera più traumatica possibile quando il mese stesso nel quale eseguì il prelievo forzoso firmava la svendita del patrimonio industriale italiano con le privatizzazioni dell’IRI, dell’ENEL, dell’ENI e dell’INA.

Moriva così lo Stato imprenditore ucciso da Mario Draghi e Giuliano Amato su ordine dei loro mandanti transnazionali e nasceva una nuova Italia che aveva un volto che non era più il suo.

Era il volto di Maastricht e dell’ordoliberismo. Era il volto nel quale lo Stato, allora come oggi, non è più libero di scrivere una sua manovra finanziaria senza prima consultarsi con degli sconosciuti e spesso inetti commissari europei famigerati per le loro sballate previsioni econometriche, e su questo si può chiederne qualcosa alla Grecia vittima della Troika.

Era il volto dei tecnocrati come Mario Monti, uomo della Commissione Trilaterale, che veniva inviato in Italia nel 2012 per assicurarsi appunto che l’Italia restasse rinchiusa nella prigione dell’UE.

Era il volto nel quale l’Italia perdeva del tutto la sovranità monetaria sacrificata sull’altare di Maastricht, per la quale come scrisse uno degli esecutori di questo piano, quell’Enrico Letta membro del gruppo Bilderberg, occorreva morire.

E questo fece la nuova classe dirigente telecomandata completamente dall’anglosfera. Portò l’Italia al patibolo per conto dell’alta finanza e di quei circoli mondialisti che volevano l’Italia completamente sottomessa.

La vecchia classe politica doveva morire per far trionfare Maastricht

Mani Pulite è stata del tutto indispensabile per poter compiere questo passaggio. Gli uomini della vecchia classe dirigente, quali Bettino Craxi e Giulio Andreotti, dall’alto della loro lungimiranza politica avevano intuito che era in atto un massiccio attacco internazionale nei confronti dell’Italia.

Craxi all’epoca lo denunciava ripetutamente. L’ex segretario del PSI affermava che le privatizzazioni erano una ruberia senza pari e riservava anche dure e legittime critiche all’allora governatore della banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, che in pochissimo tempo bruciò tutte le riserve di valuta estera di palazzo Koch pari a 48 miliardi di dollari in una scellerata e suicida difesa del cambio fisso della lira con lo SME.

Probabilmente molti ancora oggi ignorano che a fare la ricchezza di George Soros che lanciò un attacco speculativo tramite il suo Quantum Fund nei confronti della lira fu Carlo Azeglio Ciampi.

Solamente sapendo che l’altra parte non avrebbe svalutato immediatamente il cambio l’attacco sarebbe riuscito, e già questo avrebbe dovuto creare più di qualche sospetto alla magistratura che invece scientificamente perseguiva tutti i partiti, tranne il PDS, per delle tangenti la cui portata erano spiccioli rispetto ai furti che l’Italia stava subendo dalla finanza internazionale.

Finanza internazionale assistita dai vari Ciampi, Draghi e Prodi che nel 1993 fu richiamato proprio da Ciampi, divenuto in quell’anno premier, per proseguire lo smantellamento dell’IRI, uno dei più grossi gruppi industriali al mondo.

Il PDS, com’è noto, nonostante avesse degli enormi scheletri nell’armadio pari a 985 miliardi di fondi dell’ex PCI non venne mai sfiorato dalle inchieste dei giudici.

Un enorme fiume di denaro sporco sul quale stava indagando Giovanni Falcone che saltò in aria il 23 maggio del 1992 alcuni giorni prima di recarsi a Mosca dal suo omologo, il magistrato russo Stepankov, per risalire alle società e ai nomi di chi riciclava quei fondi neri in Italia.

L’inchiesta passò di mano a Paolo Borsellino che fece la stessa fine due mesi dopo la strage di Capaci.

I post-comunisti non dovevano essere toccati dalle inchieste.

Il PDS era stato già prescelto difatti già anni prima da Washington quando Giorgio Napolitano conduceva i suoi viaggi a Washington e si avvicinò moltissimo a Henry Kissinger che lo definì il suo comunista preferito.

Erano altri i partiti e i politici che dovevano sparire. Erano Giulio Andreotti, infangato da un assurdo processo per mafia con pentiti che si sono contraddetti più volte nel corso delle loro dichiarazioni contro l’ex presidente del Consiglio, ed erano Bettino Craxi, che non voleva che il suo Paese finisse ridotto come una colonia africana.

Non sarà sfuggito ai lettori probabilmente un fatto. I nomi di coloro che hanno tradito l’Italia quali Amato, Draghi, Napolitano e Ciampi sono gli stessi di coloro che dopo l’infame biennio del 1992-1993 hanno fatto folgoranti carriere e diventati capi di Stato, presidenti di Corti Costituzionali e presidenti del Consiglio.

I nomi invece di coloro che erano contrari a consegnare l’Italia ai suoi nemici sono finiti vilipesi e umiliati e persino costretti all’esilio, come Bettino Craxi.

Se Mani Pulite non ci fosse stata e se questi personaggi politici fossero rimasti sulla scena oggi probabilmente racconteremmo una storia diversa.

Probabilmente oggi racconteremmo la storia di un Paese che firma Maastricht ma si riserva la possibilità negli anni successivi di esercitare una clausola per non aderire all’unione monetaria come fatto da Gran Bretagna e Danimarca.

Probabilmente racconteremmo la storia di un Paese che non fa dei parametri del 3% di deficit decretati nella sconosciuta cittadina olandese i nuovi comandamenti economici da seguire, e non rinuncia alla spesa pubblica che è essenziale per poter garantire il funzionamento di un Paese.

Lo vediamo ancora oggi, in questi ultimi giorni con una Toscana finita sott’acqua come molte altre regioni italiane non per la bufala anti-scientifica dei cambiamenti climatici ma perché da troppi anni il territorio italiano è del tutto distrutto e non curato semplicemente perché lo Stato ha rinunciato a spendere e a salvare vite umane pur di obbedire ai nuovi padroni.

L’Unione europea è una falsa Europa

La logica di Maastricht è in fondo proprio questa. È la logica secondo la quale la vita umana conta meno di un pareggio di bilancio. È la logica del capitalismo protestante dove il denaro vale più dell’uomo e il passaggio che l’Italia ha compiuto del 1992 è anche uno di natura culturale e spirituale.

L’Italia ha rinunciato ai suoi valori cattolici fondati su una concezione radicalmente differente dell’economia per entrare nel mondo dell’ordoliberismo dove non è più lo Stato a governare i processi economici ma gli oligarchi che tutto fagocitano e tutto depredano.

Trent’anni dopo la lezione di Maastricht è questa. La lezione di Maastricht è che l’Unione europea è incompatibile con la storia d’Italia e d’Europa.

L’Unione europea nonostante il suo nome non è né una unione né europea. Le sue radici culturali sono quelle dell’illuminismo liberale che rifiuta e avversa fortemente ogni richiamo alla religione cristiana e alle radici greco-romane.

Lo spirito dell’UE è uno profondamente massonico e liberal-progressista che ha agito soltanto per uno scopo preciso.

Quello di cancellare ogni traccia della vera Europa cristiana per sostituirla con un’altra nella quale c’è un archetipo multietnico e secolarizzato senza nessuna vera identità.

È l’archetipo di Kalergi. È il conte austriaco il vero padre putativo dell’UE perché tutto ciò che oggi è UE viene dalla sua mente.

Sua l’idea di stabilire che l’inno alla gioia di Beethoven fosse scelto per essere l’inno dell’Unione. Sua l’idea di celebrare a maggio la festa della “Europa unita”, e sua l’idea di aprire i confini dell’Europa per far affluire altre razze e dare vita così alla nuova razza mista dell’Unione nella quale gli europei non ci sono più, risucchiati dal melting pot multietnico.

La storia di Maastricht è la storia di una guerra del liberalismo massonico alla civiltà cristiana ed europea e al suo cuore pulsante, l’Italia.

Coloro però che hanno concepito questa falsa Europa non hanno tenuto conto di dinamiche completamente sottovalutate e non calcolate adeguatamente nel corso degli ultimi 30 anni.

I signori del mondialismo che finanziarono il conte Kalergi, quali le famiglie Rothschild e Warburg, non hanno considerato che questo sistema autoritario globale dove nessuno prospera se non una minuscola élite avrebbe inevitabilmente scatenato delle reazioni in coloro che erano ostili ad un processo di cessione della sovranità degli Stati nazionali.

Costoro non hanno tenuto conto dell’ascesa della Russia di Putin e non hanno nemmeno previsto che l’impero americano rinunciasse al suo ruolo di guardiano del globalismo per via dell’avvento dell’era Trump e della sua dottrina del “Prima l’America”.

L’UE quindi si riscopre per essere quello che è sempre stata. Un gigante dai piedi di argilla che non ha nessuna possibilità di esistere nel medio e nel lungo termine senza la protezione dell’altra sponda dell’Atlantico, quella americana.

La storia ha svoltato in una direzione imprevista per questi nemici dei popoli. Non più quella di un Leviatano globale dotato di poteri autoritari persino superiori ai totalitarismi del secolo scorso, ma quella di un mondo dove il potere non è più concentrato nelle mani di un solo blocco unipolare.

Il multipolarismo dei BRICS e la fine della struttura dell’anglosfera nata dopo il 1945 stanno partorendo un mondo del tutto antitetico a quello voluto dal mondialismo.

Sulla scena politica tornano protagonisti gli Stati nazionali e questo processo sta portando non solo ad un progressivo smantellamento dell’impero americano che non esercita più il suo ruolo di garante del vecchio ordine, ma soprattutto sta portando all’assoluto isolamento geopolitico dell’UE che oggi non ha più sponde come un tempo.

Uno dei più famigerati esecutori in Italia di questo piano fallito, Massimo D’Alema, ha dovuto costatare con amarezza che questo non è più il tempo del Nuovo Ordine Mondiale.

Questo processo sta avvenendo ad una velocità impressionate con i pilastri del vecchio ordine liberale quali la moneta di riserva globale del dollaro che sta perdendo giorno dopo giorno il suo status.

Maastricht dunque non potrà sopravvivere. Non potrà sopravvivere perché semplicemente non esistono più quelle minime condizioni geopolitiche ed economiche in grado non solo di garantire la sua esistenza ma la sua sopravvivenza.

Il futuro oggi appare decisamente meno fosco dopo il fallimento della farsa pandemica proprio perché per l’Italia e l’Europa si apre la possibilità di tornare ad avere quella sovranità perduta senza la quale non esiste nessuna seria possibilità di rinascita.

Il trentesimo compleanno di Maastricht induce quindi a questa riflessione finale. L’UE ha soltanto 30 anni di vita eppure non è mai stata così vicina alla sua morte come appare esserlo oggi.

FONTE

È tempo di destigmatizzare la convivenza con i genitori

Questa è la novità che ci giunge dalla società oltreoceano, quindi non si chiamano più “bamboccioni” i figli che rimangono in casa con i genitori a patto che ci sia rispetto reciproco, la volontà di accettarsi e di collaborare


Dopo la riapertura del college in seguito alla pandemia di covid-19, la 24enne Nethra Rammohan si sentiva ancora esclusa dalle attività del campus. 
Continuando a fare la pendolare da casa sua, si sentiva sola, come se tutti i suoi amici si divertissero senza di lei. 
Dopo la laurea, era determinata a trasferirsi in un posto tutto suo.
All’inizio i suoi genitori erano contrari. 
Nella cultura indiana, spiega Nethra, i primi anni ’20 sono spesso visti come gli ultimi anni che una giovane donna trascorre con la sua famiglia prima del matrimonio. 
I genitori di Nethra speravano che lei potesse godersi questi preziosi anni da single al loro fianco.
Ma nonostante abbia dovuto combattere “con le unghie e con i denti” con i suoi genitori per riuscirci, Nethra se ne è andata l’estate dopo essersi laureata. 
Alla fine, i suoi genitori salirono a bordo. 
Ma inizialmente, “è stato un periodo emozionante e turbolento a casa”, mi dice. 
“Mia madre mi diceva: ‘Oh, te ne vai? 
Non hai ancora imparato a cucinare o cose del genere!’ 

Dopo essersi sistemata, Nethra ha sfruttato appieno la sua ritrovata libertà (e la mancanza di coprifuoco). 
Ogni sera usciva con gli amici, pagava le bollette, puliva e, sì, imparava a cucinare da sola. 
Ma tenere il passo con questo nuovo stile di vita ha lentamente messo a dura prova la sua salute. 
Nel tentativo di fare tutto, ha trascurato la cura di sé e ha iniziato a esaurirsi. 
Alla fine, ha deciso di provare una seconda volta a vivere con i suoi genitori.
Con un nuovo apprezzamento per i gesti d’amore dei suoi genitori, i pasti cucinati in casa e le offerte di trascorrere del tempo insieme, Nethra è ora più felice e più sana che mai. 
E i sentimenti sono reciproci: “Ci capiamo meglio” dopo il trasloco, dice la mamma di Nethra. 
Sebbene Nethra sia disposta a trasferirsi di nuovo più avanti nei vent’anni, ora si sente in pace – non costretta – vivendo con la famiglia. 
Da quando è tornata a casa, dice: “Non mi sono sentita sola o qualcosa del genere, nemmeno una volta”. 
Perché? 
In poche parole: “Mi sono divertito. 
Ho realizzato quello che volevo quando ero via.
Negli Stati Uniti, in un mercato del lavoro turbolento e con costi in aumento, la vita multigenerazionale sta vivendo un momento di grande attualità. 
Ma vivere con i genitori dopo il college è molto comune in molte parti del mondo. 
L’assistenza reciproca non solo riduce i costi, ma rafforza anche i legami familiari e riduce la solitudine

Questa settimana ho chiesto ai lettori di Post Laurea: “Neolaureati: vivi a casa con la famiglia o no? 
Come ti senti rispetto alla tua decisione?”
Di seguito sono riportate due risposte dei lettori alla nostra domanda della settimana che si è distinta. 
Per ottenere la nostra raccolta completa di risposte dei lettori ogni settimana, 

“Mi sono appena laureato all’Università del Maryland e sono tornato nella casa della mia infanzia a New York. 
Ho sempre pensato che sarei passato direttamente dalla scuola universitaria a quella di specializzazione. 
Ho fatto domanda nell’ultimo ciclo di candidatura, sono entrata nella scuola dei miei sogni ma poi ho capito che non ero pronta per partire. 
Dal punto di vista finanziario ed emotivo, 
avevo bisogno di tempo per maturare prima di impegnarmi in più scuola e più debiti. Adoro vivere a casa. 
Ho trovato un buon lavoro e anche la maggior parte dei miei amici si è presa del tempo a casa prima di tornare a scuola o prendere il loro primo appartamento “per adulti”, quindi non sento di perdermi nulla. 
Se una persona è in grado, consiglio vivamente di prendersi un anno o più per acquisire fondi ed esperienza professionale prima di lanciarsi nella vera vita adulta. 
—Emily W., 22 anni
“Non vivo a casa con la famiglia. 
Adoro la mia decisione di trasferirmi dopo il college, ma spesso mi sento sopraffatto dal peso delle responsabilità e dell’incertezza. 
Ho la fortuna di vivere abbastanza vicino a casa, dove posso trascorrere lunghi fine settimana per rilassarmi. 
Se avessi la flessibilità lavorativa, lo prenderei sicuramente in considerazione, dato che 
dopo quasi due anni di specializzazione post-laurea vissuti con compagni di stanza, sarebbe bello rilassarmi e avere parte delle mie responsabilità alleviate stando a casa .” 
—Grace O., 23 anni




Dopo la riapertura del college in seguito alla pandemia di covid-19, la 24enne Nethra Rammohan si sentiva ancora esclusa dalle attività del campus. Continuando a fare la pendolare da casa sua, si sentiva sola, come se tutti i suoi amici si divertissero senza di lei. Dopo la laurea, era determinata a trasferirsi in un posto tutto suo.
All’inizio i suoi genitori erano contrari. Nella cultura indiana, spiega Nethra, i primi anni ’20 sono spesso visti come gli ultimi anni che una giovane donna trascorre con la sua famiglia prima del matrimonio. I genitori di Nethra speravano che lei potesse godersi questi preziosi anni da single al loro fianco.

Ma nonostante abbia dovuto combattere “con le unghie e con i denti” con i suoi genitori per riuscirci, Nethra se ne è andata l’estate dopo essersi laureata. Alla fine, i suoi genitori salirono a bordo. Ma inizialmente, “è stato un periodo emozionante e turbolento a casa”, mi dice. “Mia madre mi diceva: ‘Oh, te ne vai? Non hai ancora imparato a cucinare o cose del genere!’ “Dopo essersi sistemata, Nethra ha sfruttato appieno la sua ritrovata libertà (e la mancanza di coprifuoco).

 Ogni sera usciva con gli amici, pagava le bollette, puliva e, sì, imparava a cucinare da sola. Ma tenere il passo con questo nuovo stile di vita ha lentamente messo a dura prova la sua salute. Nel tentativo di fare tutto, ha trascurato la cura di sé e ha iniziato a esaurirsi. Alla fine, ha deciso di provare una seconda volta a vivere con i suoi genitori.

Con un nuovo apprezzamento per i gesti d’amore dei suoi genitori, i pasti cucinati in casa e le offerte di trascorrere del tempo insieme, Nethra è ora più felice e più sana che mai. E i sentimenti sono reciproci: “Ci capiamo meglio” dopo il trasloco, dice la mamma di Nethra. Sebbene Nethra sia disposta a trasferirsi di nuovo più avanti nei vent’anni, ora si sente in pace – non costretta – vivendo con la famiglia. 

Da quando è tornata a casa, dice: “Non mi sono sentita sola o qualcosa del genere, nemmeno una volta”. Perché? In poche parole: “Mi sono divertito. Ho realizzato quello che volevo quando ero via.

Negli Stati Uniti, in un mercato del lavoro turbolento e con costi in aumento, la vita multigenerazionale sta vivendo un momento di grande attualità. Ma vivere con i genitori dopo il college è molto comune in molte parti del mondo. L’assistenza reciproca non solo riduce i costi, ma rafforza anche i legami familiari e riduce la solitudine.

Questo è un estratto della rubrica Post Laurea di Renee Yaseen .

Questa settimana ho chiesto ai lettori di Post Laurea: “Neolaureati: vivi a casa con la famiglia o no? Come ti senti rispetto alla tua decisione?”Di seguito sono riportate due risposte dei lettori alla nostra domanda della settimana che si è distinta. Per ottenere la nostra raccolta completa di risposte dei lettori ogni settimana,“Mi sono appena laureato all’Università del Maryland e sono tornato nella casa della mia infanzia a New York. Ho sempre pensato che sarei passato direttamente dalla scuola universitaria a quella di
specializzazione. Ho fatto domanda nell’ultimo ciclo di candidatura, sono entrata nella scuola dei miei sogni ma poi ho capito che non ero pronta per partire. Dal punto di vista finanziario ed emotivo, avevo bisogno di tempo per maturare prima di impegnarmi in più scuola e più debiti. Adoro vivere a casa. Ho trovato un buon lavoro e anche la maggior parte dei miei amici si è presa del tempo a casa prima di tornare a scuola o prendere il loro primo appartamento “per adulti”, quindi non sento di perdermi nulla. Se una persona è in grado, consiglio vivamente di prendersi un anno o più per acquisire fondi ed esperienza professionale prima di lanciarsi nella vera vita adulta. —Emily W., 22 anni“Non vivo a casa con la famiglia. Adoro la mia decisione di trasferirmi dopo il college, ma spesso mi sento sopraffatto dal peso delle responsabilità e dell’incertezza. Ho la fortuna di vivere abbastanza vicino a casa, dove posso trascorrere lunghi fine settimana per rilassarmi. Se avessi la flessibilità lavorativa, lo prenderei sicuramente in considerazione, dato che dopo quasi due anni di specializzazione post-laurea vissuti con compagni di stanza, sarebbe bello rilassarmi e avere parte delle mie responsabilità alleviate stando a casa .” —Grace O., 23 anni

Card. Joseph Ratzinger: “I detentori del potere d’opinione misero il libro “Rapporto sulla fede” all’indice. La nuova inquisizione fece sentire la sua forza”


Ottimismo moderno e odio alla Chiesa

Nella prima metà degli anni settanta, un amico del nostro gruppo fece un viaggio in Olanda, dove la Chiesa faceva sempre più parlare di sé, vista dagli uni come l’immagine e la speranza di una Chiesa migliore per il domani, dagli altri come sintomo di una decadenza che era la logica conseguenza dell’atteggiamento assunto. Con una certa curiosità aspettavamo il resoconto che il nostro amico ci fece al suo ritorno.
Poiché era un uomo leale e un preciso osservatore, egli ci parlò di tutti i fenomeni di disfacimento di cui avevamo già udito qualcosa: seminari vuoti, ordini religiosi senza vocazioni, preti e religiosi che in gruppi voltano le spalle alla loro vocazione, la scomparsa della confessione, la drammatica caduta della frequenza alla Messa e via dicendo. Naturalmente vennero descritti anche gli esperimenti e le novità, che non potevano, a dire il vero, cambiar nulla dei segni della decadenza, anzi piuttosto li confermavano.
La vera sorpresa del rendiconto fu però la valutazione conclusiva: a dispetto di tutto, una Chiesa grandiosa, perché non c’era da nessuna parte pessimismo, tutti andavano incontro al futuro pieni di ottimismo. Il fenomeno dell’ottimismo generale faceva dimenticare ogni decadenza e ogni distruzione; bastava a compensare ogni negativo.

Feci le mie riflessioni in silenzio.

Che cosa si sarebbe detto di un uomo di affari che scrive solo delle cifre in rosso, che, però, invece di riconoscere le sue perdite, di cercarne le ragioni e di opporvisi coraggiosamente, si raccomandava ai suoi creditori con il solo ottimismo? Che cosa bisognava pensare della glorificazione di un ottimismo semplicemente contrario alla realtà?
Cercai di andare a fondo della questione ed esaminai diverse ipotesi.
L’ottimismo poteva essere semplicemente una copertura, dietro la quale si nascondeva proprio la disperazione che si cercava in tal modo di superare. Ma poteva trattarsi anche di peggio: questo ottimismo metodico veniva prodotto da coloro che desideravano la distruzione della vecchia Chiesa e che, senza tanto rumore con il mantello di copertura della riforma, volevano costruire una Chiesa completamente diversa, di loro gusto, che però non potevano iniziare per non scoprire troppo presto le loro intenzioni. Allora il pubblico ottimismo era una specie di tranquillante per i fedeli, allo scopo di creare il clima adatto a disfare possibilmente in pace la Chiesa e acquisire così dominio su di essa.

Il fenomeno dell’ottimismo avrebbe perciò due facce: da una parte suppone la beatitudine della fiducia, anzi la cecità dei fedeli, che si lasciano calmare da buone parole; consiste dall’altra in una consapevole strategia per un cambiamento della Chiesa in cui nessun’altra volontà superiore – volontà di Dio – ci disturba più, né inquieta più la coscienza, mentre la nostra propria volontà ha l’ultima parola.

L’ottimismo sarebbe alla fine la maniera di liberarci della pretesa, fattasi ormai ostica, del Dio vivente sulla nostra vita. Quest’ottimismo dell’orgoglio, dell’apostasia, si sarebbe servito dell’ottimismo ingenuo dell’altra parte, anzi l’avrebbe alimentato, come se quest’ottimismo altro non fosse che speranza certa del cristiano, la divina virtù della speranza, mentre era in realtà una parodia della fede e della speranza.

Riflettei anche su un’altra ipotesi.

Era possibile che un simile ottimismo fosse semplicemente una variante della fede liberale nel progresso perenne: il surrogato borghese della speranza perduta della fede.

Giunsi infine al risultato che tutte queste componenti agivano insieme, senza che si potesse facilmente decidere quale di esse, e quando e dove, avesse il peso prevalente.
Un po’ più tardi il mio lavoro mi portò ad occuparmi del pensiero di Ernst Bloch, per il quale il “principio speranza” è la figura speculativa centrale. Secondo Bloch la speranza è l’ontologia del non ancora esistente. Una giusta filosofia non deve mirare a studiare ciò che è (sarebbe stato conservatorismo o reazione), ma a preparare ciò che ancora non è. Giacché ciò che è è degno di perire; il mondo veramente degno di essere vissuto dev’essere ancora costruito. Il compito dell’uomo creativo è dunque quello di creare il mondo giusto che ancora non esiste; per questo elevato compito però la filosofia deve svolgere una funzione decisiva: essa è il laboratorio della speranza, l’anticipazione del mondo di domani nel pensiero, anticipazione di un mondo ragionevole e umano, non più formatosi mediante il caso, ma pensato e realizzato dalla nostra ragione.
Ora, sullo sfondo delle esperienze appena raccontate, ciò che mi sorprese fu l’uso del termine “ottimismo” in questo contesto. Per Bloch (e per alcuni teologi che lo seguono) l’ottimismo è la forma e l’espressione della fede nella storia, ed è perciò doveroso per una persona che vuole servire alla liberazione, all’evocazione rivoluzionaria del mondo nuovo e dell’uomo nuovo. La speranza è perciò la virtù di un’ontologia di lotta, la forza dinamica della marcia verso l’utopia:
Leggendo Bloch io pensavo che 1′” ottimismo” è la virtù teologica di un Dio nuovo e di una nuova religione, la virtù della storia divinizzata, di una “storia” di Dio, dunque del grande Dio delle ideologie moderne e della loro promessa.
Questa promessa è l’utopia, da realizzarsi per mezzo della “rivoluzione”, che per sua parte rappresenta una specie di divinità mitica, per cosi dire una “figlia Dio” in rapporto con il Dio-Padre “Storia”.
Nel sistema cristiano delle virtù la disperazione, cioè la radicale opposizione verso fede e speranza, viene qualificata come peccato contro lo Spirito Santo, perché esclude il suo potere di guarire e di perdonare, e si nega cosi alla redenzione.
Nella nuova religione vi corrisponde il fatto che il “pessimismo” è il peccato di tutti i peccati, poiché il dubbio per l’ottimismo, per il progresso, per l’utopia è un assalto frontale allo spirito dell’età moderna, è la contestazione del suo credo fondamentale su cui si fonda la sua sicurezza, che è tuttavia di continuo minacciata per la debolezza di quella divinità illusoria che è la storia.

Tutto questo mi venne di nuovo in mente quando esplose il dibattito a riguardo del mio Rapporto sulla fede, pubblicato nel 1985.
Il grido di rivolta sollevato da questo libro senza pretese culminava nell’accusa: è un libro pessimistico.
Da qualche parte si tentò perfino di vietarne la vendita, perché una eresia di quest’ordine di grandezze semplicemente non poteva essere tollerata.
I detentori del potere d’opinione misero il libro all’indice. La nuova inquisizione fece sentire la sua forza. Venne dimostrato ancora una volta che non esiste peccato peggiore contro lo spirito dell’epoca che il diventare rei di una mancanza di ottimismo.
La domanda non era affatto: è vero o falso ciò che si afferma, le diagnosi sono giuste oppure no; ho potuto constatare che non ci si preoccupava di porsi simili questioni fuori moda. Il criterio era molto semplice: è ottimistico oppure no, e davanti a questo criterio il libro era senz’altro fallimentare.
La discussione artificialmente accesa sull’uso della parola “restaurazione”, che non aveva niente a che fare con quanto detto nel libro, era solo una parte del dibattito sull’ottimismo: sembrava in questione il dogma del progresso.
Con la collera che solo un sacrilegio può evocare si picchiava su questa negazione del Dio Storia e della sua promessa. Pensai a un parallelo in campo teologico. Il profetismo viene da molti congiunto da una parte con la “critica” (rivoluzione), dall’altra con “ottimismo” e in questa forma reso criterio centrale della distinzione fra vera e falsa teologia.

Perché racconto tutto questo?

Io credo che è possibile comprendere la vera essenza della speranza cristiana e riviverla solo se si guarda in faccia alle imitazioni deformative che cercano di insinuarsi dappertutto.
La grandezza e la ragione della speranza cristiana vengono in luce solo quando ci liberiamo dal falso splendore delle sue imitazioni profane.
Prima di iniziare la riflessione positiva sull’essenza della speranza cristiana, mi sembra importante precisare e completare i risultati finora raggiunti.

L’essenza del sionismo

Il sionismo come ideologia di Stato di Israele. Perché gli ebrei credono di essere il popolo eletto? Qual è il significato della dispersione degli ebrei come tradizione ebraica? Perché il sionismo è da un lato una continuazione dell’ebraismo e dall’altro la sua confutazione?

Come ogni religione, l’ebraismo ha molte dimensioni. Parlarne semplicemente esaltandolo o rovesciandolo è primitivo.

Il giudaismo è associato alla nozione che gli ebrei sono il popolo eletto (soprattutto in senso religioso). Il loro obiettivo è attendere il Messia, che sarà il re di Israele. La loro religione è quindi legata all’attesa del Mashiach.

Secondo l’ebraismo, all’inizio del primo millennio gli ebrei si dispersero. Il Secondo Tempio fu distrutto e iniziò la storia bimillenaria della loro dispersione. Quest’epoca fa parte della tradizione ebraica. Lo scopo è quello di espiare i peccati di Israele accumulati nelle fasi storiche precedenti. Se questa espiazione è valida e il pentimento è profondo, allora, secondo la tradizione ebraica, apparirà il Mashiach, che significa la benedizione del popolo divinamente eletto. In tal caso, il ritorno degli ebrei in Israele, l’istituzione di uno Stato indipendente e la creazione del Terzo Tempio saranno i momenti più importanti.

Questa è la struttura della cultura ebraica dell’attesa. I rappresentanti più coerenti di questo approccio sono i fondamentalisti del movimento Neturei Karta. Essi sostengono che il Dio ebraico ha ordinato di sopportare le difficoltà dell’esilio, quindi bisogna aspettare fino alla fine ed espiare i peccati. E quando arriverà il Mashiach, allora si potrà tornare nella Terra Promessa.

Come mai lo Stato è già stato fondato e i divieti sono stati infranti? Per capire perché l’Israele moderno è in completa contraddizione con la religione ebraica, dobbiamo tornare al XVII secolo, all’epoca dello pseudo-Mashiach Shabtai Zvi, l’araldo del sionismo. Egli dichiarò di essere un mashiach e che quindi gli ebrei potevano tornare in Israele. Il destino di Shabtai Zvi è triste: quando si presentò al Sultano ottomano con le sue rivendicazioni sulla Palestina, gli fu data una scelta: essere decapitato o convertirsi all’Islam. E poi accade una cosa strana: Shabtai Zvi accetta l’Islam. Questa fu una grande delusione per le comunità ebraiche dell’epoca.

Tuttavia, i seguaci di Shabtai Tzvi (sabbatianesimo) emersero, soprattutto tra gli ebrei ashkenaziti e dell’Europa orientale. Parallelamente, si sviluppò il movimento chassidico, che non aveva un orientamento escatologico o messianico, ma diffondeva gli insegnamenti della Cabala tra la gente comune.

In alcune sette del sabbatianesimo (in particolare, tra i frankisti in Polonia), è emersa una teologia: presumibilmente, Shabtai Zvi era il vero messia e si era convertito all’Islam di proposito; in questo modo, aveva commesso un “santo tradimento” (tradire l’ebraismo per realizzare la venuta del Mashiach).

Secondo questa logica, ci si può tranquillamente convertire ad altre religioni – Frank, ad esempio, si convertì prima all’Islam, poi al cattolicesimo, dimostrò come gli ebrei mangiano i bambini cristiani… Trasgredì completamente tutte le forme del Talmudismo, tradì la sua fede – ma la dottrina segreta di Frank fece sì che dopo il XVII secolo l’idea stessa di Mashiach cambiasse. Ora gli ebrei stessi sono diventati Mashiach – non è necessario aspettarlo, quindi anche se si tradisce la propria religione, si è santi – si è Dio.

Si creò così l’ambiente intellettuale per il sionismo. Il sionismo è il satanismo ebraico, il satanismo all’interno dell’ebraismo, che rovescia tutti i fondamenti. Se nell’ebraismo è necessario attendere la venuta del Mashiach, nel sionismo l’ebreo è già un dio. Poi ci sono le violazioni dei comandamenti talmudici.

Da qui il rapporto specifico tra sionismo ed ebraismo. Da un lato, il sionismo è una continuazione dell’ebraismo, dall’altro ne è la confutazione. I sionisti dicono che non c’è più nulla di cui pentirsi, hanno sofferto abbastanza e sono Dio.

Questo spiega la peculiarità del moderno Stato sionista, che non si basa solo su Israele, ma anche su ebrei laici, ebrei liberali, ebrei comunisti, ebrei capitalisti, ebrei cristiani, ebrei musulmani, ebrei indù, ecc. Tutti coloro che rappresentano la rete del Franchismo – ognuno di loro può tranquillamente compiere un sacro tradimento, costruire uno Stato, affermare il dominio del mondo, stabilire un divieto di critica al sionismo (in alcuni Stati americani, la critica allo Stato di Israele è equiparata all’antisemitismo).

A quel punto non resta che un passo: far saltare in aria la moschea di El Aqsa e iniziare a costruire il Terzo Tempio. A proposito, la Knesset ha già stanziato fondi per la ricerca sul Monte del Tempio: tutto si muove in questa direzione.

Come si può spegnere un conflitto con basi metafisiche così profonde con un appello alle Nazioni Unite, con frasi come “facciamo la pace” o “rispettiamo i diritti umani”? Questi diritti umani li hanno visti nel conflitto palestinese. Inoltre, sentiamo sempre più affermazioni assurde da parte loro – per esempio, l’accusa di antisemitismo di chi si limita a difendere i palestinesi semiti….

Se superiamo l’ipnosi, la nebbia del nonsense e la deframmentazione postmoderna della coscienza, vediamo un quadro molto interessante e spaventoso di ciò che sta accadendo in Medio Oriente.

di Aleksandr Dugin • 29 ottobre 2023

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Fondo Alzheimer. Ministero Salute: “Adottate tutte le iniziative per il rifinanziamento del Fondo per il triennio 2024-2026”

Così da consentire alle regioni e province autonome di dare continuità alle numerose attività rivolte a pazienti e familiari poste in essere con il precedente finanziamento, consentendo di proseguire nella prevenzione, diagnosi, e trattamento delle persone con demenza”. Così il sottosegretario alla Salute Gemmato rispondendo all’interrogazione sul tema di Benigni (FI).

26 OTT – 

“iI Ministero della salute, ha già avviato, all’interno delle attività sostenute dal Fondo per l’Alzheimer 2021-2023 l’iter per l’aggiornamento del Piano nazionale demenze”. Inoltre, “sono state adottate tutte le iniziative di competenza per promuovere il rifinanziamento del suddetto Fondo per il triennio 2024-2026 così da consentire alle regioni e province autonome di dare continuità alle numerose attività rivolte a pazienti e familiari poste in essere con il precedente finanziamento, consentendo di proseguire nella prevenzione, diagnosi, e trattamento delle persone con demenza”.

Così il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, rispondendo ieri in commissione Affari Sociali alla Camera all’interrogazione sul tema presentata da Stefano Benigni.

Di seguito la risposta integrale del sottosegretario Gemmato.

“Ringrazio gli interroganti per il quesito posto e rappresento che, nel corso del 2022, l’avvio delle attività previste dal Fondo per l’Alzheimer e demenze è stata l’azione di maggior rilievo a livello nazionale in termini di sanità pubblica degli ultimi anni ed ha reso possibile realizzare interventi concreti rivolti alle persone con demenze ed ai relativi familiari e caregiver.

Con tale fondo, sono stati stanziati 14.100.000 euro per le regioni e le province autonome e 900.000 euro per l’Istituto Superiore di Sanità per l’esecuzione di attività progettuali orientate al perseguimento degli obiettivi del Piano nazionale delle demenze (PND), da realizzare nel triennio 2021-2023.

Le regioni e le province autonome, a tal fine, hanno elaborato i rispettivi Piani triennali in accordo con le indicazioni previste in seno al decreto del Ministro della salute 22 dicembre 2021 concernente «Individuazione dei criteri e delle modalità di riparto del Fondo per l’Alzheimer e le demenze», che costituiscono un patrimonio culturale di possibili interventi di prevenzione, diagnosi e trattamento per il miglioramento della presa in carico delle persone con demenze da diffondere e condividere sul territorio nazionale.
Il monitoraggio dell’impegno delle somme è assicurato dal Tavolo permanente sulle demenze, istituito presso la Direzione generale della prevenzione del Ministero della salute, a cui partecipano rappresentanti di regioni e province autonome, associazioni nazionali dei familiari e dei pazienti, rappresentanti delle principali società scientifiche del settore e della medicina generale, AIFA, Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Le aree progettuali previste dal Fondo, all’interno delle quali regioni e province autonome hanno potuto predisporre le linee di azioni mediante specifici piani triennali, sono le seguenti:
1) potenziamento della diagnosi precoce del Disturbo Neurocognitivo (DNC) minore/(Mild Cognitive Impairment – MCI) e sviluppo di una carta del rischio cognitivo per la pratica clinica;
2) diagnosi tempestiva del DNC maggiore, sperimentazione, valutazione e diffusione di interventi di telemedicina tesi ad assicurare la continuità delle cure nei diversi settingassistenziali;
3) sperimentazione, valutazione e diffusione di interventi di tele-riabilitazione tesi a garantire un progetto riabilitativo mirato, con lo scopo di migliorare partecipazione, inclusione e qualità della vita del paziente;
4) sperimentazione, valutazione e diffusione dei trattamenti psico-educazionali, cognitivi e psicosociali nella demenza.

Particolarmente rilevanti, inoltre, sono le linee di attività portate avanti dall’Osservatorio demenze dell’Istituto Superiore di Sanità nell’ambito di quanto previsto dall’Accordo con il Ministero quali, ad esempio, l’elaborazione di linee guida sulla diagnosi e trattamento della demenza, nell’ambito del Sistema nazionale linee guida, sulla base dell’evoluzione delle conoscenze fisiopatologiche e terapeutiche derivanti dalla letteratura scientifica e dalle buone pratiche nazionali e internazionali, con il coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali oltre che con la collaborazione delle maggiori Associazioni di pazienti e familiari e delle principali Società scientifiche.

Altrettanto strategica è l’attività in corso che prevede l’elaborazione di una stima della prevalenza dei 12 fattori di rischio prevenibili per la demenza, (come ad esempio il diabete, l’ipertensione, l’obesità) nelle regioni e province autonome.
Con questa stima sarà possibile calcolare il numero di casi evitabili di Alzheimer e demenza vascolare in ogni regione e provincia autonoma, permettendo di poter stimare la reale entità del fenomeno al fine di sviluppare azioni di sanità pubblica più mirate nell’ambito degli aggiornamenti dei Piani regionali di prevenzione in essere.

Tra le altre attività previste dal citato decreto 22 dicembre 2021, portate avanti con il supporto dell’ISS attraverso il Tavolo permanente, ricordo: l’aggiornamento del Piano nazionale demenze, una survey nazionale di mappatura dei servizi, una indagine nazionale sulle condizioni sociali ed economiche dei familiari dei pazienti con demenza, in collaborazione con l’Associazione Alzheimer Uniti Italia, la definizione di un programma formativo per i professionisti sanitari della riabilitazione e per i familiari e i caregiver dei pazienti, la promozione dell’istituzione di una cartella clinica informatizzata nei 587 Centri per i disturbi cognitivi e le demenze presenti sul territorio.

Concludo affermando che il Ministero della salute, ha già avviato, all’interno delle attività sostenute dal Fondo per l’Alzheimer 2021-2023 l’iter per l’aggiornamento del Piano nazionale demenze, così da poter rendere le strategie di governo del fenomeno delle demenze più realistiche ed efficaci, anche alla luce del mutamento degli scenari rispetto al 2015 con significativi progressi scientifici sia nel campo della prevenzione e della diagnosi precoce delle demenze, sia nel campo della organizzazione dei servizi sanitari.

Sono state, inoltre, adottate tutte le iniziative di competenza per promuovere il rifinanziamento del suddetto Fondo per il triennio 2024-2026 così da consentire alle regioni e province autonome di dare continuità alle numerose attività rivolte a pazienti e familiari poste in essere con il precedente finanziamento, consentendo di proseguire nella prevenzione, diagnosi, e trattamento delle persone con demenza”.

FONTE

Dormire inclinati può prevenire l’Alzheimer

Come si può vedere da questo articolo 
“la malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza senile, e oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni. Sebbene la maggior parte dei malati abbia più di 80 anni, ci sono casi di Alzheimer precoce, anche a 40 o 50 anni. Come tutte le demenze, si caratterizza per una perdita progressiva della memoria associata a un disturbo cognitivo: perdita del linguaggio, delle capacità esecutive e del pensiero critico o astratto.”

Per quanto riguarda le cause scatenanti, sempre nello stesso articolo, si trova il seguuente riferimento:
“Non è nota la causa scatenante, ma si sta studiando la correlazione fra la malattia e l’alterazione del metabolismo della proteina precursore della beta amiloide (detta APP) che porta alla formazione di beta amiloide, una sostanza neurotossica che accumulandosi nel cervello porta progressivamente a morte neuronale. Non essendo nota una causa scatenante, non ci sono metodi di prevenzione mirati.”
Questo riferimento costituisce, a nostro avviso, un collegamento evidente con la possibilità che dormire su un letto leggermente inclinato, così come previsto dalla Terapia del Letto Inclinato (inclined Bed Therapy), possa effettivamente aiutare la prevenzione e la cura di questa grave e diffusa patologia.
In questo nostro articolo https://www.lettoinclinato.it/una-nuova-prospettiva-per-la-detossificazione-del-nostro-cervello/ (pubblicato nel 2019), sono infatti evidenziati i motivi per i quali dormire inclinati migliora in maniera importante la qualità del sonno e la detossificazione del cervello.

Per quanto riguarda le cause scatenanti, sempre nello stesso articolo, si trova il seguuente riferimento:
“Non è nota la causa scatenante, ma si sta studiando la correlazione fra la malattia e l’alterazione del metabolismo della proteina precursore della beta amiloide (detta APP) che porta alla formazione di beta amiloide, una sostanza neurotossica che accumulandosi nel cervello porta progressivamente a morte neuronale. Non essendo nota una causa scatenante, non ci sono metodi di prevenzione mirati.”
Questo riferimento costituisce, a nostro avviso, un collegamento evidente con la possibilità che dormire su un letto leggermente inclinato, così come previsto dalla Terapia del Letto Inclinato (inclined Bed Therapy), possa effettivamente aiutare la prevenzione e la cura di questa grave e diffusa patologia.
In questo nostro articolo https://www.lettoinclinato.it/una-nuova-prospettiva-per-la-detossificazione-del-nostro-cervello/ (pubblicato nel 2019), sono infatti evidenziati i motivi per i quali dormire inclinati migliora in maniera importante la qualità del sonno e la detossificazione del cervello.

Riportiamo di seguito le parti dell’articolo in questione che risultano più interessanti al riguardo dell’argomento di cui stiamo parlando:

Sistema di detossificazione del cervello
Durante il giorno, le tossine, come la b-amiloide e le tau-proteine, si accumulano lentamente nel nostro cervello. Quando dormiamo, un sistema di pulizia del cervello, scoperto di recente, chiamato glinfatico, si mette al lavoro.
Il liquido cerebrospinale (CSF) – che circonda, nutre e protegge il cervello – interagisce con il fluido interstiziale per creare una sorta di onda di pulizia che si muove attraverso il cervello per rimuovere le tossine che si sono accumulate durante il giorno. Il sistema glinfatico si occupa quindi della rimozione dei rifiuti del cervello.

Importanza del sonno
Il deposito di β-amiloide nel cervello porta al declino cognitivo e, infine, alla malattia di Alzheimer.
L’accumulo di β-amiloide nella corteccia prefrontale è associato all’interruzione del sonno ad onde lente e può ridurre la capacità di consolidamento della memoria (Mander 2015).
I ricercatori hanno rilevato che una durata del sonno più breve e una qualità del sonno inferiore sono associate a un maggiore carico di β-amiloide (Spira 2013).
Sono necessari ulteriori studi per determinare se il sonno non profondo contribuisce semplicemente allo sviluppo o se, invece, è una delle cause della malattia di Alzheimer.
Comunque, è il sonno leggero che può portare ad un aumento della deposizione di β-amiloide e un carico maggiore di β-amiloide può portare ad un ulteriore peggioramento del sonno.
Questo, quindi, diventa un ciclo di auto-perpetuazione del declino cognitivo in atto e del declino della qualità del sonno.

Importanza della posizione nel sonno
Fortunatamente ci sono cose che possiamo fare per ottimizzare il nostro sonno e il funzionamento del sistema glinfatico.
Proprio come il sistema linfatico, che purifica il resto del corpo, il sistema glinfatico è influenzato da fattori esterni, come la forza di gravità e la posizione del corpo o i livelli di stress.
I ricercatori del sonno hanno scoperto che, chi ha una peggiore qualità del sonno, spesso trascorre la maggior parte del tempo posizionato sulla schiena, con la testa dritta.
Altri studi confermano che la posizione che assumiamo durante il sonno può influenzare in maniera significativa la qualità dello stesso.
L’osservazione degli animali selvatici e del bestiame domestico indica inoltre che anche questi preferiscono dormire appoggiati sui loro lati e con la testa leggermente in salita.

Dormire inclinati!
Prendendo spunto dalla natura, medici e ricercatori hanno iniziato a studiare i benefici che si possono avere dormendo in una posizione più naturale, quella in cui il letto presenta una regolare inclinazione, con la testa posizionata nel punto più alto.
Mentre ancora non sono state fatte sperimentazioni scientifiche ufficiali, su scala adeguata, al riguardo dei benefici che dormire in questa posizione può avere sul sistema glinfatico, esistono comunque ricerche ed esperienze cliniche che hanno dimostrato che il “sonno inclinato” (con la testa sollevata di 3-6 pollici) ha incredibili benefici per la salute.

Importanza della posizione nel sonno
Fortunatamente ci sono cose che possiamo fare per ottimizzare il nostro sonno e il funzionamento del sistema glinfatico.
Proprio come il sistema linfatico, che purifica il resto del corpo, il sistema glinfatico è influenzato da fattori esterni, come la forza di gravità e la posizione del corpo o i livelli di stress.
I ricercatori del sonno hanno scoperto che, chi ha una peggiore qualità del sonno, spesso trascorre la maggior parte del tempo posizionato sulla schiena, con la testa dritta.
Altri studi confermano che la posizione che assumiamo durante il sonno può influenzare in maniera significativa la qualità dello stesso.
L’osservazione degli animali selvatici e del bestiame domestico indica inoltre che anche questi preferiscono dormire appoggiati sui loro lati e con la testa leggermente in salita.

Dormire inclinati!
Prendendo spunto dalla natura, medici e ricercatori hanno iniziato a studiare i benefici che si possono avere dormendo in una posizione più naturale, quella in cui il letto presenta una regolare inclinazione, con la testa posizionata nel punto più alto.
Mentre ancora non sono state fatte sperimentazioni scientifiche ufficiali, su scala adeguata, al riguardo dei benefici che dormire in questa posizione può avere sul sistema glinfatico, esistono comunque ricerche ed esperienze cliniche che hanno dimostrato che il “sonno inclinato” (con la testa sollevata di 3-6 pollici) ha incredibili benefici per la salute.

Il genocidio di Gaza e la corrispondenza tra Pike e Mazzini sullo scontro tra sionismo e mondo arabo

Di Cesare Sacchetti

La geopolitica e la storia sono due materie senz’altro affascinanti che ci aiutano a comprendere davvero cosa sta accadendo nel mondo ed in Palestina nell’attuale contesto storico.

Soprattutto se volgiamo lo sguardo dai libri della storia liberale e lo posiamo sulla vera storia che non ci viene narrata mai né sui banchi di scuola né negli atenei universitari, iniziamo a comprendere meglio qual è il vero fine e quali sono le vere forze che governano il fiume della storia.

Lo abbiamo fatto recentemente quando ci siamo soffermati ad analizzare la vera storia dello stato d’Israele e le decisive forze che hanno contribuito alla sua creazione.

A nostro avviso però nessun serio approccio teleologico della storia può sfuggire alle dinamiche spirituali che governano appunto questo processo.

Se si adotta il punto di vista dei materialisti storici formatisi alla scuola di Karl Marx, un adepto della massoneria, si penserà che la storia non è null’altro che il risultato di uno scontro tra differenti classi sociali che si contendono il controllo dei mezzi di produzione.

Se si resta fermi però a tale approccio materialista, non solo non si comprende cosa sta accadendo ora e qual è il disegno che sta ispirando Israele nel suo folle sterminio del popolo palestinese.

Non si comprende nemmeno cosa è accaduto nei secoli passati quando all’indomani della Rivoluzione Francese nel 1789 in Europa si imponeva una nuova religione che era quella umanista del culto dei diritti umani.

La storia attuale e la decadenza del mondo Occidentale che ha sostituito le sue autentiche radici cristiane e greco-romane con quelle del liberal-progressismo è appunto il risultato di questa sostituzione di valori spirituali autentici e di ispirazione divina con altri invece falsi di ispirazione umana così tanto venerati dalla massoneria.

Il grido “Egalitè, libertè e fraternitè” che i rivoluzionari francesi del 700 e che le stolte masse ripetevano non era appunto che l’esaltazione di quel culto dei diritti umani che sostituiva una società che prima metteva al centro della storia Dio con un’altra che invece ha messo al centro della storia l’uomo e la religione luciferiana delle logge.

Ad aiutarci a comprendere ancora meglio la visione spirituale, nel senso deteriore del termine, che anima Israele e le forze che hanno voluto la creazione dello stato ebraico è il celebre carteggio del 1871 tra Albert Pike e Giuseppe Mazzini.

L’autenticità del carteggio è stata contestata da alcuni negli ultimi decenni nonostante ci siano tracce di esso già dagli anni 50 e ancora prima.

A darne notizia nel 1959 nel suo libro “Satana: principe di questo mondo” è stato l’ufficiale di marina canadese William Carr.

Ancora prima di lui a citare lo scambio tra i due fu un altro illustre personaggio, ovvero l’arcivescovo di Santiago del Cile, il cardinal Caro Rodríguez che nel suo capolavoro “Massoneria smascherata” del 1925 ne fa cenno.

La lettera secondo Caro Rodriguez fino a quel momento risultava essere custodita dal British Museum che invece nei decenni successivi ha affermato che lo scritto non è mai stato in suo possesso.

Questo appare inusuale perché negli anni in cui ne parlava il cardinale cileno, il British Museum non risultava affatto smentire che la lettera si trovasse in suo possesso.

Ciò detto, il contenuto della lettera è straordinario ed inquietante al tempo stesso anche se si pensa che sia un falso, e in quest’ultimo caso, se si tratta di una contraffazione, ci si chiede come chi l’ha scritta fosse in grado di sapere già un secolo addietro e oltre con assoluta certezza cosa sarebbe accaduto nel XX secolo quando scoppiarono due guerre mondiali.

Quando Pike scrive a Mazzini gli parla della strategia che la massoneria dovrà perseguire per giungere al suo fine ultimo che altro non è che quello della Repubblica universale.

La Repubblica universale di cui parlano le logge viene descritta ipocritamente come un mondo nel quale i conflitti spariranno e le nazioni finalmente raggiungeranno la “pace” attraverso la rinuncia alla loro sovranità.

In realtà non si tratta altro che di un totalitarismo globale nel quale si sostituisce la religione cristiana con il culto luciferiano come afferma lo stesso Pike.

Quando oggi gli adepti delle massonerie con i suoi diversi riti, il più popolare è quello di rito scozzese, entrano nelle logge spesso è richiesto loro di leggere proprio l’opera principale di Albert Pike, intitolata “Morali e Dogma.”

Pike è stato il Granmaestro del Consiglio Supremo del rito scozzese nella giurisdizione meridionale degli Stati Uniti.

Tale loggia è particolarmente importante perché essa viene definita anche come il Consiglio Supremo del Mondo per ciò che riguarda l’esercizio del rito scozzese e il suo Granmaestro si può definire tranquillamente come uno dei massoni più influenti al mondo qual era appunto Albert Pike.

Giuseppe Mazzini non era comunque da meno in quanto presiedeva il Grande Oriente d’Italia che era legato a sua volta alla massoneria inglese e per la quale il rivoluzionario genovese dirigeva il processo di unificazione dell’Italia risorgimentale, voluto non tanto per unificare i vari Stati che esistevano prima dell’Unità d’Italia, ma soprattutto per colpire la Chiesa Cattolica il cui Stato andava dissolto e la cui influenza spirituale rimossa dall’Italia e dal mondo.

La massoneria sin dalla sua esistenza ha condotto una guerra esistenziale alla Chiesa Cattolica in quanto l’esistenza di questa istituzione di natura divina rappresentava e rappresenta tuttora, nonostante l’infiltrazione massonica subita dal Vaticano II, un formidabile katehon contro la manifestazione del governo mondiale e della persecuzione di massa contro i cristiani su tutto il pianeta.

Anche se si pensa che la lettera non sia autentica, e fino a prova contraria chi sostiene questa tesi non ha ancora portato solide prove a suo sostegno, è impossibile non rilevare che in quella corrispondenza c’è perfettamente spiegata la logica distruttiva che governa il mondialismo.

Pike scrive a Mazzini che per arrivare finalmente all’annichilimento di ogni religione, soprattutto di quella cristiana, saranno necessarie delle grandi crisi mondiali che porteranno degli sconvolgimenti così grandi e di proporzioni così devastanti da lasciare dietro di essi soltanto un cumulo di macerie.

Pike parla incredibilmente di tre guerre mondiali che accompagneranno tale processo. La prima vedrà contrapposti l’impero britannico contro quello tedesco e avrebbe dovuto portare alla fine dello zarismo in Russia con l’avvento dei bolscevichi e la diffusione del comunismo in Europa.

Attraverso la scristianizzazione della Russia, scrive Pike, si sarebbe diffuso sempre di più l’ateismo.

La seconda guerra mondiale, prosegue il massone americano, sarebbe invece dovuta essere “combattuta in modo da distruggere il nazismo e aumentare il potere del sionismo politico per consentire lo stabilimento in Palestina dello stato sovrano d’Israele. Durante la seconda Guerra Mondiale si doveva costituire un’Internazionale comunista altrettanto forte dell’intera Cristianità. A questo punto quest’ultima doveva essere contenuta e tenuta sotto controllo fin quando richiesto per il cataclisma sociale finale.”

Infine, per giungere al “cataclisma sociale finale” di cui parlava Pike a Mazzini sarebbe stata necessaria la terza guerra mondiale che va “fomentata approfittando delle divergenze suscitate dagli agenti degli Illuminati fra sionismo politico e dirigenti del mondo islamico. La guerra dovrà essere orientata in modo che Islam (mondo arabo e quello musulmano) e sionismo politico (incluso lo Stato d’Israele) si distruggano a vicenda, mentre nello stesso tempo tutte le nazioni rimanenti, una volta di più divise e contrapposte fra loro, saranno in tal frangente forzate a combattersi fra loro fino al completo esaurimento fisico, mentale, spirituale ed economico”.

Quando si legge tale scambio epistolare non si può fare a meno di restare completamente basiti. Anche se si pensa che la lettera sia un falso c’è da spiegare come sia possibile che circoli da più di un secolo un testo nel quale si sono anticipati gli eventi del XX secolo e soprattutto come sia possibile che chi abbia scritto tale lettera potesse sapere dell’esistenza del sionismo e del nazismo come movimenti politici e ideologici quando nella seconda metà del XIX secolo essi ancora non esistevano.

Soprattutto sconvolge il fatto che chiunque abbia scritto tale lettera lo abbia fatto come se stesse leggendo da un copione già scritto e deciso in ogni suo dettaglio.

Si trattava in tale ottica di favorire quegli eventi disastrosi indispensabili per consentire la nascita di quel governo mondiale nel quale il cristianesimo sarà definitivamente messo al bando e perseguitato ovunque.

La logica descritta nella lettera non è altro che quella della massoneria e del suo motto “ordo ab chaos” secondo il quale dalle macerie nascerà poi la Repubblica universale tanto anelata dalle logge massoniche.

E il testo predice esattamente quanto avvenuto nel XX secolo.

La prima guerra mondiale ha portato quegli stravolgimenti necessari per mettere fine alla Russia zarista e sostituire ad essa la spietata dittatura sanguinaria dei bolscevichi di Lenin, Trotskij e Stalin generosamente finanziati dalle banche di New York.

La seconda guerra mondiale ha prodotto invece il contesto ideale per consentire la nascita dello stato di Israele che nell’ottica dei suo fondatori assume un ruolo spirituale di primo piano nella manifestazione del futuro Nuovo Ordine Mondiale.

I lettori che non conoscevano tale scambio epistolare e che hanno visto quanto sta accadendo a Gaza in questi giorni con il massacro del popolo palestinese e il progressivo compattamento dei Paesi islamici contro Israele probabilmente staranno pensando che siamo dunque all’ultimo atto di un diabolico piano che si è passato di generazione in generazione.

A nostro avviso, non è questo il caso per delle ragioni che abbiamo già spiegato in precedenti contributi. La storia e i rapporti di forza geopolitici suggeriscono che il momento del governo totalitario globale è ancora lontano se si considera il fatto che stiamo assistendo alla dissoluzione dell’impalcatura globalista fondata sull’impero americano e sul vecchio mondo unipolare.

E se si vuole salire su un piano spirituale della lettura della storia necessario per poter comprendere davvero in che direzione sta andando l’umanità ricordiamo ancora una volta come le profezie mariane del secolo scorso ci dicano che si è vicini ad un trionfo della fede e ad una restaurazione della Chiesa Cattolica.

Ciò non toglie un fatto. La logica del Nuovo Ordine Mondiale è una che va al di là dell’immediata contingenza storica e si trasmette pazientemente di secolo in secolo.

Chiunque abbia scritto quella lettera possedeva tale logica e sapeva cosa sarebbe accaduto perché tali eventi sono stati voluti da forze eversive nemiche dell’umanità e che hanno in odio Dio.

Chiunque abbia scritto quella lettera ha dimenticato però che il padrone della storia non è l’uomo ma la Provvidenza ed è questo decisivo elemento che ha portato alla sconfitta del mondialismo ed è questo che porterà Israele al fallimento del suo folle piano di estendere il suo territorio.

La crisi che Israele ha scatenato non arriverà alla manifestazione della Grande Israele ma piuttosto ad un possibile ridimensionamento dello stato ebraico la cui esistenza senza il supporto incondizionato degli Stati Uniti appare incerta.

È una lezione che Israele e i poteri del mondialismo rifiutano di apprendere ed è una lezione che saranno costretti a ricevere loro malgrado molto presto, ancora una volta.

http://Www.lacrunadellago.net

Perché amiamo Leopardi più di tutti gli altri poeti

Giacomo Leopardi è il solo grande poeta e letterato del passato remoto che ancora vive nel nostro presente smemorato. Non Manzoni, non Foscolo, non Tasso, che lo stesso Leopardi pur considerava più grande di Dante né gli altri classici. A Leopardi si dedicano film, saggi, si celebrano perfino gli anniversari della sue poesie, come l’Infinito.

Eppure fu maltrattato nel suo tempo, come egli stesso scrisse: «sto qui, deriso, sputacchiato, preso a calci da tutti, menando l’intera vita in una stanza…», confidò a Pietro Brighenti nel 1821. Trattato come un deforme, un “saccentuzzo” maleodorante, “un gobbo fottuto”, un nano maledetto, alto appena un metro e 41, un fisico che ricorda quello di Antonio Gramsci; deriso non solo a Recanati ma anche a Napoli, definito un “ranavuottolo” e uno “scartellato”. Questo spiega la totale scissione del poeta favoloso dall’uomo risentito contro il mondo, le donne, l’umanità. Per lui “l’odio è di gran lunga il più durevole fra i piaceri: gli uomini amano in fretta, ma detestano a tutto loro agio e a lungo”. E comunque preferiva l’odio all’indifferenza. Poi il suo elogio del delitto che è a suo dire “un atto eroico”.
Del Leopardi oscuro, “intellettuale livido e livoroso”, tratta la “biografia non autorizzata” di Raffaele Ascheri, da poco edita da Cantagalli; una ricostruzione attenta e assai “scorretta” del grandissimo poeta.
Penoso è il capitolo della sua fame di denaro e delle sue umilianti richieste di aiuti a famigliari, prelati e potenti. Si faceva ipocrita e “untuoso”, pur di ottenere qualcosa. E per convincere i suoi genitori a sostenerlo economicamente, minacciava loro di tornare a casa, così gravando con i suoi esigenti consumi ed essendo “di grandissimo incomodo coi miei metodi strani di vita e colla mia malinconia”. Detestava insegnare, perché reputava gli studenti “insolenti” e lui troppo timido per insegnare; preferiva dare lezioni private di latino e greco. Imbarazzante è il capitolo dedicato a lui come “raccomandato vaticano”, e un altro sull’”ateo papalino”, pronto ad abdicare penosamente alla sua coerenza con una “servile e zelante abiura” e “alla sua dignità personale ed intellettuale” pur di strappare una sinecura ben pagata, “all’ombra del potere teocratico vaticano”. Mostrò insincera umiltà e piaggeria verso i potenti, arrivando a deprecare “la malintesa libertà di pensare”; e si disse felicissimo di servire il Papa Re. In questo appare più leale il cattolico fervente Monaldo che gli sconsigliò di travestirsi da clericale, perché “il galantuomo deve procedere in coerenza dei suoi principii, e non conviene ricevere stipendio da un Principe, vergognandosi di portare la sua divisa”. Giacomo non volle però trasferirsi a Roma, adottando tutte le scuse possibili, perfino “una stitichezza eccessiva” e la sofferenza della carrozza per il trasferimento. Voleva un incarico a Bologna, dove si trovava bene, con una “ben piccola fatica e piccolo tempo”; così sfumò la sua pretesa.
Leopardi fu ipocrita anche con suo padre: quando gli attribuirono la paternità dei Dialoghetti di Monaldo, al di là dei suoi cerimoniosi carteggi col padre, in cui diceva che non voleva “farsi bello degli altrui meriti”, definì altrove quel libro paterno “infamissimo, scelleratissimo”, con dialoghi “sozzi e fanatici”.
Praticando la dissimulazione, adottava anche nella corrispondenza la doppia faccia e la doppia morale. Adulava i prelati, chiedendo favori, ma in privato o in altre corrispondenze li disprezzava, fino a definirli “coglioni” (es. l’abate Cancellieri).
E un odio verso l’umanità e molte città, come Firenze “fetidissima”, e verso i romani e i napoletani; un disprezzo delle donne, soprattutto quelle che non ricambiavano il suo amore, fino a definirle “puttane” (come Teresa Malvezzi). Naturalmente in tutto questo pesavano le sue malattie, la sua cecità progressiva e la sua pessima alimentazione, la sua golosità di dolci che gli fu fatale; l’ultima fu la scorpacciata di confetti canellini di Sulmona che gli procurò amorosamente Paolina, la sorella di Antonio Ranieri, verso cui fu ingrato nonostante le tante premure ricevute. Refrattario alle abluzioni quotidiane, sciatto e malvestito, esaltava bacco e tabacco non potendo godersi Venere.
Ascheri smentisce la diceria di Leopardi omosessuale, che Giacomo definì “un vizio antinaturale”, “una snaturalezza infame”. Il biografo passa in rassegna i suoi infelici amori non ricambiati.
Il suo pessimo carattere, unito all’invidia per il suo genio, gli procurò inimicizie e odii; come quello di Niccolò Tommaseo che lo oltraggiò in versi: “Natura con un pugno lo sgobbò: “Canta, gli disse irata”; ed ei cantò». Ma anche con Manzoni si conobbero ma non si presero. Il deforme e cagionevole Leopardi esaltava la forza e il vigore fisico; Adriano Tilgher notava che “nessun moralista ha tanto esaltato la salute, il vigore e l’allegrezza quanto il pessimista e malato Leopardi”. In questo, trovò nel tempo un fratello, Nietzsche. E come lui esaltò lo spirito guerriero, la giovinezza e la salute, necessaria “a mantenere il vigore dell’animo e il coraggio che non saranno mai in un corpo debole”. Il superuomo ante litteram.
Poi vennero gli studi di Cesare Lombroso e di Giuseppe Sergi su di lui, a considerarlo uno psicopatico e un genio epilettico. Ascheri affronta il suo contraddittorio “nazionalismo” risorgimentale, i tentativi postumi di fascistizzarlo durante il regime o di arruolarlo come “progressista” e “materialista” da parte degli studiosi marxisti. Il responso finale è che fu “un cattivo maestro”. Ma fu un genio incomparabile. Grandezza della poesia, miseria della vita; nano in più sensi, gigante nella letteratura. Giacomo passa, Leopardi resta.

Marcello Veneziani

(Panorama n.44)

Tutti i Paesi occidentali corrono lo stesso rischio

Gilbert Collard
scrittore, avvocato e politico francese

Vi racconto una mia esperienza personale che non lascia spazio ad alcun dubbio in merito alla religione islamica.


“Sono stato costretto a prendere coscienza dell’estrema difficoltà di definire cosa sia un infedele, per poter scegliere tra Allah o Cristo; anche perché l’Islam è di gran lunga la religione in più rapida crescita nel nostro Paese. Ho partecipato ad un tirocinio annuale di aggiornamento, necessario per rinnovare il mio nulla osta di sicurezza carcerario.
In questa fase si è svolto l’intervento di quattro relatori, rappresentanti rispettivamente delle religioni cattolica, protestante, ebraica e musulmana, con l’intento di spiegare i fondamenti delle rispettive dottrine.
Con grande interesse aspettavo la presentazione dell’Imam.

Notevole la presentazione di quest’ultimo, accompagnata da una videoproiezione.

Terminati gli interventi è iniziato il momento delle domande e delle risposte e quando è stato il mio turno ho chiesto:

“Per favore correggetemi se sbaglio, ma credo di aver capito che la maggior parte degli Imam e delle autorità religiose hanno decretato la “Jihad” (guerra santa) contro gli infedeli in tutto il mondo, e che uccidendo un infedele (che è un obbligo imposto a tutti musulmani), si sarebbero assicurati il ​​posto in Paradiso.  Se sì, puoi darmi la definizione di infedele?”

Senza opporsi alle mie domande e senza la minima esitazione, l’Imam rispose:
“Infedele è ogni non musulmano”.

Ho risposto:
“Allora ti assicuro che ho capito bene;  gli adoratori di Allah devono obbedire all’ordine di uccidere chiunque non appartenga alla tua religione per guadagnarsi un posto in Paradiso, non è vero?

Il suo viso, che fino ad allora aveva avuto un’espressione piena di sicurezza ed autorità, si trasformò improvvisamente in quello di un ragazzo colto in flagrante con le mani in una zuccheriera!!!

“Esattamente”, rispose in un sussurro.

Ho ribattuto:
“Quindi, confesso che ho difficoltà a immaginare il Papa che dice ai cattolici di massacrare tutti i vostri sostenitori, o il pastore Stanley che dice la stessa cosa per garantire a tutti i protestanti un posto in Paradiso”.

L’Imam ha perso la voce!

Ho continuato:
“Trovo difficile anche per me considerarmi tuo amico, dal momento che tu e i tuoi confratelli incitate i vostri fedeli a tagliarmi la gola!”

In più ho un’altra domanda:
“Seguiresti Allah che ti ordina di uccidermi per ottenere il Paradiso, o Cristo che mi spinge ad amarti affinché anch’io possa accedere al Paradiso, perché Lui vuole che io sia con te?”

In quel momento si sentiva volare una mosca, mentre l’Imam rimaneva in silenzio.

Inutile dire che gli organizzatori e promotori del Seminario di Formazione non hanno particolarmente apprezzato questo modo di trattare il Ministro del culto islamico e di esporre alcune verità riguardanti i dogmi di questa religione.

Nel corso dei prossimi trent’anni, nel nostro Paese ci saranno abbastanza elettori musulmani da poter insediare un governo di loro scelta, con l’applicazione della “Sharia” come legge.

Mi sembra che tutti i cittadini di questo paese e del mondo dovrebbero essere consapevoli di queste righe, ma il sistema giudiziario e i media liberali combinati con la moda malata del “politicamente corretto”, non permetteranno in alcun modo che questo testo venga pubblicato. intensamente.

Per questo chiedo di diffondere questo articolo a tutti i vostri amici via internet. “

Gilbert Collard, cristiano, cittadino francese e avvocato.