La violenza giovanile

Di Tito TETTAMANTI

Non può non preoccupare il succedersi di resoconti nei quali si riferisce di atti di bullismo, di violenza, di scontri tra minori. Un ragazzino massacrato a furia di pedate in un agguato tesogli da un branco di compagni, gli scontri tra gruppi che si affrontano talvolta muniti di coltelli e corpi contundenti, incidenti durante riunioni di svago. Fatti che si ripetono ovunque nel Cantone. Ciò vale anche per il resto della Svizzera dove aumenta la violenza aumentando i tentativi di rapina, di ricatto e di attacchi con lesioni personali da parte di minori.

Da una statistica svizzera relativa ai minorenni in testa abbiamo i furti nei negozi, seguiti dai vandalismi e dagli scontri di gruppo.

In Ticino 1.294 gli incarti aperti presso la magistratura dei minorenni con 904 condanne nel 2022.

La magistrata dei minorenni, confrontata con un compito più che impegnativo, ritiene di individuare il problema di fondo nella mancanza di punti di riferimento solidi e stabili, e ciò nella società, nella famiglia ma anche nelle istituzioni.

Dinanzi all’acuirsi di tale fenomeno si impone una severa riflessione su cause e responsabilità. Sul banco degli imputati vanno messi la società, l’educazione (famiglia e scuola), l’Autorità. Per la società quale teste dell’accusa chiamo Marcello Veneziani. Con il suo libro «Scontenti, perché non ci piace il mondo» analizza l’oscuro malessere contemporaneo che induce ad essere negativi e ribelli, ci fa sentire continuamente inappropriati. Ad esempio «non più diritto al lavoro, lavorare meno per lavorare tutti, ma un diritto al non lavoro per sottrarsi allo sfruttamento padronale». Il rifiuto dell’ordine sociale, una liberalizzazione sessuale oscillante tra il bigottismo nelle espressioni e il libertinaggio nei rapporti. Mai la pornografia è stata tanto diffusa. Nel contempo la commissione consultoria per l’esame di pubblicità sessista della Città di Losanna fa ritirare i cartelloni pubblicitari della Toyota perché oltre all’auto figura una donna, in corretto abbigliamento, ma che potrebbe con la presenza attirare l’attenzione sull’auto. Una società disorientata e confusa, una società che sostiene spesso cause anche legittime ma con acredine, che trasmette ai giovani ansie e ribellione, non certo sicurezza.

Per quanto concerne la famiglia, nell’ambito dell’educazione ricorro alla testimonianza dell’intellettuale francese Michel Onfray, non certo un bacia pile, che constata come la famiglia sia diventata un peso che condiziona la libertà del «single», la famiglia si è sfasciata, domina quella monoparentale con tutte le sue difficoltà e ai giovani spesso manca un alveo protettivo. Buonismo e lassismo sono sovente un’ottima scusa per non assumere responsabilità assorbenti e impegnative.

Riguardo alla scuola una volta la raccomandazione era «impegnati, sforzati, vedrai che ce la puoi fare, avrai successo», oggi per contro «non preoccuparti (impegnarti), il non riuscire è un tuo diritto». Non stimoliamo quelli che possono riuscire per non umiliare gli altri. Poi a 10 anni si spiegherà che si può cambiare sesso. In Italia un giudice ha obbligato una scuola a promuovere un allievo bocciato, pensando di saperne più dei docenti. Questo allievo arriverà impreparato alla classe superiore, farà sempre maggior fatica a seguire non avendo avuto la possibilità di eventualmente ricuperare. Peggio, avrà magari capito che non contano studio o capacità ma i contatti e i giudici giusti per riuscire.

Non conosco nessun libro che descriva le condizioni della scuola da noi. Per quanto concerne le desolate situazioni in Italia e in Francia chiamerò a teste due autori, Luca Ricolfi con i suoi libri per l’Italia e Lisa Kamen-Hirsig, docente e autrice del libro «La Grande Garderie» per la Francia. Racconta tra l’altro un episodio nel quale ha punito due violenti maramaldi che quotidianamente bullizzavano un loro compagno rubandogli anche le vivande portate da casa. Per ordine di un pavido ed inetto direttore, impaurito dai genitori, ha dovuto annullare la sanzione. Chiaro il legame tra permissività e diffusione della violenza.

Quale ultimo teste a proposito dell’Autorità cito don Maurizio Patricelli, parroco di Caviano presso Napoli, centro di commercio e spaccio di droga ed altre attività criminali dove, tra le altre nefandezze, con il silenzio complice della collettività, due ragazzine dodicenni erano soggette a ripetute violenze sessuali. Don Patricelli chiede all’Autorità di essere presente sul territorio, assumere le proprie responsabilità. La convivenza per essere armoniosa esige delle regole che però non hanno alcun impatto se l’Autorità non ne assicura il rispetto.

Correnti di pensiero molto attive vedono negli atteggiamenti di mancata assunzione di responsabilità che ho denunciato passaggi obbligati e difendibili, necessari, per realizzare una società diversa dall’attuale e nella loro visione più giusta. È loro buon diritto nell’ambito del dibattito democratico. Questo atteggiamento deve però preoccupare, ma ancor più preoccupa la disattenzione, sia pure con motivazioni e origini diverse, e l’inerzia di coloro che dovrebbero difendere valori e cardini della nostra società.

Fonte

Alzheimer, speranze dai nuovi farmaci, efficaci ma solo per una parte dei pazienti

Il 21 settembre la giornata mondiale, 600 mila malati in Italia. Palazzi illuminati di viola

“Il momento che stiamo vivendo per l’Alzheimer mi ricorda qualcosa che vissi da giovane studente di medicina: l’arrivo della dopamina per curare il Parkinson.

A quei tempi il Parkinson era incurabile, era una condanna. I primi pazienti che hanno preso la dopamina hanno ricominciato a muoversi e hanno vissuto una seconda vita. Speriamo che accada presto qualcosa di analogo per l’Alzheimer”. Paolo Maria Rossini, responsabile del dipartimento di Scienze neurologiche e riabilitative dell’Irccs San Raffaele Roma descrive così il clima che si registra nel campo della malattia di Alzheimer alla vigilia della Giornata Mondiale dedicata alla malattia che si celebra il 21 settembre.

L’entusiasmo è legato all’avvento di nuovi farmaci che per la prima volta sembrano incidere sul decorso della malattia, inducendo un importante rallentamento. Due di questi medicinali sono già stati approvati in Usa, mentre in Europa il primo ok potrebbe arrivare tra non molto tempo. I nuovi farmaci agiscono sulle proteine (beta-amiloidi) che danno origine alle placche caratteristiche dell’Alzheimer e, anche se non è ancora chiaro se ciò si traduca in un miglioramento delle condizioni del malato, tutto fa però pensare che rappresenteranno una svolta.

Questa nuova opportunità, tuttavia, apre nuove sfide per la sanità. “Non dobbiamo trasmettere inutili illusioni”, ammette Raffale Lodi, direttore dell’Irccs Istituto Scienze Neurologiche di Bologna. “Le terapie sono efficaci, ma solo su una parte dei pazienti”. La loro efficacia è massima efficacia nelle primissime fasi della malattia, quando il cervello conserva almeno una parte della sua straordinaria plasticità. La difficoltà è dunque identificare i pazienti che possono beneficiare dei trattamenti prima ancora che compaiano i segni conclamati della malattia.

L’Italia nel 2018 ha lanciato un progetto di ricerca (Iterceptor) che vuole capire se alcuni biomarcatori, rilevati in fase precoce, sono in grado di distinguere chi si ammalerà di Alzheimer e chi no. “A breve potremo dire quale è la combinazione di marcatori che prevede chi è a rischio Alzheimer. Sarà così possibile iniziare il trattamento quando il cervello ha una buona riserva cognitiva e non quando ormai è come una piantina che non si annaffia da mesi”, aggiunge Rossini.

Tuttavia potrebbe non bastare: “Senza interventi organizzativi rischiamo di avere alcune realtà italiane che garantiranno l’accesso alle cure e altre in cui ciò non si realizzerà. Ci aspetta un nuovo, importante, lavoro”, precisa l’onorevole Annarita Patriarca, presidente, insieme alla senatrice Beatrice Lorenzin, dell’intergruppo Alzheimer e Neuroscienze. C’è poi il problema delle risorse, a cominciare da quelle da destinare ai nuovi farmaci. “Anni fa abbiamo vissuto un’esperienza simile con l’epatite C”, dice Lorenzin. “Oggi abbiamo guarito più di 260 mila persone”. Intanto, le associazioni premano perché venga rinnovato il Fondo per l’Alzheimer e le demenze che è in scadenza a fine anno. Sono 15 milioni, “una prima garanzia nella costruzione della rete per l’Alzheimer”, conclude Lorenzin. 

fonte

Lo spreco alimentare in Italia

Un terzo del cibo prodotto sul pianeta viene buttato via senza essere consumato. In Italia, il 2022 è stato l’anno all’insegna dello spreco alimentare (fonte: rapporto 2021-2022 di Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability), con circa 595,3 grammi di cibo buttati a persona a settimana, il 15% in più rispetto al 2021, dovuto principalmente alla ripresa della vita sociale dopo il periodo di convivenza con il virus. Smartway, che supporta i distributori nella lotta contro lo spreco alimentare, e l’istituto OpinionWay hanno interrogato il popolo italiano per la prima volta per decifrare i comportamenti e capire meglio le loro abitudini in termini di consumo e di spreco alimentare.  Indubbiamente, i risultati sottolineano una grande attenzione da parte degli italiani agli sprechi alimentari. L’inflazione attuale si collega anche ai risultati mettendo in avanti una richiesta ben chiara da parte del popolo italiano, che richiede fortemente maggiori sconti sui prodotti con una data di scadenza vicina. Tuttavia, questo studio mina un’idea generalmente accettata: i giovani, spesso considerati sensibili e portabandiera delle tematiche ambientali, alla fine si rivelano meno preoccupati e più dispendiosi, buttando via molto più cibo degli anziani. Si evidenzia una popolazione giovane meno provvedente e meno organizzata, rispetto ai senior, che butta via molto cibo in relazione a una data di scadenza vicina o passata. Eppure, lo studio mette in risalto che i giovani sono consapevoli di poter migliorare e chiedono maggiori informazioni sui passi da fare per ridurre gli sprechi.

LO SPRECO ALIMENTARE: UN TEMA CHE INTERESSA TUTTI GLI ITALIANI
Il 97% degli italiani dichiara prestare attenzione agli sprechi alimentari, di cui il 62% molta attenzione.

I GIOVANI SPRECANO DI PIÙ E PIÙ SPESSO
Tra i 18/24 anni si butta fino a 4 volte di più rispetto ai 65enni e oltre. Per esempio, il 47% tra i 18-24 anni butta la frutta almeno una volta al mese, contro il 22% per i 65enni e oltre. Il ratio è ancora più forte per i prodotti secchi, il 33% contro l’8% o per i latticini (42% vs 11%). Il 75% dei 18-24 anni butta almeno 1 prodotto ogni mese contro il 41% dei 65enni e oltre, allo stesso modo, tra i 65enni sono il 14% a buttare almeno 5 prodotti ogni mese contro il 38% per i più giovani. I maschi hanno una frequenza degli sprechi più alta delle donne, il 38% dei maschi butta più frequentemente il pane rispetto al 24% delle donne

FRUTTA E VERDURA: I CIBI PIÙ SPRECATI

Il 59% butta almeno un tipo di prodotto ogni mese, principalmente la frutta (37%), la verdura (37%), piatti avanzati (32%). 1 italiano su 10 dichiara di non buttare mai i prodotti (9%). I senior sono il doppio ad affermare la stessa cosa (17%). Il 46% butta un prodotto perché ha un cattivo odore o aspetto, il 33% per la data di scadenza ed il 31% perché il prodotto è rovinato e non ispira fiducia.

LA DATA DI SCADENZA – UN ELEMENTO CRUCIALE NEL PERCORSO DI ACQUISTO
L’88% degli italiani guarda sempre la data di scadenza prima dell’acquisto Il 32% dei 65enni e oltre butta un prodotto perché la data di scadenza è vicina o passata contro il 52% tra i 18-24 anni. Per i 18-24 anni, solo 7/10 (71%) verificano la data di scadenza prima dell’acquisto, contro 9/10 per i più anziani (89%). 1 giovane su 2 (tra i 18-24 anni) butta spesso i prodotti prima che la data di scadenza sia passata, 2 volte di più rispetto ai senior (27%) e molto di più della media nazionale (32%).

LA LOTTA CONTRO LO SPRECO ALIMENTARE DEVE PASSARE ATTRAVERSO PIÙ PROMOZIONI E SCONTI 

Il 90% degli italiani chiede alle insegne di proporre più sconti sui prodotti vicini alla scadenza (il 79% tra i 18-24 anni contro il 94% dei 65enni e oltre). Il 34% dei 18-24 anni vuole essere informato sui gesti da adottare per ridurre lo spreco alimentare, contro il 16% dei senior.

Qualsiasi pubblicazione, totale o parziale, deve utilizzare la seguente dicitura completa: “Studio OpinionWay-Smartway: Gli italiani e lo spreco alimentare” e nessuna riproduzione del sondaggio può essere dissociata da questo titolo.

Lo studio completo qui: https://smartway.ai/it/blog/2023/09/18/mentre-gli-italiani-dichiarano-di-prestare-attenzione-i-18-24-enni-sono-i-campioni

Dilaga l’interesse per gli incontri Fetish Mistress nella città di Milano

Milano è una città cosmopolita, vivace e da sempre in continua evoluzione. È una città che offre ogni tipo di interesse a avanguardia, ottime opportunità di lavoro, studio, divertimento, locali e serate per ogni genere di divertimento all’insegna della multi cultura e di persone provenienti da tutto il mondo. In questo contesto, non sorprende che l’interesse per gli incontri Fetish Mistress siano in costante aumento.

Secondo una recente ricerca, il 70% dei single milanesi ha utilizzato almeno una volta un’app di incontri, e più di recente, l’attenzione verso il Kinky e tutto ciò che riguarda dominazione e giochi di ruolo è in aumento esponenziale. Questo dato è in linea con la tendenza verso la pubblicazione di contenuti contenenti immagini e video di piedi, tacchi e gambe su tutti i social più famosi.

Ci sono diversi fattori che contribuiscono al crescente interesse per i siti di incontri Mistress e Fetish Femdom a Milano. Innanzitutto, la città è caratterizzata da una grande diversità culturale.

Questo rende più facile trovare persone con interessi e valori simili, anche se provengono da contesti diversi.

In secondo luogo, Milano è una città dinamica e frenetica. Il lavoro e lo studio spesso occupano molto tempo, lasciando poco spazio per la socializzazione. I siti di incontri, o sessioni di gioco come spesso vengono definite in gergo, possono offrire un modo facile e veloce per provare esperienze uniche e particolari. In terzo luogo, portali come Relazioni Sociali offrono una rapida panoramica di Mistress nella tua città con pochi velocissimi click e direttamente dal proprio smartphone.

Questi portali di annunci per incontri Mistress a Milano offrono una serie di vantaggi rispetto ai metodi di incontri tradizionali quali feste a tema che spesso si tengono in altre città o con cadenze spesso troppo lunghe.

Innanzitutto,è possibile accedere ad un’ampia platea di profili, con descrizione approfondita di limiti, giochi, pratiche e regole da rispettare, aspetto molto importante nel mondo Kinky. In secondo luogo, consentono di conoscere rapidamente le Padrone tramite contatti social per entrare in un contesto più approfondito.

I profili di questi di incontri spesso includono informazioni, foto, video, ogni genere di informazione per farsi un’idea di come potrà essere l’esperienza che si va cercando. In questo contesto si ha modo di risparmiare tempo e se il portale è serio e pubblica solo inserzioniste reali, si evitano tristi delusioni e frustrazioni.

Non è garantito che si incontri subito la persona giusta, ogni incontro è una chimica a sé, fatta di momenti, attimi, stati d’animo e mille altre sfaccettature, ma di certo non si parte totalmente alla cieca e si ha man mano modo di conoscersi.

I siti di incontri Fetish Mistress sono uno strumento popolare e efficace e il traffico di visitatori dalle città Lombarde, Milano in vetta, è in costante aumento.

Questo genere di incontri, specialmente in ambito Femdom, vede l’adesione da parte non solo di uomini (detti anche feticisti o slave a seconda delle loro più marcate attenzioni verso i piedi e gambe femminili o verso la sottomissione alla Donna, ma anche utenti del gentil sesso che sempre di più si affacciano a questo mondo.

I siti di incontri fetish più popolari a Milano sono quelle che offrono un’ampia gamma di opzioni e funzionalità, come RelazioniSociali che ha di recente effettuato un restyling volgendo il proprio sguardo al mondo Mistress, pubblicando articoli, news e una sezione dedicata a meravigliose clip video per venerare le Mistress di Milano.

Alcune utili indicazioni per chi si affaccia al mondo del Kinky: in prima battuta è importante chiarire che il gioco o sessione deve sempre avvenire in maniera consensuale, sana e sicura, è sempre bene definire interessi, passioni e limiti per un divertimento reciproco e una piena immersione in totale serenità.

Il gioco di ruolo e scambio di potere che si perfeziona verso la Padrona riguarda non solo slave o praticanti del BDSM, ma anche coloro che adorano le estremità femminili, l’eleganza di una vera Domina e che desiderano provare nuove fantastiche esperienze. L’informazione è alla base di questo settore, è sempre bene conoscere la terminologia specifica e lasciarsi guidare da Mistress esperte.

La fine del dollaro e il mondo multipolare finanziario

di Cesare Sacchetti

Quando si pensa al dollaro, si pensa a qualcosa di più che una semplice moneta. Il dollaro è stato una vera e propria arma finanziaria nelle mani di determinati poteri che lo hanno utilizzato per punire coloro che si disallineavano dagli interessi e dalla volontà della finanza internazionale.

Il dominio del dollaro sui mercati internazionali nasce quando si afferma a Bretton Woods nel 1944 il sistema economico mondiale che tuttora domina, o forse dovremmo dire già dominava, i mercati mondiali.

Quando le potenze dell’anglosfera si riuniscono nella località dello stato del New Hampshire nell’albergo Mount Washington vengono eretti i pilastri della finanza e dell’economia mondiale.

E tali pilastri hanno portato alla creazione di istituti finanziari quali i controversi FMI, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca mondiale e il dollaro come valuta di riserva globale.

Vedremo perché la definizione di controversi è anche alquanto generosa successivamente. Ciò che rileva ora è mettere in evidenza come verso la fine della seconda guerra mondiale si stava consumando un passaggio epocale.

È il passaggio nel quale lo Stato nazionale viene essenzialmente svuotato delle sue tradizionali prerogative e imprescindibili poteri.

Il 900 è stato fino al 1945 il secolo delle nazioni e i tentativi di trasferire la sovranità degli Stati nazionali verso organizzazioni sovranazionali erano falliti prima della seconda guerra mondiale.

Il più noto tentativo di creare

consesso sovranazionale nel quale gli Stati fossero costretti ad obbedire alla volontà di un corpo al di sopra della volontà dei singoli Paesi è stato con l’istituzione della società delle nazioni, promossa fortemente dal presidente americano Woodrow Wilson dopo la fine della prima guerra mondiale.

I conflitti globali hanno assolto in questo senso una funzione molto precisa nell’ottica dei poteri finanziari che premevano perché le nazioni fossero private della loro indipendenza a sovranità nazionale.

I conflitti hanno assolto alla funzione di un riordino degli equilibri globali e sono serviti a soddisfare la volontà di quelle forze che si sono imposte sugli Stati nazionali dal 1945 in poi.

Potremmo affermare in questo senso che la seconda guerra mondiale è riuscita, purtroppo, laddove la prima aveva fallito.

Con la nascita delle Nazioni Unite e delle altre istituzioni internazionali stabilite a Bretton Woods, lo Stato nazionale diventa suo malgrado un comprimario, e questo vale soprattutto per i Paesi europei, ridotti al ruolo di comparse dopo la guerra la cui politica veniva scritta e orientata da quelle lobby che la facevano da padrone a Washington.

Così nasce il potere dell’anglosfera non solo sul piano militare attraverso la NATO ma soprattutto attraverso il braccio economico armato del dollaro e di Washington che verrà usato come un bastone contro coloro che oseranno opporsi agli interessi del nascente impero.

A Bretton Woods viene deciso che il dollaro americano è la valuta di riserva globale negli scambi internazionali e ciò significa esercitare un immenso e insopportabile potere verso tutti coloro che sono privi della facoltà di stampare tale moneta.

In principio, il sistema era fondato sulla parità aurea, ovvero a rendere il dollaro la valuta utilizzata negli scambi internazionali era il fatto che gli Stati Uniti garantissero la sua convertibilità in oro.

Giscard D’Estaing, presidente francese e personaggio poco raccomandabile dato il suo probabile coinvolgimento nell’abbattimento del DC-9 di Ustica nel 1980, aveva affermato tuttavia una verità ineccepibile su tale questione.

Quanto avevano e hanno ancora in parte a disposizione gli Stati Uniti era un “esorbitante privilegio”.

Il solo fatto di possedere tale valuta e di poterla stampare a comando assicura agli USA la capacità di importare qualsiasi merce in maniera virtualmente illimitata dal momento che fino a quando si stampa il dollaro non c’è affatto il rischio di rimanere a corto di questa moneta.

Nel 1973, il presidente Nixon mette fine anche all’unica caratteristica che poteva dare una vaga legittimità a questo sistema rinunciando alla conversione in oro.

Gli Stati Uniti non avevano più intenzione di continuare a garantire la convertibilità nel metallo pregiato per timore di esaurire le riserve in oro, necessarie per difendere il cosiddetto gold standard.

Da allora, l’unica cosa che garantisce al dollaro il suo status non è altro che la politica o meglio la geopolitica.

Washington stabilisce con l’Arabia Saudita, suo alleato principale nel Medio Oriente assieme allo Stato di Israele, l’accordo che darà vita al petrodollaro.

Riyad acconsentì allora di accettare il dollaro americano come unica moneta utile per l’acquisto di petrolio e questa è stata l’unica condizione che ha salvato lo stato di valuta di riserva globale del biglietto verde.

Il dollaro come strumento di terrorismo finanziario

Le lobby di Washington non potevano perdere il dollaro perché esso, come detto all’inizio di questa analisi, non è una moneta, ma un’arma.

E questa arma è stata usata scientificamente contro quei Paesi che si sono opposti all’imperialismo americano come l’Iran dopo la rivoluzione islamica che è stato seppellito di sanzioni ed estromesso dal commercio in dollari.

Stessa sorte è toccata all’Iraq di Saddam Hussein, “amico” di Washington negli anni 80 quando serviva per lanciare la guerra contro l’Iran, e nemico negli anni successivi proprio quando stava iniziando a considerare la possibilità di non accettare più il dollaro per il petrolio iracheno.

Un’idea che era stata considerata anche da Gheddafi ucciso nel 2011 dalla NATO, il braccio armato dell’anglosfera.

Chiunque prendesse in considerazione di non utilizzare il dollaro negli scambi internazionali veniva brutalmente rimosso o ucciso perché l’ordine della seconda guerra mondiale prevedeva che fossero gli Stati Uniti e la sua moneta i garanti dell’impero.

E nella struttura dell’impero ci sono ovviamente anche il FMI e la Banca mondiale divenuti entrambi famigerati per la loro politica di strozzinaggio nei confronti di quelle nazioni in via di sviluppo che in cambio di prestiti con condizioni che definire usuraie è riduttivo erano poi costrette a svendere e privatizzare tutte le loro risorse strategiche a quel conglomerato di corporation che dominava Washington.

Nei casi più estremi si estrometteva dal sistema di pagamenti Occidentale, il celebre Swift, come capitato al Vaticano nel 2012 quando la finanza internazionale ordinava a Ratzinger di dimettersi non tanto per una sua vera opposizione ai piani del mondialismo ma per quella che è stata giudicata da tali ambienti come una non efficiente esecuzione di questi.

Tutto questo non è stato altro che una forma di terrorismo finanziario utilizzato per ingerire nella sovranità delle altre nazioni desiderose di seguire una politica che facesse i propri interessi e non quelli dei gruppi di potere che regnavano a Washington.

La de-dollarizzazione e il multipolarismo finanziario

Questo dominio però sta cambiando e sta venendo rapidamente meno perché gli eventi degli ultimi due anni stanno portando ad un fenomeno che non ha precedenti dal 1945.

Il potere del dollaro si sta progressivamente erodendo. Se si dà uno sguardo agli scambi internazionali, si noterà che ad oggi la moneta americana è utilizzata solamente nel 59% delle transazioni internazionalimentre solamente fino a pochi anni fa, era saldamente superiore al 70%.

E tale percentuale continua a scendere molto rapidamente.

Il mondo sta rinunciando al dollaro e lo strumento di ricatto di Washington perde la sua forza.

Sono due principalmente le circostanze che stanno portando alla fine della dollarizzazione.

La prima è il cambio di politica da parte degli Stati Uniti che dal 2016 in poi quando si è imposta la dottrina sovranista di Trump hanno preso una strada in netta contrapposizione con gli apparati del globalismo.

Tale dottrina come spiegato in diverse occasioni non si è interrotta nemmeno sotto la presidenza Biden che non ha spostato praticamente nulla da quando Trump ha lasciato Washington ma che anzi sta persino paradossalmente accelerando questo processo.

La seconda è la nuova struttura economica alla quale stanno lavorando i BRICS. I BRICS a differenza dell’anglosfera non sono fondati sulla supremazia di un determinato blocco nei confronti delle nazioni.

Non c’è una posizione imperialista ma una di rispetto della sovranità degli Stati nazionali. Il sistema economico dei BRICS prevede principalmente l’utilizzo delle varie valute nazionali negli scambi per non assegnare a nessuno una supremazia sull’altro.

Non è ancora chiaro se i BRICS sono interessati a creare una moneta alternativa negli scambi ma se lo faranno non sarà probabilmente nell’ottica di dare vita ad una valuta di riserva globale di cui dispone uno Stato a piacimento mentre gli altri sono tagliati fuori.

L’idea è quella di garantire una parità non solo politica ma anche economica per non creare gli squilibri visti dalla seconda guerra mondiale in poi.

Per l’Italia, questa è un’occasione pressoché unica. Al momento, il Belpaese sta affrontando un processo di disgregazione politica della sua classe dirigente che si ritrova di fronte ad un inevitabile declino, vista la fine dell’ombrello protettivo di Washington.

Negli anni passati quando si affrontava il dibattito sull’uscita dall’euro, i propagandisti della moneta unica sostenevano che saremmo stati tagliati fuori dagli scambi internazionali se fossimo tornati alla lira.

Ciò era, ed è, ovviamente una crassa bugia perché anche con il precedente sistema fondato sul dollaro nessuno vietata e vieta all’Italia di utilizzare altre valute di scambio come stanno facendo i Paesi dei BRICS per acquistare le materie prime.

Tutto passa da una geopolitica che non sia quella scritta a Londra, Bruxelles e Washington ma quella finalmente scritta a Roma negli interessi esclusivi dell’Italia.

Una volta venuto meno il potere del dollaro viene meno anche quell’arma di ricatto finanziaria che è stata utilizzata nei confronti di molti leader per diversi decenni.

A proposito della fine del dollaro come valuta di riserva globale, qualcuno potrebbe chiedersi legittimamente che fine farà il biglietto verde in caso di de-dollarizzazione ultimata.

Non sparirà dalla circolazione ma sarà certamente usato negli Stati Uniti in quanto esso è comunque una valuta legata ad uno Stato a differenza dell’euro.

Gli Stati Uniti in questo scenario perderebbero il loro esorbitante privilegio ma sarebbero in grado di investire di più sulle produzioni nazionali riducendo le importazioni che spostano il lavoro altrove.

La moneta che rischia di sparire del tutto è invece proprio l’euro che non è emessa da una banca centrale nazionale ed è stampata da una banca centrale, la BCE, che non presenta le caratteristiche di una banca centrale classica.

La BCE non è soggetta al potere degli Stati europei e non garantisce il debito pubblico di nessuno di essi.

Anche se essa si chiama Banca centrale europea non è una vera banca centrale. È un’anomalia concepita dalla finanza europea per poter sottrare gli Stati della loro sovranità monetaria e costringerli ad indebitarsi sui mercati internazionali per potersi finanziare.

Il multipolarismo sta inaugurando una fase nuova, pressoché inedita. Non è solo amputato il braccio armato militare dell’anglosfera ma anche quello finanziario ed economico.

Il futuro delle relazioni internazionali sembra essere diretto verso un ritorno in vita definitivo dello Stato nazionale ucciso dall’anglosfera nel 1945.

E a giudicare dalla rapidissima evoluzione dei contesti internazionali e dall’avanzata dei BRICS che hanno aggiunto nuovi membri, tra i quali l’Arabia Saudita che si distanzia sempre più da Washington, non è azzardato affermare che nel giro di pochi anni questo processo sarà completato.

Il mondo sta passando dalla globalizzazione spinta degli anni 90 ad una rapida deglobalizzazione.

È in questo passaggio che ci saranno cambiamenti epocali per organizzazioni quali l’UE il cui establishment non sopravviverà a tale transizione.

Se le istituzioni sovranazionali sono state le indubbie protagoniste del XX secolo, le protagoniste del XXI secolo sembrano essere a tutti gli effetti le nazioni dotate nuovamente di poteri e piena sovranità.

Da La Cruna dell’ago

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Frustrazione in età avanzata, quando non ci sono nipoti

In Svizzera sempre meno persone hanno figli. Anche se spesso si tratta di una decisione volontaria, chi non ha voce in capitolo ne soffre: le persone anziane che vorrebbero avere dei e delle nipoti ma non ne hanno. 

Daniel* non se lo aspettava. Lui e sua madre stavano discutendo, non ricorda il motivo, e poi lei ha pronunciato questa frase: “E non avrò nemmeno dei nipoti”! 

Daniel ha circa trent’anni, è figlio unico e fino a quel momento non aveva mai tentato di diventare papà. Il fatto che questa fosse una grande preoccupazione per sua madre gli è saltato agli occhi durante questa discussione. 

Il tasso di natalità diminuisce

Il desiderio non soddisfatto di avere nipoti fa male. Nei prossimi anni, sempre più persone in Svizzera si sentiranno come la madre di Daniel. Con il costante calo del tasso di natalità, anche la possibilità di diventare nonni e nonne sta diminuendo. Secondo l’Ufficio federale di statisticaLink esterno, nel 2022 il tasso di natalità è sceso a una media di 1,39 figli per donna. 

A titolo di confronto, il tasso di natalità nel 1964, l’anno del boom, era di 2,68. L’ultima volta che le donne in Svizzera hanno avuto in media due figli è stato nel 1971. Da allora il valore statistico è sempre stato inferiore.Link esterno Per garantire una popolazione stabile, oggi sarebbero necessari 2,1 figli, senza contare l’immigrazione. 

La Svizzera non è la sola a a essere in questa situazione: molti Paesi europei dovranno far fronte a un futuro con poche nascite. Nel 2015, una campagna danese per accrescere la natalità ha fatto notizia in tutta Europa. La campagna, realizzata dallo Stato danese insieme a un’agenzia di viaggi, utilizzava un video per pubblicizzare vacanze in cui il desiderio di procreare sarebbe aumentato automaticamente. 

Tuttavia, la campagna non era rivolta solo alle coppie, ma in particolare alle donne anziane il cui desiderio di avere un nipotino o una nipotina non era stato esaudito. Lo slogan era “Fallo per la mamma” e nel video le donne tristi sedute da sole sul divano diventano nonne esultanti con il nipote o la nipote in braccio. La prole non deve solo garantire la continuità dello Stato, ma anche la felicità delle persone anziane. 

L’obiettivo è quello di avere nonne felici: è così che la Danimarca ha voluto incrementare il tasso di natalità: 

Il desiderio di diventare nonna o nonno può essere molto forte. Jeannine Hess, responsabile del programma del Master in lavoro sociale e docente presso l’Università di Scienze Applicate di Zurigo, afferma: “Per molte persone della generazione odierna dei nonni e delle nonne, la famiglia è il modello di vita ideale. La prole fa parte del loro personale concetto di vita ed è la norma. Hanno avuto figli/e loro stessi e quindi si aspettano che ci siano nipoti”. 

Anche Peter Burri Follath, portavoce di Pro Senectute, ha osservato questo fenomeno: “I cittadini e le cittadine anziane che hanno messo al mondo dei figli e delle figlie sono ancora in grande maggioranza e vorrebbero naturalmente che questo accadesse anche alla loro prole”. 

Il desiderio di avere nipoti è indipendente dal sesso. Tuttavia, le ragioni possono essere diverse: “Per le donne, il lavoro di cura è spesso un problema per tutta la vita, che dovrebbe protrarsi anche in età avanzata. In questa fase della vita, gli uomini sono più propensi a chiedersi chi saranno gli e le eredi e quale sarà il loro lascito, anche sotto forma di nipoti”, dice Hess. 

Inoltre, gli uomini spesso mettono al primo posto l’attività lavorativa. “Con i e le nipoti, hanno un’altra possibilità di essere coinvolti nella famiglia e di vedere i figli e le figlie crescere.” 

La mancanza di figli mette a dura prova le relazioni familiari 

Se i propri figli e le proprie figlie non possono avere una prole a causa delle loro condizioni o per motivi medici, di solito c’è una certa comprensione. Ma coloro che scelgono deliberatamente di non procreare possono essere una grande fonte di frustrazione per i nonni e le nonne. “Questo può scatenare un senso di impotenza”, dice Hess. 

Le aspettative nascoste e manifeste possono anche mettere a dura prova il rapporto con i figli e le figlie. A differenza del video della campagna danese, i genitori di solito non hanno molta influenza sulla pianificazione familiare della loro prole. 

“Fondamentalmente, la mancanza di nipoti è un grande motivo di tensione”, afferma Hess. Tuttavia, la ricercatrice ritiene che in futuro in Svizzera ci saranno sempre più persone che decideranno consapevolmente di non avere figli. E quindi aumenterà anche il numero di persone anziane  senza nipoti. 

Il fatto che il tema dell’assenza di nipoti sia difficile da affrontare in tutte le generazioni è emerso anche durante le ricerche per questo articolo. Quasi nessuno era disposto a parlare delle proprie esperienze. Un’associazione di persone anziane non ha nemmeno voluto chiedere ai suoi membri un resoconto delle loro esperienze. L’immagine dei nonni e delle nonne felici, invece, è onnipresente, ad esempio nella pubblicità.  

Niente nipoti anche per la popolazione cinese in calo 

In tutto il mondo, gli anziani desiderano avere dei e delle nipoti. Ma le possibilità non sono equamente distribuite ovunque. A causa della lunga politica del figlio unico, in Cina tutte le speranze sono spesso riposte su un paio di spalle. La dottoressa Jia* è fortunata: la sua unica figlia, vuole avere una famiglia. 

La donna cinese di 57 anni, che vive nella regione di Berna e lavora come medico, ne è felice. E non solo lei: anche il nonno della figlia, in Cina, desidera che la nipote metta presto su famiglia. I suoi coetanei e le sue coetanee in Cina hanno già dei bambini, ora è preoccupato che per la nipote ci voglia troppo tempo. 

A gennaio la Cina ha reso noti i dati che mostrano come il Regno di Mezzo abbia subito un calo demografico. Il numero di nascite è crollato, nonostante il Paese abbia introdotto la politica dei due figli nel 2016. “Nelle aree urbane non è più raro che ci si astenga dall’avere figli”, afferma la dottoressa Jia. 

Le ragioni sono molteplici: le coppie non possono permettersi di avere una prole, mettono le loro carriere in primo piano o semplicemente non vogliono figli/e. Per la vecchia generazione, tuttavia, questa decisione è incomprensibile. “I figli e le figlie sono sinonimo di felicità in Cina”, afferma il medico. 

La famiglia è molto importante in Cina e la delusione quando non arrivano nipoti è ancora più grande che in Svizzera, dice la dottoressa Jia. Le persone anziane cadono in una vera e propria depressione. 

Nipoti come previdenza per la vecchiaia 

I nonni e le nonne spesso si fanno carico di gran parte della cura e dell’educazione dei e delle nipoti. Questo può arrivare al punto che una nonna si trasferisce in un’altra città per prendersene cura. La dottoressa Jia ha già assicurato alla figlia che si occuperà della sua prole: “Un giorno o due alla settimana, ci sarò se avrà bisogno di me”. 

A un certo punto, la situazione cambia e le persone anziane devono fare affidamento su figli/e e nipoti. “Quando è possibile, la famiglia si prende cura dei nonni e delle nonne”, dice la dottoressa Jia. “Anche dal punto di vista finanziario”. Le persone più povere senza discendenti si preoccupano quindi di come trascorreranno la vecchiaia. 

Nipoti surrogati colmano il vuoto 

Anche se i e le nipoti non sono una fonte di previdenza per la vecchiaia, la delusione per la loro assenza può causare un grande dolore. Per superare questo problema è necessario riflettere molto su sé stessi. “Si può pensare al motivo di questo desiderio così forte”, dice Jeannine Hess. 

Nonostante la pressione che può essere esercitata in alcune famiglie, non si può obbligare i propri figli e le proprie figlie ad avere una prole. “Bisogna cercare di definire la propria identità personale in altri ambiti e soddisfare così i propri bisogni”, dice Hess. 

Il che significa qualcosa come: Devi trovare qualcos’altro che ti dia piacere. “I contatti sociali hanno un ruolo importante nella vecchiaia”, afferma Burri Follath di Pro Senectute. Se questi non possono essere vissuti in famiglia con la cura dei e delle nipoti, è importante concentrarsi su amicizie appaganti o su un hobby. 

Ma si può assumere il ruolo di nonna o di nonno anche senza avere nipoti propri. Diversi progetti hanno riconosciuto questa lacuna e mettono a disposizione dei nonni e delle nonne ideali a nipoti surrogati. 

Ad esempio, sul sito misgrosi.ch oltre alla custodia dei bambini e delle bambine, negli annunci viene spesso espresso il desiderio di una relazione più intima. Questi scambi sono davvero più importanti di un semplice contributo gratuito? Assolutamente sì, dice Jeannine Hess: “È un dare e ricevere. Le persone anziane rimangono aggiornate grazie al contatto con i bambini e le bambine, ad esempio nell’uso dello smartphone”. 

In Svizzera, questa forma di sostegno e scambio non è abbastanza utilizzata. “Le relazioni intergenerazionali extrafamiliari non sono ancora abbastanza vissute.” Affinché la frustrazione non sia così grande in età avanzata, è consigliabile affrontare anche la possibilità di non avere nipoti prima dell’età della pensione. 

Autrice: Xudong Yang. A cura di Marc Leutenegger 

Traduzione dal tedesco: Sara Ibrahim

I nomi contrassegnati con * sono noti alla redazione. 

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LA GUERRA IN UCRAINA SERVE AGLI USA. E NON NE FANNO MISTERO – Di Caitlin Johnstone

FONTE: Settembre 2023 

Mentre alla massa viene ripetuto ossessivamente da 18 mesi lo slogan della “guerra non provocata”, analisti e opinionisti di regime sono concordi nel ritenere che la guerra in Ucraina sia un grande affare per gli Stati Uniti sotto ogni punto di vista. E lo dicono pure esplicitamente. Peccato che a leggerli siano in pochi.

Titolo originale: US Officials Keep Boasting About How Much The Ukraine War Serves US Interests,
di Caitlin Johnstone, Caitlin’s Newsletter, settembre 2023

Uno dei buchi narrativi più evidenti nella narrativa ufficiale mainstream sull’Ucraina è il modo in cui i funzionari statunitensi continuano a vantarsi apertamente del fatto che questa guerra, apparentemente non provocata, che gli Stati Uniti stanno appoggiando solo per bontà di cuore, serva enormemente gli interessi degli Stati Uniti.

In un recente articolo per il Connecticut Post, il senatore Richard Blumenthal ha assicurato gli americani che “stiamo ottenendo il massimo profitto dai nostri investimenti in Ucraina”:

“Per meno del 3% del bilancio militare della nostra nazione, abbiamo consentito all’Ucraina di ridurre della metà la forza militare della Russia”, scrive Blumenthal. “Abbiamo unito la NATO e costretto i cinesi a riconsiderare i loro piani di invasione di Taiwan. Abbiamo contribuito a ripristinare la fede e la fiducia nella leadership americana – morale e militare. Il tutto senza che una sola donna o un solo uomo di servizio americano sia rimasto ferito o sia andato perso e senza alcuna deviazione o appropriazione indebita degli aiuti americani”.

Come ha recentemente osservato Dave DeCamp di Antiwar, questo tipo di discorso sugli “investimenti” in Ucraina è diventato sempre più comune. Lo scorso fine settimana il senatore Mitt Romney ha definito la guerra “la migliore spesa per la difesa nazionale che penso abbiamo mai fatto”.

“Non stiamo perdendo vite umane in Ucraina e gli ucraini stanno combattendo eroicamente contro la Russia”, ha detto Romney. “Stiamo diminuendo e devastando l’esercito russo per una somma di denaro molto piccola… una Russia indebolita è una buona cosa”.

Il mese scorso il leader della minoranza al Senato Mitch McConnell ha affermato che gli americani dovrebbero sostenere la guerra per procura del governo americano in Ucraina perché “non abbiamo perso un solo americano in questa guerra”, aggiungendo che la spesa sta aiutando a impiegare americani nel complesso militare-industriale. 

“La maggior parte del denaro che spendiamo per l’Ucraina viene effettivamente speso negli Stati Uniti, ricostituendo armi, armi più moderne”, ha detto McConnell. “Quindi, si tratta a tutti gli effetti di assumere persone qui e di migliorare le nostre forze armate per ciò che potrebbe accadere in futuro.”

McConnell parla già dallo scorso anno di quanto questa guerra avvantaggi gli Stati Uniti. In occasione di un discorso pronunciato lo scorso dicembre, il mostro malato della palude ha sostenuto che “le ragioni più basilari per continuare ad aiutare l’Ucraina a indebolire e sconfiggere gli invasori russi sono i freddi, duri e pratici interessi americani”

“Aiutare i nostri amici nell’Europa orientale a vincere questa guerra è anche un investimento diretto nel ridurre le future capacità di Vladimir Putin di minacciare l’America, minacciare i nostri alleati e contestare i nostri interessi principali”, ha affermato McConnell.

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Come abbiamo discusso in precedenza, i manager dell’impero statunitense hanno parlato di quanto questa guerra sia utile agli interessi degli Stati Uniti sin dal suo inizio.

Nel maggio dello scorso anno il membro del Congresso Dan Crenshaw ha dichiarato su Twitter che “investire nella distruzione delle forze armate del nostro avversario, senza perdere una sola truppa americana, mi sembra una buona idea”.

“È nell’interesse della sicurezza nazionale dell’America che la Russia di Putin venga sconfitta in Ucraina”, ha twittato il perennemente eccitato dalla guerra senatore Lindsey Graham. 

Lo scorso novembre il Center for European Policy Analysis, il think tank finanziato dalla macchina da guerra imperiale, ha pubblicato un articolo intitolato It’s Costing Peanuts for the US to Defeat Russia (Sconfiggere la Russia ci sta costando noccioline), con sottotitolo “L’analisi costi-benefici del sostegno statunitense all’Ucraina è incontrovertibile. Sta producendo vittorie a quasi tutti i livelli”.

“Spendere il 5,6% del budget della difesa statunitense per distruggere quasi la metà delle capacità militari convenzionali della Russia sembra un investimento assolutamente incredibile”, ha affermato Timothy Ash, autore dell’articolo. “Se ripartissimo il bilancio della difesa statunitense in base alle minacce che deve affrontare, la Russia avrebbe forse una spesa per minaccia dell’ordine di 100-150 miliardi di dollari. Quindi, spendere solo 40 miliardi di dollari all’anno erode un valore di minaccia di 100-150 miliardi di dollari, con un rendimento di due o tre volte. In realtà, è probabile che il rendimento sia multiplo di questo valore, dato che la spesa per la difesa e la minaccia sono eventi annuali ricorrenti”.

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Ovviamente, i mass media sono tutti saliti a bordo riproponendo lo stesso messaggio. Qualche settimana fa David Ignatius del Washington Post ha scritto un articolo in cui spiegava perché gli occidentali non dovrebbero “sentirsi tristi” su come stanno andando le cose in Ucraina, dal momento che la guerra sta solo portando vantaggi agli interessi degli Stati Uniti all’estero:

“Nel frattempo, per gli Stati Uniti e i suoi alleati della NATO, questi 18 mesi di guerra sono stati una manna strategica, a un costo relativamente basso (tranne che per gli ucraini). L’antagonista più spericolato dell’Occidente è stato colpito. La NATO è diventata molto più forte con l’adesione di Svezia e Finlandia. La Germania si è liberata dalla dipendenza dall’energia russa e, in molti modi, ha riscoperto il proprio senso dei valori. I litigi all’interno della NATO fanno notizia, ma nel complesso questa è stata un’estate trionfale per l’alleanza”.

Sospetto che ricorderò periodicamente ai miei lettori quel paragrafo, incluso l’inciso di Ignatius “tranne che per gli ucraini”, per il resto della mia carriera di scrittrice.

Quindi, mentre da un lato la classe politica e mediatica occidentale ci ripete ossessivamente da mesi che l’invasione dell’Ucraina “non è stata provocata” e che gli Stati Uniti e i loro alleati non hanno svolto alcun ruolo nel facilitare questo conflitto, dall’altra tutti i manager dell’impero sono entusiasti di come questa guerra avvantaggi gli interessi degli Stati Uniti. 

Queste due narrazioni sembrano un po’ contraddittorie, non è vero?

Un pensatore critico può conciliare questa contraddizione in due modi. Il primo, può credere che il governo più potente e distruttivo del mondo sia solo un testimone passivo e innocente della violenza in Ucraina e tragga enormi vantaggi dalla guerra solo per pura coincidenza. Il secondo, può credere che gli Stati Uniti abbiano intenzionalmente provocato questa guerra con la consapevolezza che ne avrebbero tratto beneficio.

Da dove sono seduta, non è difficile decidere quale di queste due possibilità sia la più probabile.

La Moldavia potrebbe vincere la corsa Europea all’energia verde

La Moldavia, il più povero Paese Europeo potrebbe essere il primo a subire la più grande transizione e rinascita del dopoguerra. Questi investimenti privati ​​e l’assistenza estera potrebbero trasformare la Moldavia, il paese più povero d’Europa, nel primo paese veramente verde del continente.

Con una popolazione di poco più di 2,5 milioni di persone, la Moldavia è un paese spesso dimenticato e probabilmente l’ultimo posto che molti penserebbero potrebbe essere in prima linea in una rivoluzione verde, e per una buona ragione. Secondo l’ Agenzia internazionale per l’energia , è uno dei paesi meno autosufficienti dal punto di vista energetico sulla Terra. La Moldavia è totalmente dipendente dalle importazioni di energia: il 99% del petrolio e il 100% del gas naturale vengono importati. Il paese ha un’unica centrale elettrica, situata problematicamente nella regione separatista della Transnistria , sostenuta dalla Russia . Questa è la ricetta per un disastro energetico.

Anche il settore del gas della Moldavia è quasi interamente controllato da un monopolio chiamato Moldovagaz, di proprietà al 51% del colosso russo del gas Gazprom. Questo accordo ha permesso a Mosca decenni di controllo punitivo, a volte vendicativo. Ad esempio, Gazprom sostiene che Chişinău deve 800 milioni di dollari tramite Moldovagaz, anche se il presidente Maia Sandu ha annunciato il 3 settembre che un audit del governo moldavo non ha rilevato debiti legittimi. Il contenzioso che ne seguirà sarà probabilmente lungo e costoso.

Inoltre, anche se la Moldavia non sta importando direttamente alcun gas russo, il paese è bloccato con contratti sul gas profondamente svantaggiosi e legalmente impraticabili, concordati da Moldovagaz, dai quali potrebbe rivelarsi estremamente costoso liberarsi. L’ultima risale all’ottobre 2021 e impegna Chişinău ad altri cinque anni di Gazprom. E gli attori filo-russi nel governo moldavo caduto nel febbraio 2023, o forse all’interno di Moldovagaz, hanno cancellato i file di cui Chişinău aveva bisogno per rompere il contratto.

Eppure sono proprio queste circostanze profondamente sfavorevoli che potrebbero rivelarsi un vantaggio invidiabile nella transizione verde. Mentre paesi come la Germania e la Polonia devono smantellare enormi sistemi energetici dipendenti rispettivamente principalmente da gas e carbone, la Moldavia può permettersi il lusso controintuitivo di poter iniziare quasi da zero. A rischio di diminuzione: invece di provare a girare un’enorme nave cisterna in un canale stretto, deve solo pilotare un gommone.

In effetti, la Moldavia registra a malapena la domanda di energia. Il suo consumo complessivopro capite è circa la metà della media europea con 1,5 tonnellate di petrolio equivalente, 3 miliardi di metri cubi (bcm) di gas naturale e appena 2.000 KWh di energia all’anno. Sostituirla con fonti rinnovabili o altre fonti pulite è quindi un compito relativamente piccolo, reso più semplice dal fatto che la rete elettrica e le infrastrutture del gas naturale della Moldova sono già collegate ai suoi vicini. Un singolo parco solare o eolico da 300 MW, ad esempio, potrebbe da solo decarbonizzare l’energia di 300.000 case. Tutto ciò che il Paese deve fare è attirare alcuni investitori nel settore energetico e il lavoro sarà già a metà dell’opera, e molti di questi potenziali investitori stanno già esaminando progetti di ricostruzione ucraini che potrebbero facilmente incorporare la Moldavia. Per continuare la metafora della barca,

Quella proverbiale piccola barca viene anche dotata di un enorme motore sotto forma di ampi aiuti esteri. Nel 2022, più di 1 miliardo di dollari è stato promesso a Chişinău, principalmente da Stati Uniti e UE. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno donato oltre 100 milioni di dollari nel 2022, di cui 40,5 milioni di dollari erano finanziamenti legati all’energia e altri 30 milioni di dollari erano sostegno al bilancio “per aiutare a migliorare la crisi energetica”. L’assistenza ha continuato ad affluire quest’anno. A febbraio, gli Stati Uniti hanno annunciato ulteriori 300 milioni di dollari di sostegno energetico alla Moldavia. Anche le istituzioni finanziarie internazionali come la Banca Mondiale e la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo stanno aiutando la Moldavia. Insieme a potenziali investimenti privati, questa potrebbe essere una miniera d’oro per la transizione energetica.

Per fortuna, Chişinău sta esplorando la possibilità di costruire un nuovo settore energetico che faccia affidamento sulle energie rinnovabili invece che sui combustibili fossili stranieri. Alla fine del 2022, il presidente moldavo Maia Sandu, sostenuto dall’occidente, ha proposto all’UE un piano per rendere il paese carbon neutral entro il 2035. Ciò richiederebbe lo sviluppo del biometano, la costruzione di impianti di stoccaggio dell’elettricità, l’invecchiamento degli edifici esistenti, l’elettrificazione del riscaldamento con pompe di calore e pannelli solari residenziali e altre innovazioni. Anche i parchi eolici sono oggetto di studio attivo.

Per fare ciò, la Moldavia avrà bisogno di un investimento stimato di 1 miliardo di dollari all’anno. Questo è, ovviamente, ciò che sta ottenendo ora, anche se con le restrizioni e le condizionalità imposte dagli aiuti esteri. Ma con l’assistenza, le catene di approvvigionamento, le competenze e soprattutto gli investimenti privati ​​provenienti dall’Occidente, la Moldavia – inclusa la Transnistria – potrebbe essere strappata con successo alla presa della Russia mentre la causa della decarbonizzazione è avanzata.

Naturalmente, questi piani sono più facili da formulare che da attuare, e Chişinău ha intrapreso da tempo un percorso di riforme a modo suo. In Moldavia sussistono notevoli preoccupazioni in materia di corruzione. Decenni di sostegno da parte della generosità di governi stranieri hanno creato anche una sorta di cultura dell’impotenza. Il Paese ha già avuto l’opportunità di indebolire la morsa del Cremlino e di Gazprom, ma non le ha colte.

Ma il presidente Sandu e il suo nuovo governo hanno intrapreso alcuni passi concreti per iniziare a trovare una strategia per sfuggire a Gazprom. A giugno, Chişinău ha assunto come consigliere chiave l’ucraino Andriy Kobolyev, che, in qualità di capo del monopolio del gas ucraino, è riuscito a liberare l’Ucraina dalla dipendenza dal gas naturale russo, creando un progetto per la Moldavia per fare lo stesso. La sua squadra ha anche avuto la meglio su Gazprom in tribunale nel mezzo di una controversia legale riguardante i contratti del gas per un importo di 2,9 miliardi di dollari , e ha ottenuto il pagamento dell’Ucraina.     

Meno promettente è il fatto che Chişinău si è mostrata stranamente ostile agli investimenti privati ​​nel settore energetico. Ciò renderà molto difficile per il Paese modernizzarsi e attrarre il capitale più flessibile del settore privato, a fronte del sostegno ingombrante e limitato dei governi stranieri. Ciò significa anche che i venti politici mutevoli a Washington, Londra o Bruxelles potrebbero ostacolare i piani della Moldova in qualsiasi momento. Le ambizioni di transizione energetica potrebbero anche essere bloccate dai cambiamenti nella politica moldava se si basassero su relazioni politiche bilaterali invece che su contratti privati.  

Inoltre, la maggior parte delle poche aziende che hanno coraggiosamente investito nel settore energetico della Moldavia negli ultimi 20 anni sono state indebolite o cacciate. La spagnola Gas Natural Fenosa, il più grande fornitore e distributore di elettricità della Moldavia, ha subito battute d’arresto per oltre 102,6 milioni di euro (110,06 milioni di dollari) a causa di una lunga disputa con il governo sulle tariffe elettriche. Gli esperti che conoscono la situazione ritengono che si trattasse di un tentativo di prevenire eventuali profitto derivante alla società impedendole di addebitare ai clienti abbastanza da recuperare i costi, oltre a qualche forma di cattiva gestione o incompetenza o al trionfo degli interessi acquisiti del Cremlino .Gas Trading, la più grande compagnia privata di gas del paese e unico concorrente privato di Moldovagaz, è ora coinvolta in una controversia legale simile sulle tariffe del gas. Nel mese di giugno, l’autorità di regolamentazione energetica della Moldavia ha autorizzato Moldovagaz ad applicare prezzi più alti di quelli che gli investitori privati ​​possono addebitare per gli stessi servizi di fornitura di gas. Pochi, se non nessun investitore nel settore delle energie rinnovabili, probabilmente entrerà nel settore energetico della Moldavia fino a quando il clima economico non cambierà.   

Ma se Chişinău risolvesse le cause legali degli investitori privati ​​nel settore energetico, creasse una struttura normativa attraente per governare i progetti di energia rinnovabile e si liberasse da Gazprom, allora la conseguente ondata di investimenti, la buona volontà e l’assistenza estera da parte dei governi occidentali dovrebbero essere più che sufficienti per aiutare il paese. trasformazione del paese. Per diventare ancora più attraente per il capitale privato, la Moldavia potrebbe offrire incentivi ai futuri investitori nei biocarburanti, nell’energia eolica, nel solare e altro ancora. Anche i governi occidentali e le banche internazionali dovrebbero essere disposti a offrire garanzie che addolcirebbero l’accordo.

Questo momento è un’opportunità senza precedenti per la più piccola vittima di secoli di persecuzione e dominio energetico della Russia. Chişinău ha la visione di un futuro pulito, verde e a zero emissioni di carbonio, e ha i soldi e le prospettive con cui finanziare la transizione. Diventare il primo paese verde d’Europa non farebbe altro che accelerare il tentativo della Moldavia di aderire all’UE. E quale modo migliore per mettere un pollice negli occhi a Vladimir Putin se non diventare autosufficiente dal punto di vista energetico ed evitare i combustibili fossili che contribuiscono ad alimentare le casse del Cremlino? Chişinău potrebbe aprire la strada.

FONTE


Il sistema di istruzione e di formazione in Italia

Il sistema educativo di istruzione e di formazione italiano è organizzato in base ai principi della sussidiarietà e dell’autonomia delle istituzioni scolastiche.

Lo Stato ha competenza legislativa esclusiva per le “norme generali sull’istruzione” e per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Lo Stato, inoltre, definisce i principi fondamentali che le Regioni devono rispettare nell’esercizio delle loro specifiche competenze.

Le Regioni hanno potestà legislativa concorrente in materia di istruzione ed esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale.

Le istituzioni scolastiche statali hanno autonomia didattica, organizzativa e di ricerca, sperimentazione e sviluppo.

Il sistema educativo è organizzato come segue:

  • sistema integrato zero-sei anni, non obbligatorio, della durata complessiva di 6 anni, articolato in
    – servizi educativi per l’infanzia¸ gestiti dagli Enti locali, direttamente o attraverso la stipula di convenzioni, da altri enti pubblici o dai privati, che accolgono i bambini tra i tre e i trentasei mesi;
    – scuola dell’infanzia, che può essere gestita dallo Stato, dagli Enti locali, direttamente o attraverso la stipula di convenzioni, da altri enti pubblici o dai privati, che accoglie i bambini tra i tre e i sei anni;
  • primo ciclo di istruzione, obbligatorio, della durata complessiva di 8 anni, articolato in

    – scuola primaria¸ di durata quinquennale, per le alunne e gli alunni da 6 a 11 anni;

    scuola secondaria di primo grado, di durata triennale, per le alunne e gli alunni da 11 a 14 anni;
  • secondo ciclo di istruzione articolato in  due tipologie di percorsi:
    – scuola secondaria di secondo gradodi durata quinquennale, per le studentesse e gli studenti che hanno concluso positivamente il primo ciclo di istruzione. Le scuole organizzano percorsi di liceo, di istituti tecnici e di istituti professionali per le studentesse e gli studenti da 14 a 19 anni;
    – percorsi triennali e quadriennali di istruzione e formazione professionale(IeFP) di competenza regionale, rivolti sempre alle studentesse e agli studenti che hanno concluso positivamente il primo ciclo di istruzione.
  • istruzione superiore offerta dalle Università, dalle istituzioni dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM) e dagli istituti tecnici Superiori (ITS) con diverse tipologie di percorsi:

    – percorsi di istruzione terziaria offerti dalle Università
    – percorsi di istruzione terziaria offerti dalle istituzioni dell’AFAM (Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica)
    – percorsi di formazione terziaria professionalizzante offerti dagli ITS (Istituti Tecnici Superiori)

     L’istruzione obbligatoria
  • L’istruzione obbligatoria ha la durata di 10 anni, da 6 a 16 anni di età, e comprende gli otto anni del primo ciclo di istruzione e i primi due anni del secondo ciclo (Legge 296 del 2006), che possono essere frequentati nella scuola secondaria di secondo grado – statale – o nei percorsi di istruzione e formazione professionale regionale.Inoltre, per tutti i giovani si applica  il diritto/dovere di istruzione e formazione per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica professionale triennale entro il 18° anno di età in base a quanto previsto dalla legge n.53/2003.L’istruzione obbligatoria può essere realizzata nelle scuole statali e nelle scuole paritarie (legge 62 del 2000), che costituiscono il sistema pubblico di istruzione, ma può essere assolta anche nelle scuole non paritarie (legge 27 del 2006) o attraverso l’istruzione familiare. In questi ultimi due casi, però, l’assolvimento dell’obbligo di istruzione deve sottostare ad una serie di condizioni, quali l’effettuazione di esami di idoneità.I genitori delle alunne e degli alunni, o chi esercita la responsabilità genitoriale, sono responsabili dell’adempimento dell’obbligo di istruzione dei minori, mentre alla vigilanza sull’adempimento dell’obbligo provvedono i Comuni di residenza e i dirigenti scolastici delle scuole in cui sono iscritti le alunne e gli alunni.A conclusione del periodo di istruzione obbligatoria, solitamente previsto al termine del secondo anno di scuola secondaria di secondo grado, in caso lo studente non prosegua gli studi  viene rilasciata una certificazione delle competenze acquisite (Decreto ministeriale 139 del 2007).Dopo il superamento dell’esame di Stato conclusivo dell’istruzione secondaria di secondo grado, lo studente può accedere ai corsi di istruzione terziaria (università, Afam e ITS). Alcuni corsi universitari sono a numero chiuso e gli studenti devono superare un test di accesso. 
  • Istruzione non statale
  • L’articolo 33 della Costituzione italiana stabilisce due principi fondamentali: l’obbligo, per lo Stato, di offrire un sistema scolastico statale a tutti i giovani e il diritto, per le persone fisiche e giuridiche, di creare scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato.
  • Le scuole paritarie sono abilitate a rilasciare titoli di studio aventi lo stesso valore legale di quelli delle corrispondenti scuole statali; hanno piena libertà per quanto concerne l’orientamento culturale e l’indirizzo pedagogico-didattico e usufruiscono di un più favorevole trattamento fiscale se non hanno fini di lucro.

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Il Pakistan è diventato un “non – player”?

Filippo Sardella-Presidente at Istituto Analisi Relazioni Internazionali – Analista geopolitico

 Pakistan nei primi anni del 2000 era sulla bocca di tutti gli strateghi occidentali, considerata nazione geopoliticamente importante per gli equilibri della regione, vista la crucialità dell’Afghanistan nell’agenda USA degli anni ’10 del nuovo millennio, con il passare degli anni ha visto perdere la propria importanza. Perchè il Pakistan sta rischiando di andare dietro le quinte della storia?

La nazione è indubbiamente importante, la già citata posizione geostrategica, la numerosa popolazione – la quinta più grande del mondo – una potenza dotata di armi nucleari semi-industriale

Ci sono quattro ragioni che potremmo evidenziare come causa del declino geopolitico: 

  1. l’importanza di altri settori geopoliticamente rilevanti nel globo;
  2. l’indifferenza della Cina;
  3. l’instabilità interna in Pakistan;
  4. l’ascesa dell’India.

L’importanza di altri settori geopoliticamente rilevanti nel globo

Gran parte dell’utilità del Pakistan un decennio fa derivava dalla sua posizione tra India, Cina, Iran e Afghanistan. Mentre gli Stati Uniti erano impegnati in Afghanistan, il Pakistan era un partner vitale in quanto forniva accesso all’Afghanistan, nazione priva di sbocco sul mare. Con il ritiro degli Stati Uniti, il ruolo del Pakistan nel fungere da “porta di ingresso” per gli Stati Uniti in Afghanistan è terminato. L’Afghanistan è ora principalmente un problema del Pakistan e sua della permeabile frontiera.

I paesi arabi del Medio Oriente possono commerciare con l’Occidente, l’India e la Cina, soprattutto per vie marittime, danneggiando ulteriormente l’utilità geografica del Pakistan. Dati i mercati relativamente piccoli degli stati dell’Asia centrale, l’instabilità in Afghanistan e i problemi nello sviluppo del porto di Gwadar sulla costa dell’Oceano Indiano del Pakistan, il Pakistan può ottenere poco dalla sua posizione di collegamento via terra tra l’Asia centrale e l’Oceano Indiano. Inoltre, il confine tra Pakistan e Iran, che comprende la regione del Belucistan costretta dall’insurrezione, non è certo un centro di connettività e stabilità.

L’indifferenza della Cina

Mentre Cina e Pakistan mantengono una stretta relazione, entrambe le parti hanno riconosciuto i limiti di ciò che ciascuno può fare l’uno per l’altro. Il Pakistan ha continuato a coltivare legami con altre potenze, tra cui gli Stati Uniti, la Russia e i paesi del Medio Oriente. Ciò è in parte dovuto al fatto che il Paese ha cercato di diversificare i suoi partenariati economici alla luce di una crisi economica che è durata oltre un anno, esacerbata dall’instabilità politica e dai prestiti provenienti da Pechino.

La cultura politica e militare del Pakistan è fortemente influenzata dall’Occidente, e non dalla Cina, il che limita la misura in cui le sue élite possono connettersi con la Cina. Nel frattempo, le preoccupazioni geopolitiche della Cina rimangono orientate verso il suo est, verso Taiwan, il Giappone, il Mar Cinese Meridionale e la presenza navale degli Stati Uniti nella regione, non verso la sua remota frontiera occidentale.

Inoltre Pechino sta investendo circa 62 miliardi di dollari nel Corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC) come parte della sua Belt and Road Initiative; il CPEC sarebbe dovuto essere un punto di svolta per il Pakistan, molti dei suoi progetti si sono bloccati a causa dell’instabilità economica in Pakistan, del rallentamento economico della Cina e della violenza cronica in alcune parti del Pakistan. Ci vorranno decenni perché il progetto porti rendimenti utili per la Cina, e anche allora, le relazioni economiche e strategiche della Cina con altri paesi saranno probabilmente più importanti delle sue relazioni con il Pakistan. 

Anche se la Cina ha voluto migliorare le proprie relazioni internazionali con il Pakistan per creare un doppio contesto anti – indiano, la Cina potrebbe alla fine scegliere di lavorare a più a stretto contatto con l’India, nonostante la continua rivalità, affinché si venga a creare un clima più stabile in tutta l’Asia meridionale e perseguire gli obiettivi comuni – anti occidentali principalmente – attraverso forum globali.

Instabilità interna al Pakistan

È vero che la popolazione e l’economia non sono tutto affinché un Paesi abbia un certo Paesi nell’arena internazionale, tuttavia, una condizione irrinunciabile è che ci sia almeno un stabilità politica ed economica interna, cosa che il Pakistan, attualmente, non ha. Non c’è niente di così utile come un governo che promuove i propri interessi sulla scena globale. Ad esempio, il governo di Narendra Modi in India parla costantemente dell’India, esorta le aziende a investire in India e parla del ruolo dell’India nel mondo.

Dalla sfiducia di Imran Khan con il voto nell’aprile 2022, il Pakistan ha sperimentato l’instabilità politica, aggravando la sua crisi economica. Khan e i suoi sostenitori hanno organizzato proteste, che a volte, si sono trasformate anche in violenza. Mentre i disordini si sono ridotti sostanzialmente con l’arresto di Khan e un governo ad interim in carica fino alle elezioni, l’incertezza su quando si terranno le elezioni e il ruolo dei militari nell’attuale configurazione persiste.

La sua situazione politica opaca presenta difficoltà per i paesi stranieri nel decidere con quali attori all’interno del Pakistan impegnarsi e in che misura si dovrebbe fare. Mentre varie fazioni civili e partiti politici continuano a competere l’uno contro l’altro e contro i militari, mentre la crisi economica continua, il Pakistan rimane instabile. 

Un tale paese, con questo livello di instabilità cronica, difficilmente può attuare le politiche economiche necessarie, dare priorità alla crescita, fungere da partner stabile per altri paesi o promuovere i propri interessi a livello internazionale. 

L’ascesa dell’India

Negli ultimi anni, non c’è dubbio che l’India sia arrivata sulla scena mondiale in grande stile. L’India è una potenza leader mondiale con un’influenza nei principali forum internazionali come il G-20 e i BRICS recentemente ampliati, e in paesi che vanno dalla Greciaalla Franciaall’Arabia Saudita e agli Stati Uniti. Oggi, l’India è il più delle volte tra parentesi con la Cina, non con il Pakistan.

Sfortunatamente per il Pakistan, c’è poco che possa fare per eguagliare Nuova Delhi, economicamente o militarmente. In un mondo che si concentra prevalentemente sulla crescita economica, sullo sviluppo e sulla politica di grande potenza vecchio stile – accordi diplomartici multilaterali – l’India ha un netto vantaggio sul Pakistan.

Alla luce dei quattro fattori analizzati, il Pakistan è diventato piuttosto rapidamente geopoliticamente irrilevante. solamente un governo o/e un sistema politico competenti e stabili, per invertire questo processo.