Alzheimer: un video e un libro indimenticabili

Il mio papà parla solo con il cane….

Il padre di Lisa Abeyta ha l’Alzheimer, allo stadio avanzato. Non riconosce più nessuno, e ha perso anche gran parte della capacità di formulare frasi di senso compiuto. Ma quando è con il suo cane Roscoe, succede un piccolo miracolo, che la donna ha voluto immortalare in un video. Con l’animale, il papà di Lisa sembra riuscire a parlare, a esprimersi. “Se i vostri cari parlano ancora con voi, ascoltateli perché non potete sapere quando sarà l’ultima volta” è il messaggio di Lisa. Il video postato su YouTube ha raggiunto in soli tre giorni quasi tre milioni di visualizzazioni. (RCD – Corriere Tv)
Qui il video:

https://video.repubblica.it/mondo/l-uomo-malato-di-alzheimer-che-parla-solo-con-il-suo-cane/163871/162362


PAPA’ E’ STATO BELLO VOLERTI TANTO BENE

Il mio papà, se ne è andato il 23 luglio 2007 e io sento tanto la sua mancanza. La sua malattia mi ha profondamente cambiato e ha cambiato la mia vita per sempre. Saper trovare del buono anche nelle cose più tristi che ci accadono è un dono che solo le persone che hanno fede posseggono e io credo di aver scoperto quel dono.
Il morbo di Alzheimer ha portato con se tanto dolore, un dolore così forte da spezzarmi il cuore. Parte di questo dolore era legato al fatto di aver perso il mio papà, o meglio di aver perduto la persona forte e determinata che ero abituata a conoscere e che mi dava sicurezza. E’ vero, quella persona non esisteva più e il suo ricordo era struggente.
In realtà però mio padre c’era, era ancora accanto a me, era soltanto cambiato. Ora era lui ad essere fragile e bisognoso di aiuto.
Quando finalmente sono riuscita a comprendere questo mi sono rapportata con lui in modo completamente differente, prima ero solo sua figlia, poi sono diventata sua figlia e sua madre allo stesso tempo. Non mi aspettavo nulla da lui, se non un sorriso, non potevo discutere con lui e raccontargli della mia vita e di quella della mia famiglia, ma potevo spiegargli con dolcezza quello che lui stentava a capire, potevo porgergli l’acqua o accarezzargli dolcemente il capo.
Insomma il nostro rapporto era cambiato, ma non si era interrotto. Ho capito che mi è stato concesso di poter ricambiare quanto mio padre aveva fatto per me, per i miei figli, per mio marito con tanta tenerezza e con tanto affetto quotidiano.
Io e lui avevamo imparato a comunicare senza parole, quando mi vedeva i suoi occhi sorridevano e bastava un suo sguardo perché io capissi se era contento, se stava bene.
E’ stato tanto difficile accettare di non ritrovarlo più come un tempo, ma alla fine la persona che avevo davanti era così dolce, tenera, preziosa e pura che ringrazio il Signore per avermi dato, in tanto dolore, anche la gioia di vivergli accanto.© Manuela Valletti

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Papà mi portava in bicicletta

un libro che raccont quattro anni accanto ad un papà che non ricorda, il mio papà. Questo libro ha fatto il giro del mondo.

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Alzheimer: la ricerca a che punto è

Una diagnosi che cambia la vita, quella dell’Alzheimer, una malattia che porta a perdere sé stessi, il ricordo del proprio passato e una lucida presenza per vivere il presente. Oggi ricorre la XXIX Giornata Mondiale dell’Alzheimer: sono numerosissimi gli eventi, le mostre e i convegni previsti per l’occasione. Un momento importante per fare il punto su ricerca, cure, progettualità e passi avanti compiuti nell’ultimo anno per affrontare la sfida di questa malattia, definita anche dall’OMS “una priorità di sanità pubblica”.

Dal 2022, a tale urgenza è stata data anche una prima risposta economica, con uno stanziamento di fondi alle regioni per il Piano Nazionale Demenze di 15 milioni di Euro, cifra ritenuta tuttavia insufficiente dalla Federazione italiana Alzheimer per una malattia i cui costi globali vanno da 1,3 trilioni di dollari nel 2019, alle previsioni di 2,8 entro il 2030 (fonte: OMS).

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Ricerca e cure: si guarisce dall’Alzheimer?

Dopo il Giappone, l’Italia è uno dei paesi più “vecchi” del mondo con 148,6 anziani ogni 100 giovani (fonte: Istat 2020). Circa 1 milione di persone over 65 sono affette da demenza, oltre 630 mila da malattia di Alzheimer e oltre 928 mila da Declino Cognitivo Lieve (fonte: Biogen Deloitte): le previsioni di aumento della popolazione anziana lasciano intravedere numeri sempre crescenti.

Ad oggi l’Alzheimer può essere gestito e in tal senso c’è molto da poter fare, soprattutto fornendo ai caregiver tutti gli strumenti per comprendere la malattia e capire come agire. Tuttavia, dalla demenza purtroppo ancora non si guarisce. Come riportato nell’ultimo numero del Notiziario della Federazione Alzheimer Italia del 2022 “non esistono a oggi terapie risolutive, ma solo sintomatiche. Le terapie testate finora (e anche approvate, come nel caso del discusso Aducanumab, bocciato in Europa), infatti, mirano a eliminare una delle possibili cause associate alla malattia, l’accumulo della beta amiloide, quando i danni associati possono essere già avvenuti e irreparabili”.

Il dibattuto caso del farmaco Aducanumab

È di recente uscita lo studio scientifico pubblicato da Dove Medical Press su sfide e opportunità nell’uso di Aducanumab per il trattamento dell’Alzheimer, che sottolinea la non concordanza tra i pareri espressi nel 2021 dai due maggiori enti regolatori internazionali: FDA negli Stati Uniti che ha approvato l’uso del farmaco ed EMA in Europa che ha dato parere negativo, seguito poco dopo anche dall’agenzia giapponese.

Nello specifico l’EMA non ha approvato Aducanumab anche per la sua ridotta efficacia. “L’approvazione è avvenuta sulla base di risultati ‘surrogati’ e la modalità accelerata della stessa vincola ad uno studio post-approvazione per confermare i benefici clinici – dichiara Mauro Colombo, Ricercatore in gerontologia clinica, ASP Golgi-Redaelli – Gli esperti dell’EMA invece hanno ritenuto che questo farmaco non mostrasse un chiaro segnale di efficacia né un profilo di sicurezza soddisfacente per il trattamento di pazienti in fase iniziale“.

Nuove terapie e il ruolo dell’intelligenza artificiale

Sono numerosi gli studi portati avanti in Italia e nel mondo: alcuni ricercatori presso il CNR stanno indagando i meccanismi che guidano la neurodegenerazione nell’Alzheimer e aprendo spiragli verso terapie per rallentare la progressione della malattia.

Anche l’intelligenza artificiale si sta rivelando una valida strada per sviluppare nuove strategie di diagnosi e cura per prevenire Alzheimer e altre forme di demenza senile: come riporta il Notiziario della Federazione Alzheimer Italia, ricercatori inglesi “hanno sviluppato un algoritmo basato sull’intelligenza artificiale capace di analizzare dettagliatamente le immagini di una risonanza magnetica facendo un’analisi approfondita del cervello. Questo studio, realizzato su un iniziale gruppo di 400 malati di Alzheimer lieve o grave, soggetti di controllo e pazienti con altre malattie neurologiche e demenze, ha diagnosticato la malattia nel 98% dei casi”. Un prezioso passo in avanti per una diagnosi chiara, importante per affrontare questa complessa malattia, che necessita innanzitutto di comprensione e vicinanza umana.

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Giulia Angelon

Giulia Angelon

Mi piace esplorare l’esistenza, osservandone i misteri e sperimentando la forza creatrice che genera l’atto di comunicare quando nasce dall’ascolto e dal dialogo. Per BuoneNotizie.it scrivo di benessere e innovazione in chiave culturale, imparando l’arte di esserci nelle cose con intensa leggerezza.

Fonte

Alzheimer: gli stadi della malattia

Classicamente, vengono descritti tre stadi di sviluppo della malattia in base alla gravità dei sintomi e alla presenza di complicanze.

Lo stadio iniziale è caratterizzato principalmente dalla presenza del deficit di memoria anterograda, la funzione cognitiva più precocemente compromessa, con difficoltà nell’apprendimento e nella rievocazione degli eventi più recenti.

Il disorientamento temporale e topografico, se presente, è occasionale e si manifesta soprattutto come difficoltà a seguire percorsi abituali. I disturbi del linguaggio e delle funzioni attentivo-esecutive sono assenti o embrionali. La sintomatologia psico-comportamentale è rappresentata soprattutto da una deflessione del tono dell’umore associata ad ansia e spesso reattiva alle difficoltà secondarie alla patologia. Può esserci un’iniziale riduzione dell’interazione sociale, che spesso viene attribuita all’invecchiamento più che alla malattia sottostante.

Nella fase intermedia, si assiste ad un aggravamento della sintomatologia, che inizia ad avere un impatto importante sulla vita quotidiana del paziente. Il deficit mnesico si estende ad interessare anche episodi non recenti, conoscenze e nozioni precedentemente apprese e talvolta eventi autobiografici. Il disorientamento spazio-temporale diviene più costante e i pazienti escono di casa solo se accompagnati. L’espressione e la comprensione di pensieri complessi diventa difficoltosa e i pazienti appaiono da un lato più apatici e ritirati, dall’altro più aggressivi e irritabili. Possono comparire difficoltà nell’utilizzo di oggetti di uso comune o nel vestire (aprassia) e nel riconoscimento di volti anche familiari (prosopoagnosia).

Nella fase terminale, i pazienti sono costretti a letto e necessitano di assistenza continua. Si assiste ad un’ulteriore accentuazione dei sintomi già presenti nelle fasi precedenti a cui si associano una grave compromissione motoria, che interessa anche il distretto cranico causando disfagia e difficoltà nell’alimentazione, e la comparsa di crisi epilettiche. L’insorgenza di complicanze, soprattutto di natura polmonare, porta infine i pazienti al decesso.

Alzheimer decorso: lo stadio preclinico e quello prodromico della malattia.

In aggiunta a questi tre stadi principali, vengono identificati, soprattutto in ambito di ricerca clinica, uno stadio preclinico e uno prodromico di malattia di Alzheimer. Lo stadio preclinico è definito dalla evidenza agli esami strumentali di mutazioni patogenetiche o di una neuropatologia compatibile con la malattia di Alzheimer in assenza di sintomi o segni di malattia. Lo stadio prodromico, invece, si caratterizza per la presenza di un iniziale disturbo di memoria, ma non ancora tale da avere un impatto significativo sulla vita del paziente.

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