ITALIA: ARRIVA IL FENTANYL

Droga: scatta l'allarme Fentanyl in Italia. Nota della Salute alle ...

Il Fentanyl è un oppioide sintetico, decine di volte più potente dell’eroina. Sta devastando le classi povere degli Stati Uniti, con conseguenze che tutti abbiamo imparato a conoscere, vedendo i video delle varie città americane. Non a caso la chiamano “la droga degli zombie”:

Ora il Fentanyl sta arrivando anche in Italia.

Tracce di Fentanyl sono state trovate nell’eroina che viene venduta in strada a Perugia. Si presume che i narcotrafficanti – ma soprattutto la mafia – stiano iniziando a testare questa droga sul nostro mercato, prima di invaderlo con quantità industriali.

Naturalmente sappiamo benissimo che, negli Stati Uniti, la diffusione di questo tipo di droghe è assolutamente tollerata – se non addirittura alimentata – dallo stesso governo. Il Fentanyl infatti sta svolgendo un ruolo “sociale” molto simile a quello che svolse l’LSD negli anni ’70: devastare le popolazioni più povere – neri e ispanici soprattutto – rendendole assolutamente innocue dal punto di vista sociale. Un nero o un ispanico strafatti di acido ben difficilmente troveranno la capacità di ragionare e di protestare per la loro condizione sociale.

Purtroppo la stessa cosa sta succedendo con il Fentanyl: in un momento di massima crisi economica, nella quale le classi più povere sono ridotte letteralmente alla fame, ecco comparire una droga miracolosa che rende assolutamente innocua questa potenziale bomba sociale. Succederà la stessa cosa anche da noi?

Massimo Mazzucco

Non c’è pace in Medio Oriente

Analisi della situazione generale del ricercatore Giacomo Gabellini

di Francesco Servadio

I tragici eventi dei giorni scorsi potrebbero rivelarsi soltanto il macabro precedente di ciò che potrà accadere nel prossimo futuro, qualora il conflitto dovesse espandersi al di fuori di Israele. Il rischio escalation è sempre presente, sebbene gli Stati Uniti desiderino porre un freno. Inoltre va ancora definita la situazione in Ucraina, uscita dai radiar mediatici dopo l’attacco di Hamas. Ne abbiamo parlato con il ricercatore indipendente Giacomo Gabellini, scrittore, saggista ed esperto di tematiche storiche, economiche e geopolitiche.

Qualcuno non si capacita del fatto che Israele sia stato colto di sorpresa. È rimasto sorpreso anche Lei?

“Solo in parte, perché era evidente che sarebbe accaduto qualcosa. Tuttavia mi sarei aspettato un attacco di Israele nei confronti del Libano, dove gli Israeliani avevano dispiegato le loro forze. Ciò spiegherebbe un’intensa comunicazione tra Hamas ed Hezbollah: la loro collaborazione ha fatto sì che l’esercito israeliano lasciasse sguarnita la barriera di Gaza, territorio di circa 70 chilometri tra i più sorvegliati al mondo, attraverso sistemi sofisticatissimi. Il fallimento della rinomata intelligence israeliana è quanto meno sospetto: è veramente anomalo che si sia lasciata sorprendere, nonostante i continui avvertimenti dell’intelligence egiziana”.

Nessuna persona ragionevole e dotata di umana sensibilità può anche solo minimamente giustificare le atrocità commesse da Hamas. Come si è arrivati, però, a questo orrore e alla reazione -a quel punto inevitabile e altrettanto violenta- da parte di Israele?

“Nessuno -come ha già detto Lei- può giustificare le atrocità di Hamas. Siamo però arrivati a questo orrore a seguito dell’emarginazione della causa palestinese, emarginazione che dura da almeno un decennio. Tutti i conflitti mediorientali avevano posto la causa al centro; poi, l’inettitudine della OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e la contestuale incapacità di Israele di favorire la soluzione del problema hanno contribuito ad inasprire ulteriormente i loro rapporti. Secondo alcuni osservatori, come il noto professore Avner Cohen, Hamas sarebbe una ‘creazione’ di Israele, in quanto quest’ultimo non sarebbe stato in grado né di contenere gli estremisti, né di distruggere il mostro che nel frattempo stava proliferando. Hamas ha svolto un ruolo cruciale nel sabotare gli accordi di Oslo con Rabin e Arafat. Lo stragismo operato da Hamas, l’inasprimento del controllo da parte di Israele e le responsabilità dell’attuale governo israeliano hanno condotto a questa situazione. Non dimentichiamoci che il Ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben Gvir -leader del partito israeliano di estrema destra ‘Otzma Yehudit’- e il Ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich -leader del partito nazionalista ‘Sionismo religioso’- sono esponenti del sionismo più intransigente, che si prefigge di colonizzare i territori palestinesi. Secondo il Rapporto Speciale 2020 delle Nazioni Unite, Israele non solo non avrebbe mostrato alcuna collaborazione, ma avrebbe inasprito il controllo nei confronti dei Palestinesi. E così siamo arrivati ai fatti del 7 ottobre scorso”.

Com’è nato Hamas? Lo si può distinguere dal popolo palestinese in generale?

“Certo, Hamas va distinto dalla popolazione palestinese. Hamas nasce come costola del movimento politico-religioso ‘Fratellanza musulmana’ -fondato in Egitto da Ḥasan al-Bannā’ negli Anni 20- e si è poi diffuso nel mondo musulmano e in Medio Oriente. Lo sceicco Aḥmad Labous Yāsīn, punto di riferimento di Hamas, ottenne il controllo della striscia di Gaza, mentre al-Fatḥ l’ottenne in Cisgiordania. Considero molto grave e pericolosa la dichiarazione del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, riguardo al fatto che nessun Palestinese si possa considerare innocente. La reazione di Israele all’attacco di Hamas -per quanto feroce, deprecabile e per questo da condannare con forza- è a dir poco sproporzionata. Gaza è stata ridotta a un cumulo di macerie: stiamo assistendo a una carneficina di poveri civili”.

Quando scoppiano grandi conflitti è impossibile escludere una partecipazione attiva o comunque un coinvolgimento di USA e NATO…

“L’intero Occidente si è schierato -com’era prevedibile- dalla parte di Israele. Gli USA hanno già inviato due portaerei: tuttavia, per gli States, un loro coinvolgimento sarebbe molto rischioso, in quanto si inimicherebbero la maggior parte del mondo musulmano. Il presidente Biden ha affermato che l’invasione della striscia di Gaza da parte di Israele sarebbe un grave errore. Le sue parole sono significative: per gli USA, fra l’altro, Israele non è una questione di politica estera, ma interna. Qualunque presidente americano desideroso di far carriera non può assumere un atteggiamento critico nei confronti della politica israeliana: gli Stati Uniti temono questo e, naturalmente, l’allargamento del conflitto”.

Qual è il ruolo dell’Iran?

“L’Iran è il nemico giurato di Israele e, nonostante un’antica frattura -poi ricomposta- con Hamas, ha sempre sostenuto i movimenti palestinesi. C’è però un altro aspetto, temutissimo anche dagli USA: l’Iran occupa una posizione importantissima nel mercato petrolifero mondiale. Il 40% circa del petrolio mondiale passa attraverso lo Stretto di Hormuz: quale impatto avrebbe sull’inflazione statunitense -che sta risalendo- un eventuale coinvolgimento dell’Iran?”.

Parliamo di due tematiche molto delicate: dell’antisemitismo (e dell’antisionismo) e del perché pochi Paesi membri della Lega Araba riconoscono lo Stato di Israele…

“L’antisemitismo rappresenta il pretesto per tacitare qualsiasi critica nei confronti di Israele: è così che si costruisce il consenso, anche a livello mediatico. Ricordiamoci che, all’interno di Israele, è presente una grande critica al governo, molto più forte -per esempio- di quella nei confronti dei nostri governanti. Il quotidiano israeliano Haaretz critica aspramente la politica di Netanyahu. Per quanto riguarda, invece, i Paesi arabi, a seguito delle guerre arabo-israeliane il riconoscimento dello Stato di Israele significherebbe rischiare una grave sfiducia a livello interno. Gli Accordi di Abramo, partoriti dall’amministrazione Trump, non ebbero esito positivo: vennero rifiutati dai Palestinesi, che considerarono troppo oltranzista il governo israeliano”.

Quasi quattro anni di emergenza continua: Covid, crisi economica, guerre in Ucraina e in Israele. Cosa sta accadendo a livello geopolitico?

“Si sono disarticolate tutte le catene di approvvigionamento: prima con il Covid, poi con il conflitto tra Russia e Ucraina. Infine, vi è stato un disaccoppiamento dell’economica statunitense da quella cinese. Stanno scoppiando crisi in area balcanica e tra Armenia e Azerbaigian. Qualcosa si muove pure in Georgia e la situazione in Medio Oriente rischia di infiammarsi. Stiamo attraversando una grave crisi, dall’area balcanica fino al Medio Oriente: rischiamo un terribile ‘incendio’ nell’Eurasia”.

Zelensky non è più sotto i riflettori, perché l’attenzione mediatica si è spostata su Israele. A proposito: com’è finita tra Ucraina e Russia?

“È finita nell’unico modo che si potesse prevedere: la Russia non avrebbe mai perso questa guerra. Gli Occidentali hanno commesso un enorme errore di valutazione, ritenendo di fermare la Russia attraverso le sanzioni, cosa che non si è verificata. John Kirby ha dichiarato apertamente che la coperta inizia ad essere corta, perché non si potrà aiutare l’Ucraina all’infinito: non è possibile sostenere contemporaneamente, a livello industriale, le cause di Ucraina, Israele e Taiwan. Zelensky se ne è accorto ed è corso a Bruxelles, invocando aiuto”.

Dalla ‘guerra al virus’ alla ‘guerra con le bombe’ il passo si è rivelato breve. L’Italiano medio è stato ormai addestrato all’emergenza (ne dà testimonianza anche il messaggio IT Alert) e ad un controllo militarizzato del Paese. Ci si devono attendere ripercussioni del conflitto mediorientale anche in Italia? C’è rischio di attentati?

“In Europa sono presenti circa 20/25 milioni di musulmani, molti dei quali rivendicano il diritto di sentirsi a casa loro, perciò è plausibile che qualche scintilla infiammi le polveri. L’Italia conta poco, quindi credo possa rischiare una ricaduta prevalentemente di carattere economico. C’è da aspettarsi un ulteriore aumento del prezzo dell’energia: non disponendo più delle risorse del canale russo potrebbe trattarsi di un k.o. fatale per l’Unione Europea. La Germania sta vedendo cadere il proprio potere industriale e l’Italia le andrà dietro”.

Si ventila un attacco via terra da parte di Israele, per chiudere la partita. A quale soluzione bisognerebbe giungere in Medio Oriente per ottenere finalmente la pace?

“Bisogna vedere fino a che punto vorrà spingersi il governo israeliano sul piano politico. Nel 2006 Israele provò a infliggere una punizione al Libano ma venne sconfitto: non so se il popolo israeliano sia disposto -a differenza di quello palestinese, che è pronto a tutto- ad accettare un altissimo tributo di sangue. Non vanno sottovalutati né il coinvolgimento dei Paesi Arabi, né dell’Iran. Per gli USA, infine, le incognite sono numerosissime, anche in vista delle prossime elezioni. Cina e Russia hanno posto l’accento sulla necessità di dare vita a uno Stato palestinese, attenendosi alle deliberazioni delle Nazioni Unite. Le variabili sono parecchie e il futuro pare incerto”.

Giacomo Gabellini (1985), saggista e ricercatore indipendente specializzato in questioni economiche e geopolitiche. È autore di numerosi volumi, tra cui Ucraina. Una guerra per procura (2016), Israele. Geopolitica di una piccola, grande potenza (2017) e Weltpolitik. …

Quella tradizione filo-araba dell’Italia uccisa dal golpe di Mani Pulite

di Cesare Sacchetti

C’era una volta la Prima Repubblica e chi segue questo blog sa che non siamo esattamente dei grandi appassionati del sistema liberal-democratico uscito dal biennio 1946-48.

La classe politica della Prima Repubblica infatti non era altro che una creatura politica della cosiddetta Repubblica dell’anglosfera nata sotto una tenda militare nel 3 settembre del 1943 quando fu firmato il famigerato armistizio di Cassibile.

Da allora, l’Italia ha smesso di avere una sua autonoma politica estera. Ha smesso di essere un Paese che prendeva autonomamente le sue decisioni ed era padrone del suo destino.

I padroni del destino dell’Italia si sono trasferiti da Roma a Washington e Londra, ovvero in quelle sedi dove si custodiscono le leve del potere del mondo dell’anglosfera.

Quando la Repubblica nacque lo fece sul tradimento di Cassibile e su un’altra grande frode che avvenne il 2 giugno del 1946 quando il popolo italiano venne chiamato a scegliere se restare una monarchia oppure divenire una repubblica.

Gli italiani avevano scelto ma non ciò che è uscito dal risultato “ufficiale”. Centinaia di migliaia di schede elettorali che esprimevano la preferenza per la repubblica furono stampate dal nulla e sono state ammucchiate nei sotterranei del palazzo del Viminale.

Ancora oggi è utile leggere la testimonianza del brigadiere Tommaso Beltotto per comprendere come la Repubblica anglo-americana sia sorta su una massiccia frode elettorale.

Questo volevano a Washington, questo volevano a Londra, e così nacque la Repubblica che si diede una costituzione nel 1948 in un’assemblea costituente presieduta da diversi iscritti alle logge massoniche.

L’attuale sistema costituzionale ha creato delle disfunzionalità così evidenti volute esplicitamente per consentire ai vari poteri paralleli che governano lo Stato di essere loro stessi lo Stato.

Ciò che voleva la massoneria era appunto disegnare un’architettura tale che consentisse a questi poteri paralleli di essere il dominus assoluto delle istituzioni e oggi ci guardiamo intorno e vediamo esattamente quello che tali massoni volevano per l’Italia.

La sovranità nazionale è stata trasferita nelle mani di centri sovranazionali e i rappresentanti locali di questi interessi sono praticamente tutti iscritti alle varie logge massoniche e ad altri centri paramassonici, quali il Rotary e i Lions.

Il popolo che sulla carta dovrebbe avere in mano la sovranità è del tutto tagliato fuori e negli ultimi anni la distanza tra gli apparati istituzionali e il resto del Paese si è fatta così profonda da portare inevitabilmente ad una crisi della stessa liberal-democrazia costituzionale.

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Una crisi che a nostro giudizio sfocerà prima o poi di questo passo in una conseguente fine di questo ormai insostenibile status quo che tra l’altro ha perduto anche il perno atlantico sul quale si poggiava, considerata la inarrestabile crisi dell’impero americano.

Ciò detto, la Prima Repubblica nonostante si trovasse rinchiusa nel recinto della NATO e nonostante l’avanzata delle massonerie, messe fuori legge ai tempi del fascismo, riusciva a conservare un suo spazio di politica estera.

Nonostante le enormi pressioni subite da Washington, i politici della Prima Repubblica non erano degli zerbini pronti a farsi calpestare dai vari emissari della Casa Bianca e sapevano dire di no in più di un’occasione.

La tradizione filo-araba della Prima Repubblica

Soprattutto non erano degli agitati e scomposti pasdaran dello stato di Israele come lo sono i “politici” in declino che oggi vediamo, ancora per poco auspicabilmente, sulla scena politica.

È questo il caso di Aldo Moro, da noi definito padre del mondo multipolare, quando nel lontano 1973 durante la guerra dello Yom Kippur, che vedeva contrapposti Egitto e Israele, da ministro degli Esteri rifiutava di mettere a disposizione la base di Sigonella per consentire agli aerei americani di bombardare gli obiettivi nemici dello stato ebraico.

A Washington comanda lo stato profondo composto da un dedalo di club e circoli quali il CFR e il Bilderberg ma soprattutto ha una pesantissima ed innegabile influenza la lobby sionista.

Ciò è dovuto anche in larga parte al sistema di valori che governa gli Stati Uniti d’America. Gli Stati Uniti sono infatti un Paese fondato sul protestantesimo anglosassone e tale filone della cristianità, eretico per il cattolicesimo, considera ancora oggi gli ebrei come il popolo eletto mentre il cattolicesimo, quello tradizionalista e autentico, considera il popolo ebraico come privo della sua caratteristica privilegiata da quando Cristo morì sulla croce.

In tale ottica cattolica, il patto tra Dio e gli ebrei è quindi revocato perché gli ebrei purtroppo rifiutarono il messia mentre per i protestanti, o per molti di essi, questa separazione non è mai avvenuta.

Il mondo protestante considera ancora gli ebrei come il popolo di Dio e vede nello stato di Israele il compimento di una profezia divina, nonostante non si veda molto la mano di Dio nella creazione di Israele, ma piuttosto quella della famiglia Rothschild.

Questa differente impostazione culturale e religiosa si è riflessa anche nei rapporti con Israele ed è per questo che l’Italia della Prima Repubblica non era affatto filo-sionista.

L’Italia della Prima Repubblica era invece molto vicina al mondo arabo e sapeva riconoscere l’esigenza della nascita di uno stato palestinese.

Era a questo che aspiravano uomini come Aldo Moro detestati dal mondo dell’anglosfera e minacciati apertamente di morte da personaggi quali Henry Kissinger che non tolleravano che dei politici italiani dissero di no ai suoi ordini.

Lo stesso può dirsi per un altro esponente della DC di quegli anni quale Giulio Andreotti che non nascondeva affatto le sue simpatie per la causa del popolo palestinese.

Per Andreotti era impensabile che il popolo palestinese strappato della sua terra non avesse un suo Stato, e quando si soffermava a prendere in considerazione le tremende condizioni nelle quali i palestinesi vivevano affermò che “ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento e non avesse da cinquant’anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista.”

Andreotti sapeva e affermava pubblicamente che quanto accaduto nel 1948 con la nascita dello stato di Israele, già molto controversa, e con la mancata nascita dello stato palestinese era il risultato di una profonda ingiustizia.

Sapeva che tale ingiustizia ne avrebbe generate altre a cascata fino ad arrivare alla spirale di morte e violenza che più di 70 anni dopo ancora oggi tristemente costatiamo.

E ne era ben consapevole anche Bettino Craxi che da presidente del Consiglio nel 1985 si alzò per fare un accorato discorso a favore della causa palestinese riconoscendo il suo diritto a resistere all’oppressione israeliana.

Il golpe di Mani Pulite: la nascita della Seconda Repubblica sionista

La tradizione filo-araba della Prima Repubblica che sapeva ben destreggiarsi nel recinto anglo-sionista fu però definitivamente uccisa nel 1992 quando ci fu il famigerato golpe giudiziario di Mani Pulite.

Lì nacque una nuova classe politica fatta sostanzialmente di scendiletto e zerbini che eseguono qualsiasi ordine che giunge loro da Washington e Tel Aviv.

Il mondo cattolico politico che un tempo si schierava dalla parte della Palestina divenne un militante di Israele e si trasformò in un mero cameriere della lobby sionista.

A sinistra non andò affatto meglio. Sparito il PSI di Craxi, i post-comunisti del PDS scelti da Washington per guidare l’Italia divennero i più fedeli portatori di interessi dello stato di Israele.

Non c’è stato un politico nel centrodestra e nel centrosinistra che non si sia dichiarato fedele allo stato ebraico.

Dopo il 1992, per entrare a palazzo Chigi prim’ancora che baciare la pantofola di Washington occorre baciare quella di Tel Aviv.

Ed è quello che è accaduto con Silvio Berlusconi che proclamava la sua sottomissione a Israele ai quattro venti ed è quello che è accaduto con Massimo D’Alema quando nel 1994 non appena divenne segretario del PDS si recò subito in visita da Netanyahu, che già allora era primo ministro israeliano, come lo è ancora oggi.

Le processioni nelle sinagoghe con la kippah sul capo sono la norma in questa Seconda Repubblica dove tutti si sono fatti camerieri e servi di quei poteri che orchestrarono il golpe nel 1992.

Accade ancora oggi con Giorgia Meloni, l’ultimo premier di questa triste serie, che in un gesto che non ha precedenti decide di far proiettare la bandiera d’Israele sulla facciata di palazzo Chigi.

Non c’è più politica estera, non c’è più nemmeno quel residuo spazio che aveva la Prima Repubblica.

C’è soltanto un monumento al servilismo rappresentato al meglio, o al peggio, dalla rivoltante campagna del Foglio, altro quotidiano di stretta appartenenza sionista, intitolata “Io sto con Israele” alla quale stanno aderendo in queste ore anche, ovviamente, gli improponibili ministri del governo Meloni, quali Gennaro Sangiuliano, già direttore del TG2.

Questo è il risultato del golpe del 1992. Questo è il risultato di non avere un Paese dotato di piena sovranità e padrone del proprio destino.

L’Italia con quel colpo di Stato venne declassata a stato fantoccio completamente telecomandato dall’estero e incapace di prendere una decisione che non sia quella voluta da Israele o dall’impero americano, ormai in declino.

È proprio però quest’ultimo fattore che ci ha portato in più di un’occasione a sostenere che il tempo di questa Seconda Repubblica e della stessa impalcatura costituzionale è probabilmente giunto al termine.

Sono venuti meno quei perni sui quali si fondava tutto. È venuto meno soprattutto l’appoggio dell’impero americano che dall’era Trump in poi ha consegnato gli USA ad una dimensione più nazionalistica che internazionalistica.

Questo è quello che ci fa pensare che lo spettacolo indecente al quale stiamo assistendo non siano altro che le ultime sortite di questi saltimbanchi che urlano la loro sottomissione a Israele ma che non hanno più dietro quei poteri che gli consentivano di restare sulla scena politica.

Il futuro della politica estera dell’Italia dovrà essere auspicabilmente uno radicalmente differente da quello attuale.  Dovrà essere uno nel quale l’Italia persegua la sua strada e i suoi interessi senza preoccuparsi troppo di scontrarsi con queste lobby.

Gli alleati per un percorso del genere ci sono e si trovano nel mondo multipolare. Nel frattempo, a coloro che sono giustamente disgustati dallo spettacolo di questi giorni con questa interminabile sequela di omaggi ad Israele, suggeriamo di portare ancora un po’ di pazienza.

il declino della Seconda Repubblica, e del liberal-progressismo al seguito, sembra veramente essere alle ultime battute.

Il sipario su questo indecente spettacolo sarà un vero e proprio respiro di sollievo.

fonte

Lo spreco alimentare in Italia

Un terzo del cibo prodotto sul pianeta viene buttato via senza essere consumato. In Italia, il 2022 è stato l’anno all’insegna dello spreco alimentare (fonte: rapporto 2021-2022 di Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability), con circa 595,3 grammi di cibo buttati a persona a settimana, il 15% in più rispetto al 2021, dovuto principalmente alla ripresa della vita sociale dopo il periodo di convivenza con il virus. Smartway, che supporta i distributori nella lotta contro lo spreco alimentare, e l’istituto OpinionWay hanno interrogato il popolo italiano per la prima volta per decifrare i comportamenti e capire meglio le loro abitudini in termini di consumo e di spreco alimentare.  Indubbiamente, i risultati sottolineano una grande attenzione da parte degli italiani agli sprechi alimentari. L’inflazione attuale si collega anche ai risultati mettendo in avanti una richiesta ben chiara da parte del popolo italiano, che richiede fortemente maggiori sconti sui prodotti con una data di scadenza vicina. Tuttavia, questo studio mina un’idea generalmente accettata: i giovani, spesso considerati sensibili e portabandiera delle tematiche ambientali, alla fine si rivelano meno preoccupati e più dispendiosi, buttando via molto più cibo degli anziani. Si evidenzia una popolazione giovane meno provvedente e meno organizzata, rispetto ai senior, che butta via molto cibo in relazione a una data di scadenza vicina o passata. Eppure, lo studio mette in risalto che i giovani sono consapevoli di poter migliorare e chiedono maggiori informazioni sui passi da fare per ridurre gli sprechi.

LO SPRECO ALIMENTARE: UN TEMA CHE INTERESSA TUTTI GLI ITALIANI
Il 97% degli italiani dichiara prestare attenzione agli sprechi alimentari, di cui il 62% molta attenzione.

I GIOVANI SPRECANO DI PIÙ E PIÙ SPESSO
Tra i 18/24 anni si butta fino a 4 volte di più rispetto ai 65enni e oltre. Per esempio, il 47% tra i 18-24 anni butta la frutta almeno una volta al mese, contro il 22% per i 65enni e oltre. Il ratio è ancora più forte per i prodotti secchi, il 33% contro l’8% o per i latticini (42% vs 11%). Il 75% dei 18-24 anni butta almeno 1 prodotto ogni mese contro il 41% dei 65enni e oltre, allo stesso modo, tra i 65enni sono il 14% a buttare almeno 5 prodotti ogni mese contro il 38% per i più giovani. I maschi hanno una frequenza degli sprechi più alta delle donne, il 38% dei maschi butta più frequentemente il pane rispetto al 24% delle donne

FRUTTA E VERDURA: I CIBI PIÙ SPRECATI

Il 59% butta almeno un tipo di prodotto ogni mese, principalmente la frutta (37%), la verdura (37%), piatti avanzati (32%). 1 italiano su 10 dichiara di non buttare mai i prodotti (9%). I senior sono il doppio ad affermare la stessa cosa (17%). Il 46% butta un prodotto perché ha un cattivo odore o aspetto, il 33% per la data di scadenza ed il 31% perché il prodotto è rovinato e non ispira fiducia.

LA DATA DI SCADENZA – UN ELEMENTO CRUCIALE NEL PERCORSO DI ACQUISTO
L’88% degli italiani guarda sempre la data di scadenza prima dell’acquisto Il 32% dei 65enni e oltre butta un prodotto perché la data di scadenza è vicina o passata contro il 52% tra i 18-24 anni. Per i 18-24 anni, solo 7/10 (71%) verificano la data di scadenza prima dell’acquisto, contro 9/10 per i più anziani (89%). 1 giovane su 2 (tra i 18-24 anni) butta spesso i prodotti prima che la data di scadenza sia passata, 2 volte di più rispetto ai senior (27%) e molto di più della media nazionale (32%).

LA LOTTA CONTRO LO SPRECO ALIMENTARE DEVE PASSARE ATTRAVERSO PIÙ PROMOZIONI E SCONTI 

Il 90% degli italiani chiede alle insegne di proporre più sconti sui prodotti vicini alla scadenza (il 79% tra i 18-24 anni contro il 94% dei 65enni e oltre). Il 34% dei 18-24 anni vuole essere informato sui gesti da adottare per ridurre lo spreco alimentare, contro il 16% dei senior.

Qualsiasi pubblicazione, totale o parziale, deve utilizzare la seguente dicitura completa: “Studio OpinionWay-Smartway: Gli italiani e lo spreco alimentare” e nessuna riproduzione del sondaggio può essere dissociata da questo titolo.

Lo studio completo qui: https://smartway.ai/it/blog/2023/09/18/mentre-gli-italiani-dichiarano-di-prestare-attenzione-i-18-24-enni-sono-i-campioni

Nucleare: l’Italia riparte

In Italia si torna a parlare – con maggiore frequenza e concretezza – di nucleare. Per il Governo del nostro Paese i tempi sono ormai maturi e non è più pensabile rimandare gli investimenti in questo settore, alla luce delle crisi enegetiche sempre più ricorrenti.

Cruciale sarà quella del 21 settembre:per quel giorno il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica,Gilberto Pichetto Fratin ha convocato la prima riunione della “Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile”. A prendere parte all’incontro, diversi enti e istituzioni che avario titolo si occupano di energia nucleare, sicurezza e rifiuti radioattivi.

Si tratta della scelta di rendere palese quello che deve essere un impegno dello Stato sulla ricerca, la sperimentazione e l’implementazione della conoscenza che abbiamo già nel settore del nucleare  – ha anticipato il ministro al Forum Ambrosetti tenutosi a Cernobbio – e coinvolge molti attori pubblici che hanno mantenuto questa conoscenza a partire da Enea e le nostre grandi imprese.

L’obiettivo è quello di puntare allo sviluppo di tecnologie più sicure a basso impatto ambientale, come riferisce l’esecutivo.

“Siamo impegnati sulla fusione nella sperimentazione con diversi accordi a livello internazionale e poniamo il massimo della attenzione alla fissione di quarta generazione, che significa anche la valutazione degli small reactorche nell’arco di dieci anni potranno essere una opportunità per il Paese” ha aggiunto Fratin.

Sulla dibattuta questione è intervenuto anche il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, che già lo scorso luglio aveva annunciato di essere a favore di un ritorno al referendum sul nucleare.

Nel corso di un suo intervento al Forum Ambrosetti di Cernobbio Salvini ha ribadito l’urgenza di accelerare in questo settore.

In 10 anni conto che la prima produzione derivante da nucleare potrà essere questo governo a inaugurarla. – ha commentato – Siamo tra i pochissimi Paesi al mondo ad aver detto di no, ma io ritengo che l’Italia debba, entro quest’anno, riavviare la propria partecipazione al nucleare. L’Italia non se ne può chiamare fuori conto che entro il 2023 questo governo abbia la forza di spiegare agli italiani perché, nel nome della neutralità tecnologica, non possiamo dire di no a nessuna fonte energetica.

Rosita Cipolla

Leggi anche: Nucleare: per l’Europa è la via d’uscita (pure green) dalla crisi energetica, ma poi nessuno vuole le scorie radioattive

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