Non c’è pace in Medio Oriente

Analisi della situazione generale del ricercatore Giacomo Gabellini

di Francesco Servadio

I tragici eventi dei giorni scorsi potrebbero rivelarsi soltanto il macabro precedente di ciò che potrà accadere nel prossimo futuro, qualora il conflitto dovesse espandersi al di fuori di Israele. Il rischio escalation è sempre presente, sebbene gli Stati Uniti desiderino porre un freno. Inoltre va ancora definita la situazione in Ucraina, uscita dai radiar mediatici dopo l’attacco di Hamas. Ne abbiamo parlato con il ricercatore indipendente Giacomo Gabellini, scrittore, saggista ed esperto di tematiche storiche, economiche e geopolitiche.

Qualcuno non si capacita del fatto che Israele sia stato colto di sorpresa. È rimasto sorpreso anche Lei?

“Solo in parte, perché era evidente che sarebbe accaduto qualcosa. Tuttavia mi sarei aspettato un attacco di Israele nei confronti del Libano, dove gli Israeliani avevano dispiegato le loro forze. Ciò spiegherebbe un’intensa comunicazione tra Hamas ed Hezbollah: la loro collaborazione ha fatto sì che l’esercito israeliano lasciasse sguarnita la barriera di Gaza, territorio di circa 70 chilometri tra i più sorvegliati al mondo, attraverso sistemi sofisticatissimi. Il fallimento della rinomata intelligence israeliana è quanto meno sospetto: è veramente anomalo che si sia lasciata sorprendere, nonostante i continui avvertimenti dell’intelligence egiziana”.

Nessuna persona ragionevole e dotata di umana sensibilità può anche solo minimamente giustificare le atrocità commesse da Hamas. Come si è arrivati, però, a questo orrore e alla reazione -a quel punto inevitabile e altrettanto violenta- da parte di Israele?

“Nessuno -come ha già detto Lei- può giustificare le atrocità di Hamas. Siamo però arrivati a questo orrore a seguito dell’emarginazione della causa palestinese, emarginazione che dura da almeno un decennio. Tutti i conflitti mediorientali avevano posto la causa al centro; poi, l’inettitudine della OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e la contestuale incapacità di Israele di favorire la soluzione del problema hanno contribuito ad inasprire ulteriormente i loro rapporti. Secondo alcuni osservatori, come il noto professore Avner Cohen, Hamas sarebbe una ‘creazione’ di Israele, in quanto quest’ultimo non sarebbe stato in grado né di contenere gli estremisti, né di distruggere il mostro che nel frattempo stava proliferando. Hamas ha svolto un ruolo cruciale nel sabotare gli accordi di Oslo con Rabin e Arafat. Lo stragismo operato da Hamas, l’inasprimento del controllo da parte di Israele e le responsabilità dell’attuale governo israeliano hanno condotto a questa situazione. Non dimentichiamoci che il Ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben Gvir -leader del partito israeliano di estrema destra ‘Otzma Yehudit’- e il Ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich -leader del partito nazionalista ‘Sionismo religioso’- sono esponenti del sionismo più intransigente, che si prefigge di colonizzare i territori palestinesi. Secondo il Rapporto Speciale 2020 delle Nazioni Unite, Israele non solo non avrebbe mostrato alcuna collaborazione, ma avrebbe inasprito il controllo nei confronti dei Palestinesi. E così siamo arrivati ai fatti del 7 ottobre scorso”.

Com’è nato Hamas? Lo si può distinguere dal popolo palestinese in generale?

“Certo, Hamas va distinto dalla popolazione palestinese. Hamas nasce come costola del movimento politico-religioso ‘Fratellanza musulmana’ -fondato in Egitto da Ḥasan al-Bannā’ negli Anni 20- e si è poi diffuso nel mondo musulmano e in Medio Oriente. Lo sceicco Aḥmad Labous Yāsīn, punto di riferimento di Hamas, ottenne il controllo della striscia di Gaza, mentre al-Fatḥ l’ottenne in Cisgiordania. Considero molto grave e pericolosa la dichiarazione del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, riguardo al fatto che nessun Palestinese si possa considerare innocente. La reazione di Israele all’attacco di Hamas -per quanto feroce, deprecabile e per questo da condannare con forza- è a dir poco sproporzionata. Gaza è stata ridotta a un cumulo di macerie: stiamo assistendo a una carneficina di poveri civili”.

Quando scoppiano grandi conflitti è impossibile escludere una partecipazione attiva o comunque un coinvolgimento di USA e NATO…

“L’intero Occidente si è schierato -com’era prevedibile- dalla parte di Israele. Gli USA hanno già inviato due portaerei: tuttavia, per gli States, un loro coinvolgimento sarebbe molto rischioso, in quanto si inimicherebbero la maggior parte del mondo musulmano. Il presidente Biden ha affermato che l’invasione della striscia di Gaza da parte di Israele sarebbe un grave errore. Le sue parole sono significative: per gli USA, fra l’altro, Israele non è una questione di politica estera, ma interna. Qualunque presidente americano desideroso di far carriera non può assumere un atteggiamento critico nei confronti della politica israeliana: gli Stati Uniti temono questo e, naturalmente, l’allargamento del conflitto”.

Qual è il ruolo dell’Iran?

“L’Iran è il nemico giurato di Israele e, nonostante un’antica frattura -poi ricomposta- con Hamas, ha sempre sostenuto i movimenti palestinesi. C’è però un altro aspetto, temutissimo anche dagli USA: l’Iran occupa una posizione importantissima nel mercato petrolifero mondiale. Il 40% circa del petrolio mondiale passa attraverso lo Stretto di Hormuz: quale impatto avrebbe sull’inflazione statunitense -che sta risalendo- un eventuale coinvolgimento dell’Iran?”.

Parliamo di due tematiche molto delicate: dell’antisemitismo (e dell’antisionismo) e del perché pochi Paesi membri della Lega Araba riconoscono lo Stato di Israele…

“L’antisemitismo rappresenta il pretesto per tacitare qualsiasi critica nei confronti di Israele: è così che si costruisce il consenso, anche a livello mediatico. Ricordiamoci che, all’interno di Israele, è presente una grande critica al governo, molto più forte -per esempio- di quella nei confronti dei nostri governanti. Il quotidiano israeliano Haaretz critica aspramente la politica di Netanyahu. Per quanto riguarda, invece, i Paesi arabi, a seguito delle guerre arabo-israeliane il riconoscimento dello Stato di Israele significherebbe rischiare una grave sfiducia a livello interno. Gli Accordi di Abramo, partoriti dall’amministrazione Trump, non ebbero esito positivo: vennero rifiutati dai Palestinesi, che considerarono troppo oltranzista il governo israeliano”.

Quasi quattro anni di emergenza continua: Covid, crisi economica, guerre in Ucraina e in Israele. Cosa sta accadendo a livello geopolitico?

“Si sono disarticolate tutte le catene di approvvigionamento: prima con il Covid, poi con il conflitto tra Russia e Ucraina. Infine, vi è stato un disaccoppiamento dell’economica statunitense da quella cinese. Stanno scoppiando crisi in area balcanica e tra Armenia e Azerbaigian. Qualcosa si muove pure in Georgia e la situazione in Medio Oriente rischia di infiammarsi. Stiamo attraversando una grave crisi, dall’area balcanica fino al Medio Oriente: rischiamo un terribile ‘incendio’ nell’Eurasia”.

Zelensky non è più sotto i riflettori, perché l’attenzione mediatica si è spostata su Israele. A proposito: com’è finita tra Ucraina e Russia?

“È finita nell’unico modo che si potesse prevedere: la Russia non avrebbe mai perso questa guerra. Gli Occidentali hanno commesso un enorme errore di valutazione, ritenendo di fermare la Russia attraverso le sanzioni, cosa che non si è verificata. John Kirby ha dichiarato apertamente che la coperta inizia ad essere corta, perché non si potrà aiutare l’Ucraina all’infinito: non è possibile sostenere contemporaneamente, a livello industriale, le cause di Ucraina, Israele e Taiwan. Zelensky se ne è accorto ed è corso a Bruxelles, invocando aiuto”.

Dalla ‘guerra al virus’ alla ‘guerra con le bombe’ il passo si è rivelato breve. L’Italiano medio è stato ormai addestrato all’emergenza (ne dà testimonianza anche il messaggio IT Alert) e ad un controllo militarizzato del Paese. Ci si devono attendere ripercussioni del conflitto mediorientale anche in Italia? C’è rischio di attentati?

“In Europa sono presenti circa 20/25 milioni di musulmani, molti dei quali rivendicano il diritto di sentirsi a casa loro, perciò è plausibile che qualche scintilla infiammi le polveri. L’Italia conta poco, quindi credo possa rischiare una ricaduta prevalentemente di carattere economico. C’è da aspettarsi un ulteriore aumento del prezzo dell’energia: non disponendo più delle risorse del canale russo potrebbe trattarsi di un k.o. fatale per l’Unione Europea. La Germania sta vedendo cadere il proprio potere industriale e l’Italia le andrà dietro”.

Si ventila un attacco via terra da parte di Israele, per chiudere la partita. A quale soluzione bisognerebbe giungere in Medio Oriente per ottenere finalmente la pace?

“Bisogna vedere fino a che punto vorrà spingersi il governo israeliano sul piano politico. Nel 2006 Israele provò a infliggere una punizione al Libano ma venne sconfitto: non so se il popolo israeliano sia disposto -a differenza di quello palestinese, che è pronto a tutto- ad accettare un altissimo tributo di sangue. Non vanno sottovalutati né il coinvolgimento dei Paesi Arabi, né dell’Iran. Per gli USA, infine, le incognite sono numerosissime, anche in vista delle prossime elezioni. Cina e Russia hanno posto l’accento sulla necessità di dare vita a uno Stato palestinese, attenendosi alle deliberazioni delle Nazioni Unite. Le variabili sono parecchie e il futuro pare incerto”.

Giacomo Gabellini (1985), saggista e ricercatore indipendente specializzato in questioni economiche e geopolitiche. È autore di numerosi volumi, tra cui Ucraina. Una guerra per procura (2016), Israele. Geopolitica di una piccola, grande potenza (2017) e Weltpolitik. …

LA GUERRA IN UCRAINA SERVE AGLI USA. E NON NE FANNO MISTERO – Di Caitlin Johnstone

FONTE: Settembre 2023 

Mentre alla massa viene ripetuto ossessivamente da 18 mesi lo slogan della “guerra non provocata”, analisti e opinionisti di regime sono concordi nel ritenere che la guerra in Ucraina sia un grande affare per gli Stati Uniti sotto ogni punto di vista. E lo dicono pure esplicitamente. Peccato che a leggerli siano in pochi.

Titolo originale: US Officials Keep Boasting About How Much The Ukraine War Serves US Interests,
di Caitlin Johnstone, Caitlin’s Newsletter, settembre 2023

Uno dei buchi narrativi più evidenti nella narrativa ufficiale mainstream sull’Ucraina è il modo in cui i funzionari statunitensi continuano a vantarsi apertamente del fatto che questa guerra, apparentemente non provocata, che gli Stati Uniti stanno appoggiando solo per bontà di cuore, serva enormemente gli interessi degli Stati Uniti.

In un recente articolo per il Connecticut Post, il senatore Richard Blumenthal ha assicurato gli americani che “stiamo ottenendo il massimo profitto dai nostri investimenti in Ucraina”:

“Per meno del 3% del bilancio militare della nostra nazione, abbiamo consentito all’Ucraina di ridurre della metà la forza militare della Russia”, scrive Blumenthal. “Abbiamo unito la NATO e costretto i cinesi a riconsiderare i loro piani di invasione di Taiwan. Abbiamo contribuito a ripristinare la fede e la fiducia nella leadership americana – morale e militare. Il tutto senza che una sola donna o un solo uomo di servizio americano sia rimasto ferito o sia andato perso e senza alcuna deviazione o appropriazione indebita degli aiuti americani”.

Come ha recentemente osservato Dave DeCamp di Antiwar, questo tipo di discorso sugli “investimenti” in Ucraina è diventato sempre più comune. Lo scorso fine settimana il senatore Mitt Romney ha definito la guerra “la migliore spesa per la difesa nazionale che penso abbiamo mai fatto”.

“Non stiamo perdendo vite umane in Ucraina e gli ucraini stanno combattendo eroicamente contro la Russia”, ha detto Romney. “Stiamo diminuendo e devastando l’esercito russo per una somma di denaro molto piccola… una Russia indebolita è una buona cosa”.

Il mese scorso il leader della minoranza al Senato Mitch McConnell ha affermato che gli americani dovrebbero sostenere la guerra per procura del governo americano in Ucraina perché “non abbiamo perso un solo americano in questa guerra”, aggiungendo che la spesa sta aiutando a impiegare americani nel complesso militare-industriale. 

“La maggior parte del denaro che spendiamo per l’Ucraina viene effettivamente speso negli Stati Uniti, ricostituendo armi, armi più moderne”, ha detto McConnell. “Quindi, si tratta a tutti gli effetti di assumere persone qui e di migliorare le nostre forze armate per ciò che potrebbe accadere in futuro.”

McConnell parla già dallo scorso anno di quanto questa guerra avvantaggi gli Stati Uniti. In occasione di un discorso pronunciato lo scorso dicembre, il mostro malato della palude ha sostenuto che “le ragioni più basilari per continuare ad aiutare l’Ucraina a indebolire e sconfiggere gli invasori russi sono i freddi, duri e pratici interessi americani”

“Aiutare i nostri amici nell’Europa orientale a vincere questa guerra è anche un investimento diretto nel ridurre le future capacità di Vladimir Putin di minacciare l’America, minacciare i nostri alleati e contestare i nostri interessi principali”, ha affermato McConnell.

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Come abbiamo discusso in precedenza, i manager dell’impero statunitense hanno parlato di quanto questa guerra sia utile agli interessi degli Stati Uniti sin dal suo inizio.

Nel maggio dello scorso anno il membro del Congresso Dan Crenshaw ha dichiarato su Twitter che “investire nella distruzione delle forze armate del nostro avversario, senza perdere una sola truppa americana, mi sembra una buona idea”.

“È nell’interesse della sicurezza nazionale dell’America che la Russia di Putin venga sconfitta in Ucraina”, ha twittato il perennemente eccitato dalla guerra senatore Lindsey Graham. 

Lo scorso novembre il Center for European Policy Analysis, il think tank finanziato dalla macchina da guerra imperiale, ha pubblicato un articolo intitolato It’s Costing Peanuts for the US to Defeat Russia (Sconfiggere la Russia ci sta costando noccioline), con sottotitolo “L’analisi costi-benefici del sostegno statunitense all’Ucraina è incontrovertibile. Sta producendo vittorie a quasi tutti i livelli”.

“Spendere il 5,6% del budget della difesa statunitense per distruggere quasi la metà delle capacità militari convenzionali della Russia sembra un investimento assolutamente incredibile”, ha affermato Timothy Ash, autore dell’articolo. “Se ripartissimo il bilancio della difesa statunitense in base alle minacce che deve affrontare, la Russia avrebbe forse una spesa per minaccia dell’ordine di 100-150 miliardi di dollari. Quindi, spendere solo 40 miliardi di dollari all’anno erode un valore di minaccia di 100-150 miliardi di dollari, con un rendimento di due o tre volte. In realtà, è probabile che il rendimento sia multiplo di questo valore, dato che la spesa per la difesa e la minaccia sono eventi annuali ricorrenti”.

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Ovviamente, i mass media sono tutti saliti a bordo riproponendo lo stesso messaggio. Qualche settimana fa David Ignatius del Washington Post ha scritto un articolo in cui spiegava perché gli occidentali non dovrebbero “sentirsi tristi” su come stanno andando le cose in Ucraina, dal momento che la guerra sta solo portando vantaggi agli interessi degli Stati Uniti all’estero:

“Nel frattempo, per gli Stati Uniti e i suoi alleati della NATO, questi 18 mesi di guerra sono stati una manna strategica, a un costo relativamente basso (tranne che per gli ucraini). L’antagonista più spericolato dell’Occidente è stato colpito. La NATO è diventata molto più forte con l’adesione di Svezia e Finlandia. La Germania si è liberata dalla dipendenza dall’energia russa e, in molti modi, ha riscoperto il proprio senso dei valori. I litigi all’interno della NATO fanno notizia, ma nel complesso questa è stata un’estate trionfale per l’alleanza”.

Sospetto che ricorderò periodicamente ai miei lettori quel paragrafo, incluso l’inciso di Ignatius “tranne che per gli ucraini”, per il resto della mia carriera di scrittrice.

Quindi, mentre da un lato la classe politica e mediatica occidentale ci ripete ossessivamente da mesi che l’invasione dell’Ucraina “non è stata provocata” e che gli Stati Uniti e i loro alleati non hanno svolto alcun ruolo nel facilitare questo conflitto, dall’altra tutti i manager dell’impero sono entusiasti di come questa guerra avvantaggi gli interessi degli Stati Uniti. 

Queste due narrazioni sembrano un po’ contraddittorie, non è vero?

Un pensatore critico può conciliare questa contraddizione in due modi. Il primo, può credere che il governo più potente e distruttivo del mondo sia solo un testimone passivo e innocente della violenza in Ucraina e tragga enormi vantaggi dalla guerra solo per pura coincidenza. Il secondo, può credere che gli Stati Uniti abbiano intenzionalmente provocato questa guerra con la consapevolezza che ne avrebbero tratto beneficio.

Da dove sono seduta, non è difficile decidere quale di queste due possibilità sia la più probabile.