Per i caregiver: corso on Line gratuito

Corso online gratuito di InFormazione per familiari di persone con malattia di Alzheimer: una ricerca per prevenire gli effetti dello stress in chi assiste

Perché questa ricerca?

L’assistenza domiciliare dei pazienti affetti da malattie di Alzheimer (AD) è spesso delegata a familiari, i cosiddetti caregiver informali. Tale assistenza può essere psicologicamente, fisicamente e finanziariamente onerosa e può esporre i caregiver a maggiore vulnerabilità per malattie psicofisiche. Studi sui tradizionali interventi di psicoeducazione (cicli di incontri in cui vengono fornite conoscenze teoriche e pratiche per l’assistenza) ne hanno dimostrato l’effetto positivo sul benessere psicofisico sia del caregiver che della persona assistita. L’apprendimento esperienziale attraverso la realtà virtuale (VR) è stato recentemente considerato un ulteriore metodo efficace per suscitare comportamenti empatici in ambito assistenziale.

In questo studio valuteremo se l’esperienza della realtà virtuale combinata all’intervento psicoeducativo, ne amplifica i benefici noti. Leggi tutto

ESSERE PRONTI SE LE COSE SI METTONO MALE DAVVERO

ANDREA CECCHI

Ovviamente speriamo di no. Un po’ come non speriamo di forare un pneumatico quando ci mettiamo in viaggio con l’auto. O speriamo di non fare naufragio se andiamo in mare. Ma in ogni caso, è meglio avere la ruota di scorta, per ripartire o la scialuppa di salvataggio, per non affogare. In un momento in cui ci hanno detto apertamente che stanno facendo un GRANDE RESET economico e in cui non nascondono opzioni eugenetiche, è opportuno essere preparati. Sperando al meglio, ma pronti al peggio. È in corso una guerra dichiarata verso la sopravvivenza del ceto medio globale.

Soprattutto quello europeo: e in Europa, soprattutto al ceto medio italiano; proprio perché è quello maggiormente dotato di risparmi. Risparmi espressi in euro che stanno evaporando sotto il naso incredulo di una cittadinanza addormentata e ignara, tenuta distratta da scandali e gossip, mentre la nave affonda.

Ovviamente speriamo di no. Un po’ come non speriamo di forare un pneumatico quando ci mettiamo in viaggio con l’auto. O speriamo di non fare naufragio se andiamo in mare. Ma in ogni caso, è meglio avere la ruota di scorta, per ripartire o la scialuppa di salvataggio, per non affogare. In un momento in cui ci hanno detto apertamente che stanno facendo un GRANDE RESET economico e in cui non nascondono opzioni eugenetiche, è opportuno essere preparati. Sperando al meglio, ma pronti al peggio. È in corso una guerra dichiarata verso la sopravvivenza del ceto medio globale.

Vedete il grafico? La metà dei soldi in soli due anni è già stata trasferita del conto corrente degli italiani alle tasche della classe oligarchica, quella che come ha detto Warren Buffett, ci ha dichiarato guerra e che sta vincendo questa guerra, impossessandosi dei nostri soldi.

Pochissimi hanno capito che per salvare i propri risparmi bisogna salire sulla scialuppa di salvataggio dell’ORO prima di perdere tutto. Per quasto il grande reset funzionerà.

Il programma della gestione del pianeta da qui in poi vede la necessità di chiudere il cerchio del recinto sul controllo dell’umanità intera. La tecnologia, abbinata all’economia, rende il tutto estremamente semplice. La propaganda dei media mainstream è l’ingrediente finale che amalgama tutto l’impasto del gregge zombie in una massa informe altamente gestibile, con impulsi di controllo infallibili.

Il pericolo è quello di ritrovarsi circondati da zombie e di volersi salvare.

Ovviamente speriamo di no. Un po’ come non speriamo di forare un pneumatico quando ci mettiamo in viaggio con l’auto. O speriamo di non fare naufragio se andiamo in mare. Ma in ogni caso, è meglio avere la ruota di scorta, per ripartire o la scialuppa di salvataggio, per non affogare. In un momento in cui ci hanno detto apertamente che stanno facendo un GRANDE RESET economico e in cui non nascondono opzioni eugenetiche, è opportuno essere preparati. Sperando al meglio, ma pronti al peggio. È in corso una guerra dichiarata verso la sopravvivenza del ceto medio globale. Soprattutto quello europeo: e in Europa, soprattutto al ceto medio italiano; proprio perché è quello maggiormente dotato di risparmi. Risparmi espressi in euro che stanno evaporando sotto il naso incredulo di una cittadinanza addormentata e ignara, tenuta distratta da scandali e gossip, mentre la nave affonda. Vedete il grafico? La metà dei soldi in soli due anni è già stata trasferita del conto corrente degli italiani alle tasche della classe oligarchica, quella che come ha detto Warren Buffett, ci ha dichiarato guerra e che sta vincendo questa guerra, impossessandosi dei nostri soldi. Pochissimi hanno capito che per salvare i propri risparmi bisogna salire sulla scialuppa di salvataggio dell’ORO prima di perdere tutto. Per quasto il grande reset funzionerà. Il programma della gestione del pianeta da qui in poi vede la necessità di chiudere il cerchio del recinto sul controllo dell’umanità intera. La tecnologia, abbinata all’economia, rende il tutto estremamente semplice. La propaganda dei media mainstream è l’ingrediente finale che amalgama tutto l’impasto del gregge zombie in una massa informe altamente gestibile, con impulsi di controllo infallibili.
Il pericolo è quello di ritrovarsi circondati da zombie e di volersi salvare.
Abbiamo già avuto un assaggio di quello che sono capaci di scatenare durante il periodo dell’emergenza sanitaria.
Sono state le prove generali prima di quella che potrebbe essere un’operazione ancora peggiore.

Sempre sperando di non trovarsi in situazioni estreme, consideriamo alcuni possibili scenari e vediamo quanto siamo effettivamente pronti a fronteggiare quello che potrebbe avvenire se si scatena il caos e la zombie apocalypse.

IL DISEGNO ISRAELIANO PER GAZA

Lo scenario dell’inizio della guerra in Cisgiordania è sul tavolo. Ci stiamo preparando alla possibilità di guerra con l’Autorità Palestinese. Questa affermazione di Netanyahu, in apparenza contraddittoria data la storica relazione di stretta collaborazione tra l’ANP e gli Stati Uniti, richiede un’analisi approfondita. Netanyahu, politico navigato, comprende la complessità dei rapporti tra Israele e gli USA e l’importanza di tale connessione per la sopravvivenza di Israele.

Le relazioni tra USA e Israele sono sempre state complesse, con l’influenza della lobby ebraica negli USA dagli anni ’60-’70. Nonostante ciò, Tel Aviv è consapevole della necessità del sostegno economico e militare degli USA. Attualmente, il governo israeliano, guidato da Netanyahu, affronta sfide significative a seguito dell’attacco della Resistenza palestinese, con crescenti complicazioni sul campo, isolamento internazionale e pressioni statunitensi.

Ora, a due mesi dall’attacco della Resistenza palestinese, le cose per Israele e per il governo Netanyahu non si mettono particolarmente bene. La situazione sul campo è sempre più complicata (nella Striscia di Gaza gli scontri con la Resistenza si fanno sempre più frequenti e sempre più mortali, con una crescita costante delle perdite tra le fila dell’IDF), l’isolamento internazionale cresce e, soprattutto, cresce la difficoltà statunitense nel sostenere a spada tratta le scelte del governo israeliano. In particolare, i punti di attrito principali sono tre.

Israele rifiuta decisamente qualsiasi apertura, anche solo formale, all’ipotesi dei due stati, che è invece il mantra propagandistico occidentale. Sia Washington che Tel Aviv sanno che questa ipotesi è nella realtà impraticabile, ma ciò nonostante Tel Aviv mantiene una netta chiusura.
La Casa Bianca vuole che l’operazione a Gaza si concluda in fretta, al massimo entro la metà di gennaio, sia perché il suo protrarsi crea imbarazzi internazionali, sia perché mette a rischio la vittoria democratica alle prossime presidenziali. Al contrario, sia il governo che l’esercito israeliano vogliono mano libera, senza limiti di tempo, nella consapevolezza che la faccenda non è risolvibile in poche settimane.
Sul futuro di Gaza, successivamente alla fine delle operazioni militari, si concretizza infine la divisione più marcata, poiché gli USA vorrebbero una occupazione militare quanto più breve possibile, seguita dall’affidamento proprio all’ANP del governo della Striscia, mentre il disegno israeliano è di ben altra natura.

In tale prospettiva, è evidente che bisogna spazzare via qualsiasi alternativa possibile e, quindi, la guerra con l’ANP (che non sta partecipando in alcun modo agli scontri in Cisgiordania) serve allo scopo di eliminare in nuce l’ipotesi americana, trasformando quella che è sempre stata una sorta di amministrazione coloniale della West Bank, in un nemico dichiarato di Israele. Il che, ovviamente, prelude a sua volta al ritorno ad una amministrazione militare della Cisgiordania.

Chiaramente, tutti questi sono segnali dell’enorme debolezza, sia del governo Netanyahu che della stessa Israele. E la faccia feroce serve solo a nasconderla, sperando che, passata la tempesta, tutto torni come prima. Il che, in fondo, è il sogno dell’intero occidente.

FONTE TELEGRAM

Fondo Alzheimer. Ministero Salute: “Adottate tutte le iniziative per il rifinanziamento del Fondo per il triennio 2024-2026”

Così da consentire alle regioni e province autonome di dare continuità alle numerose attività rivolte a pazienti e familiari poste in essere con il precedente finanziamento, consentendo di proseguire nella prevenzione, diagnosi, e trattamento delle persone con demenza”. Così il sottosegretario alla Salute Gemmato rispondendo all’interrogazione sul tema di Benigni (FI).

26 OTT – 

“iI Ministero della salute, ha già avviato, all’interno delle attività sostenute dal Fondo per l’Alzheimer 2021-2023 l’iter per l’aggiornamento del Piano nazionale demenze”. Inoltre, “sono state adottate tutte le iniziative di competenza per promuovere il rifinanziamento del suddetto Fondo per il triennio 2024-2026 così da consentire alle regioni e province autonome di dare continuità alle numerose attività rivolte a pazienti e familiari poste in essere con il precedente finanziamento, consentendo di proseguire nella prevenzione, diagnosi, e trattamento delle persone con demenza”.

Così il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, rispondendo ieri in commissione Affari Sociali alla Camera all’interrogazione sul tema presentata da Stefano Benigni.

Di seguito la risposta integrale del sottosegretario Gemmato.

“Ringrazio gli interroganti per il quesito posto e rappresento che, nel corso del 2022, l’avvio delle attività previste dal Fondo per l’Alzheimer e demenze è stata l’azione di maggior rilievo a livello nazionale in termini di sanità pubblica degli ultimi anni ed ha reso possibile realizzare interventi concreti rivolti alle persone con demenze ed ai relativi familiari e caregiver.

Con tale fondo, sono stati stanziati 14.100.000 euro per le regioni e le province autonome e 900.000 euro per l’Istituto Superiore di Sanità per l’esecuzione di attività progettuali orientate al perseguimento degli obiettivi del Piano nazionale delle demenze (PND), da realizzare nel triennio 2021-2023.

Le regioni e le province autonome, a tal fine, hanno elaborato i rispettivi Piani triennali in accordo con le indicazioni previste in seno al decreto del Ministro della salute 22 dicembre 2021 concernente «Individuazione dei criteri e delle modalità di riparto del Fondo per l’Alzheimer e le demenze», che costituiscono un patrimonio culturale di possibili interventi di prevenzione, diagnosi e trattamento per il miglioramento della presa in carico delle persone con demenze da diffondere e condividere sul territorio nazionale.
Il monitoraggio dell’impegno delle somme è assicurato dal Tavolo permanente sulle demenze, istituito presso la Direzione generale della prevenzione del Ministero della salute, a cui partecipano rappresentanti di regioni e province autonome, associazioni nazionali dei familiari e dei pazienti, rappresentanti delle principali società scientifiche del settore e della medicina generale, AIFA, Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Le aree progettuali previste dal Fondo, all’interno delle quali regioni e province autonome hanno potuto predisporre le linee di azioni mediante specifici piani triennali, sono le seguenti:
1) potenziamento della diagnosi precoce del Disturbo Neurocognitivo (DNC) minore/(Mild Cognitive Impairment – MCI) e sviluppo di una carta del rischio cognitivo per la pratica clinica;
2) diagnosi tempestiva del DNC maggiore, sperimentazione, valutazione e diffusione di interventi di telemedicina tesi ad assicurare la continuità delle cure nei diversi settingassistenziali;
3) sperimentazione, valutazione e diffusione di interventi di tele-riabilitazione tesi a garantire un progetto riabilitativo mirato, con lo scopo di migliorare partecipazione, inclusione e qualità della vita del paziente;
4) sperimentazione, valutazione e diffusione dei trattamenti psico-educazionali, cognitivi e psicosociali nella demenza.

Particolarmente rilevanti, inoltre, sono le linee di attività portate avanti dall’Osservatorio demenze dell’Istituto Superiore di Sanità nell’ambito di quanto previsto dall’Accordo con il Ministero quali, ad esempio, l’elaborazione di linee guida sulla diagnosi e trattamento della demenza, nell’ambito del Sistema nazionale linee guida, sulla base dell’evoluzione delle conoscenze fisiopatologiche e terapeutiche derivanti dalla letteratura scientifica e dalle buone pratiche nazionali e internazionali, con il coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali oltre che con la collaborazione delle maggiori Associazioni di pazienti e familiari e delle principali Società scientifiche.

Altrettanto strategica è l’attività in corso che prevede l’elaborazione di una stima della prevalenza dei 12 fattori di rischio prevenibili per la demenza, (come ad esempio il diabete, l’ipertensione, l’obesità) nelle regioni e province autonome.
Con questa stima sarà possibile calcolare il numero di casi evitabili di Alzheimer e demenza vascolare in ogni regione e provincia autonoma, permettendo di poter stimare la reale entità del fenomeno al fine di sviluppare azioni di sanità pubblica più mirate nell’ambito degli aggiornamenti dei Piani regionali di prevenzione in essere.

Tra le altre attività previste dal citato decreto 22 dicembre 2021, portate avanti con il supporto dell’ISS attraverso il Tavolo permanente, ricordo: l’aggiornamento del Piano nazionale demenze, una survey nazionale di mappatura dei servizi, una indagine nazionale sulle condizioni sociali ed economiche dei familiari dei pazienti con demenza, in collaborazione con l’Associazione Alzheimer Uniti Italia, la definizione di un programma formativo per i professionisti sanitari della riabilitazione e per i familiari e i caregiver dei pazienti, la promozione dell’istituzione di una cartella clinica informatizzata nei 587 Centri per i disturbi cognitivi e le demenze presenti sul territorio.

Concludo affermando che il Ministero della salute, ha già avviato, all’interno delle attività sostenute dal Fondo per l’Alzheimer 2021-2023 l’iter per l’aggiornamento del Piano nazionale demenze, così da poter rendere le strategie di governo del fenomeno delle demenze più realistiche ed efficaci, anche alla luce del mutamento degli scenari rispetto al 2015 con significativi progressi scientifici sia nel campo della prevenzione e della diagnosi precoce delle demenze, sia nel campo della organizzazione dei servizi sanitari.

Sono state, inoltre, adottate tutte le iniziative di competenza per promuovere il rifinanziamento del suddetto Fondo per il triennio 2024-2026 così da consentire alle regioni e province autonome di dare continuità alle numerose attività rivolte a pazienti e familiari poste in essere con il precedente finanziamento, consentendo di proseguire nella prevenzione, diagnosi, e trattamento delle persone con demenza”.

FONTE

Dormire inclinati può prevenire l’Alzheimer

Come si può vedere da questo articolo 
“la malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza senile, e oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni. Sebbene la maggior parte dei malati abbia più di 80 anni, ci sono casi di Alzheimer precoce, anche a 40 o 50 anni. Come tutte le demenze, si caratterizza per una perdita progressiva della memoria associata a un disturbo cognitivo: perdita del linguaggio, delle capacità esecutive e del pensiero critico o astratto.”

Per quanto riguarda le cause scatenanti, sempre nello stesso articolo, si trova il seguuente riferimento:
“Non è nota la causa scatenante, ma si sta studiando la correlazione fra la malattia e l’alterazione del metabolismo della proteina precursore della beta amiloide (detta APP) che porta alla formazione di beta amiloide, una sostanza neurotossica che accumulandosi nel cervello porta progressivamente a morte neuronale. Non essendo nota una causa scatenante, non ci sono metodi di prevenzione mirati.”
Questo riferimento costituisce, a nostro avviso, un collegamento evidente con la possibilità che dormire su un letto leggermente inclinato, così come previsto dalla Terapia del Letto Inclinato (inclined Bed Therapy), possa effettivamente aiutare la prevenzione e la cura di questa grave e diffusa patologia.
In questo nostro articolo https://www.lettoinclinato.it/una-nuova-prospettiva-per-la-detossificazione-del-nostro-cervello/ (pubblicato nel 2019), sono infatti evidenziati i motivi per i quali dormire inclinati migliora in maniera importante la qualità del sonno e la detossificazione del cervello.

Per quanto riguarda le cause scatenanti, sempre nello stesso articolo, si trova il seguuente riferimento:
“Non è nota la causa scatenante, ma si sta studiando la correlazione fra la malattia e l’alterazione del metabolismo della proteina precursore della beta amiloide (detta APP) che porta alla formazione di beta amiloide, una sostanza neurotossica che accumulandosi nel cervello porta progressivamente a morte neuronale. Non essendo nota una causa scatenante, non ci sono metodi di prevenzione mirati.”
Questo riferimento costituisce, a nostro avviso, un collegamento evidente con la possibilità che dormire su un letto leggermente inclinato, così come previsto dalla Terapia del Letto Inclinato (inclined Bed Therapy), possa effettivamente aiutare la prevenzione e la cura di questa grave e diffusa patologia.
In questo nostro articolo https://www.lettoinclinato.it/una-nuova-prospettiva-per-la-detossificazione-del-nostro-cervello/ (pubblicato nel 2019), sono infatti evidenziati i motivi per i quali dormire inclinati migliora in maniera importante la qualità del sonno e la detossificazione del cervello.

Riportiamo di seguito le parti dell’articolo in questione che risultano più interessanti al riguardo dell’argomento di cui stiamo parlando:

Sistema di detossificazione del cervello
Durante il giorno, le tossine, come la b-amiloide e le tau-proteine, si accumulano lentamente nel nostro cervello. Quando dormiamo, un sistema di pulizia del cervello, scoperto di recente, chiamato glinfatico, si mette al lavoro.
Il liquido cerebrospinale (CSF) – che circonda, nutre e protegge il cervello – interagisce con il fluido interstiziale per creare una sorta di onda di pulizia che si muove attraverso il cervello per rimuovere le tossine che si sono accumulate durante il giorno. Il sistema glinfatico si occupa quindi della rimozione dei rifiuti del cervello.

Importanza del sonno
Il deposito di β-amiloide nel cervello porta al declino cognitivo e, infine, alla malattia di Alzheimer.
L’accumulo di β-amiloide nella corteccia prefrontale è associato all’interruzione del sonno ad onde lente e può ridurre la capacità di consolidamento della memoria (Mander 2015).
I ricercatori hanno rilevato che una durata del sonno più breve e una qualità del sonno inferiore sono associate a un maggiore carico di β-amiloide (Spira 2013).
Sono necessari ulteriori studi per determinare se il sonno non profondo contribuisce semplicemente allo sviluppo o se, invece, è una delle cause della malattia di Alzheimer.
Comunque, è il sonno leggero che può portare ad un aumento della deposizione di β-amiloide e un carico maggiore di β-amiloide può portare ad un ulteriore peggioramento del sonno.
Questo, quindi, diventa un ciclo di auto-perpetuazione del declino cognitivo in atto e del declino della qualità del sonno.

Importanza della posizione nel sonno
Fortunatamente ci sono cose che possiamo fare per ottimizzare il nostro sonno e il funzionamento del sistema glinfatico.
Proprio come il sistema linfatico, che purifica il resto del corpo, il sistema glinfatico è influenzato da fattori esterni, come la forza di gravità e la posizione del corpo o i livelli di stress.
I ricercatori del sonno hanno scoperto che, chi ha una peggiore qualità del sonno, spesso trascorre la maggior parte del tempo posizionato sulla schiena, con la testa dritta.
Altri studi confermano che la posizione che assumiamo durante il sonno può influenzare in maniera significativa la qualità dello stesso.
L’osservazione degli animali selvatici e del bestiame domestico indica inoltre che anche questi preferiscono dormire appoggiati sui loro lati e con la testa leggermente in salita.

Dormire inclinati!
Prendendo spunto dalla natura, medici e ricercatori hanno iniziato a studiare i benefici che si possono avere dormendo in una posizione più naturale, quella in cui il letto presenta una regolare inclinazione, con la testa posizionata nel punto più alto.
Mentre ancora non sono state fatte sperimentazioni scientifiche ufficiali, su scala adeguata, al riguardo dei benefici che dormire in questa posizione può avere sul sistema glinfatico, esistono comunque ricerche ed esperienze cliniche che hanno dimostrato che il “sonno inclinato” (con la testa sollevata di 3-6 pollici) ha incredibili benefici per la salute.

Importanza della posizione nel sonno
Fortunatamente ci sono cose che possiamo fare per ottimizzare il nostro sonno e il funzionamento del sistema glinfatico.
Proprio come il sistema linfatico, che purifica il resto del corpo, il sistema glinfatico è influenzato da fattori esterni, come la forza di gravità e la posizione del corpo o i livelli di stress.
I ricercatori del sonno hanno scoperto che, chi ha una peggiore qualità del sonno, spesso trascorre la maggior parte del tempo posizionato sulla schiena, con la testa dritta.
Altri studi confermano che la posizione che assumiamo durante il sonno può influenzare in maniera significativa la qualità dello stesso.
L’osservazione degli animali selvatici e del bestiame domestico indica inoltre che anche questi preferiscono dormire appoggiati sui loro lati e con la testa leggermente in salita.

Dormire inclinati!
Prendendo spunto dalla natura, medici e ricercatori hanno iniziato a studiare i benefici che si possono avere dormendo in una posizione più naturale, quella in cui il letto presenta una regolare inclinazione, con la testa posizionata nel punto più alto.
Mentre ancora non sono state fatte sperimentazioni scientifiche ufficiali, su scala adeguata, al riguardo dei benefici che dormire in questa posizione può avere sul sistema glinfatico, esistono comunque ricerche ed esperienze cliniche che hanno dimostrato che il “sonno inclinato” (con la testa sollevata di 3-6 pollici) ha incredibili benefici per la salute.

Alzheimer, speranze dai nuovi farmaci, efficaci ma solo per una parte dei pazienti

Il 21 settembre la giornata mondiale, 600 mila malati in Italia. Palazzi illuminati di viola

“Il momento che stiamo vivendo per l’Alzheimer mi ricorda qualcosa che vissi da giovane studente di medicina: l’arrivo della dopamina per curare il Parkinson.

A quei tempi il Parkinson era incurabile, era una condanna. I primi pazienti che hanno preso la dopamina hanno ricominciato a muoversi e hanno vissuto una seconda vita. Speriamo che accada presto qualcosa di analogo per l’Alzheimer”. Paolo Maria Rossini, responsabile del dipartimento di Scienze neurologiche e riabilitative dell’Irccs San Raffaele Roma descrive così il clima che si registra nel campo della malattia di Alzheimer alla vigilia della Giornata Mondiale dedicata alla malattia che si celebra il 21 settembre.

L’entusiasmo è legato all’avvento di nuovi farmaci che per la prima volta sembrano incidere sul decorso della malattia, inducendo un importante rallentamento. Due di questi medicinali sono già stati approvati in Usa, mentre in Europa il primo ok potrebbe arrivare tra non molto tempo. I nuovi farmaci agiscono sulle proteine (beta-amiloidi) che danno origine alle placche caratteristiche dell’Alzheimer e, anche se non è ancora chiaro se ciò si traduca in un miglioramento delle condizioni del malato, tutto fa però pensare che rappresenteranno una svolta.

Questa nuova opportunità, tuttavia, apre nuove sfide per la sanità. “Non dobbiamo trasmettere inutili illusioni”, ammette Raffale Lodi, direttore dell’Irccs Istituto Scienze Neurologiche di Bologna. “Le terapie sono efficaci, ma solo su una parte dei pazienti”. La loro efficacia è massima efficacia nelle primissime fasi della malattia, quando il cervello conserva almeno una parte della sua straordinaria plasticità. La difficoltà è dunque identificare i pazienti che possono beneficiare dei trattamenti prima ancora che compaiano i segni conclamati della malattia.

L’Italia nel 2018 ha lanciato un progetto di ricerca (Iterceptor) che vuole capire se alcuni biomarcatori, rilevati in fase precoce, sono in grado di distinguere chi si ammalerà di Alzheimer e chi no. “A breve potremo dire quale è la combinazione di marcatori che prevede chi è a rischio Alzheimer. Sarà così possibile iniziare il trattamento quando il cervello ha una buona riserva cognitiva e non quando ormai è come una piantina che non si annaffia da mesi”, aggiunge Rossini.

Tuttavia potrebbe non bastare: “Senza interventi organizzativi rischiamo di avere alcune realtà italiane che garantiranno l’accesso alle cure e altre in cui ciò non si realizzerà. Ci aspetta un nuovo, importante, lavoro”, precisa l’onorevole Annarita Patriarca, presidente, insieme alla senatrice Beatrice Lorenzin, dell’intergruppo Alzheimer e Neuroscienze. C’è poi il problema delle risorse, a cominciare da quelle da destinare ai nuovi farmaci. “Anni fa abbiamo vissuto un’esperienza simile con l’epatite C”, dice Lorenzin. “Oggi abbiamo guarito più di 260 mila persone”. Intanto, le associazioni premano perché venga rinnovato il Fondo per l’Alzheimer e le demenze che è in scadenza a fine anno. Sono 15 milioni, “una prima garanzia nella costruzione della rete per l’Alzheimer”, conclude Lorenzin. 

fonte

Combattere l’Alzheimer anche a tavola

L’alimentazione è una parte fondamentale della nostra esistenza. Mangiare bene aiuta a tenere il nostro corpo, ma viene difficile pensare che alcune diete, rispetto ad altre, possano aiutare contro malattie come il morbo di Alzheimer. Secondo un nuovo studio però, di fatto una dieta come il digiuno intermittente può di fatto aiutare a rallentare il decorso di questa malattia ancora così misteriosa.

Lo studio, che suona complicato, si è basato sull’idea di “riconfigurare gli orologi circadiani degli animali in un modello murino di Alzheimer, attraverso un programma del digiuno intermittente”. Questa strada è stata presa in quanto il morbo di Alzheimer, con i suoi sintomi, va a interferire con il naturale processi biologici che avvengono nel cervello, ma anche nel resto del corpo. Soprattutto va a interferire proprio il ciclo sonno/veglia che porta a una velocizzazione del deterioramento cognitivo.

Alzheimer e la dieta a digiuno intermittente

Le parole dei ricercatori della UC San Diego: “Per molti anni, abbiamo ipotizzato che le interruzioni circadiane osservate nelle persone con Alzheimer fossero il risultato della neurodegenerazione, ma ora stiamo imparando che potrebbe essere il contrario: l’interruzione circadiana potrebbe essere uno dei principali fattori determinanti della patologia dell’Alzheimer. Ciò rende le interruzioni circadiane un obiettivo promettente per i nuovi trattamenti dell’Alzheimer, e i nostri risultati forniscono la prova di concetto di un modo semplice e accessibile per correggere queste interruzioni”.

L’esperimento fatto per ora solo con i topi ha mostrato come di fatto lasciare solo una finestra specifica di tempo in cui mangiare a questi animali ha portato a un cambiamento quantificabile a livello molecolare. Molti geni che si sa essere legati al morbo di Alzheimer e all’infiammazione del cervello venivano espressi in modo diverso. Ora bisogna capire se anche nell’uomo può succedere la stessa cosa.

Giacomo Ampollini

FONTE

Jelly Drops, innovativi bonbons d’acqua, aiutano ad idratare chi soffre di demenza, soprattutto durante le ondate di calore

Gianluca Riccio

Gianluca Riccio

Durante le ondate di calore come quella di questi giorni (sperando sia l’ultima dell’anno) idratare il corpo è fondamentale, e chi soffre di demenza o malattie correlate come l’Alzheimer rischia di non farlo. Garantire un’adeguata assunzione di liquidi può diventare una sfida se si combatte con la memoria.

Questi Jelly Drops, autentici “bonbons d’acqua”, sono stati progettati specificamente per aiutare le persone affette da demenza a bere quando serve e quanto serve.

La sfida dell’idratazione nella demenza

Le condizioni che portano a forme di demenza, e in particolare il morbo d’Alzheimer, rappresentano una delle principali sfide sanitarie del nostro tempo. L’OMS stima che nel mondo ci siano 55 milioni di persone costrette a convivere con le complicazioni insidiose della demenza. Una delle peggiori è la perdita della percezione della sete, l’incapacità di ricordare o capire quando ci si deve idratare. Durante le ondate di calore, come quelle che hanno recentemente colpito l’Europa (in particolare l’Italia, investita in pieno nel mese di luglio) il rischio di disidratazione aumenta notevolmente.

Idratare

Jelly Drops: dolce soluzione

Jelly Drops contengono il 95% di acqua e sono arricchiti con elettroliti per idratare meglio il corpo. Non solo sono privi di zuccheri, ma il loro aspetto colorato e invitante li rende un’opzione allettante anche per chi potrebbe altrimenti rifiutarsi di bere.

L’articolo prosegue dopo i link correlati

Le ragnatele artificiali catturano acqua dall’aria meglio di ogni altra cosa

Le guerre dell’acqua: uno sguardo al futuro dei conflitti fluviali

L’idea dietro questi bonbons è nata dalla mente creativa dell’inglese Lewis Hornby. L’ispirazione? Come spesso accade, in famiglia: dalla sua stessa nonna, Pattinson, che aveva il problema di ricordare quando e quanto bere.

Idratare, e con fierezza. Ma non basta, ovviamente

Mentre i Jelly Drops offrono una soluzione pratica e immediata per affrontare il problema di idratare le persone affette da demenza, la comunità scientifica non si ferma e continua a cercare trattamenti più focalizzati per affrontare il problema alla radice.

Recentemente un nuovo farmaco, chiamato lecanemab, ha mostrato di ridurre il declino della memoria e del pensiero associati all’Alzheimer. Questo farmaco attacca gli ammassi proteici nel cervello che molti ritengono siano la causa della malattia.

Per ulteriori dettagli sulla recente ricerca sul lecanemab e altri sviluppi nel campo della demenza, potete consultare questo articolo.

Anche se i risultati sono promettenti, è importante notare che i benefici del farmaco sono per ora piccoli e accompagnati da effetti collaterali significativi. Tuttavia, la ricerca in questo campo è in costante evoluzione e ogni nuovo sviluppo porta speranza.

La demenza è una delle principali sfide sanitarie del nostro tempo, con 10 milioni di nuovi casi diagnosticati ogni anno. Con il numero di casi di demenza previsti per salire a 78 milioni entro il 2030 e 139 milioni nel 2050, la corsa è aperta per sviluppi scientifici e ricerche che ci aiuteranno a comprendere, trattare e possibilmente prevenire la malattia.

fonte

Alzheimer: un video e un libro indimenticabili

Il mio papà parla solo con il cane….

Il padre di Lisa Abeyta ha l’Alzheimer, allo stadio avanzato. Non riconosce più nessuno, e ha perso anche gran parte della capacità di formulare frasi di senso compiuto. Ma quando è con il suo cane Roscoe, succede un piccolo miracolo, che la donna ha voluto immortalare in un video. Con l’animale, il papà di Lisa sembra riuscire a parlare, a esprimersi. “Se i vostri cari parlano ancora con voi, ascoltateli perché non potete sapere quando sarà l’ultima volta” è il messaggio di Lisa. Il video postato su YouTube ha raggiunto in soli tre giorni quasi tre milioni di visualizzazioni. (RCD – Corriere Tv)
Qui il video:

https://video.repubblica.it/mondo/l-uomo-malato-di-alzheimer-che-parla-solo-con-il-suo-cane/163871/162362


PAPA’ E’ STATO BELLO VOLERTI TANTO BENE

Il mio papà, se ne è andato il 23 luglio 2007 e io sento tanto la sua mancanza. La sua malattia mi ha profondamente cambiato e ha cambiato la mia vita per sempre. Saper trovare del buono anche nelle cose più tristi che ci accadono è un dono che solo le persone che hanno fede posseggono e io credo di aver scoperto quel dono.
Il morbo di Alzheimer ha portato con se tanto dolore, un dolore così forte da spezzarmi il cuore. Parte di questo dolore era legato al fatto di aver perso il mio papà, o meglio di aver perduto la persona forte e determinata che ero abituata a conoscere e che mi dava sicurezza. E’ vero, quella persona non esisteva più e il suo ricordo era struggente.
In realtà però mio padre c’era, era ancora accanto a me, era soltanto cambiato. Ora era lui ad essere fragile e bisognoso di aiuto.
Quando finalmente sono riuscita a comprendere questo mi sono rapportata con lui in modo completamente differente, prima ero solo sua figlia, poi sono diventata sua figlia e sua madre allo stesso tempo. Non mi aspettavo nulla da lui, se non un sorriso, non potevo discutere con lui e raccontargli della mia vita e di quella della mia famiglia, ma potevo spiegargli con dolcezza quello che lui stentava a capire, potevo porgergli l’acqua o accarezzargli dolcemente il capo.
Insomma il nostro rapporto era cambiato, ma non si era interrotto. Ho capito che mi è stato concesso di poter ricambiare quanto mio padre aveva fatto per me, per i miei figli, per mio marito con tanta tenerezza e con tanto affetto quotidiano.
Io e lui avevamo imparato a comunicare senza parole, quando mi vedeva i suoi occhi sorridevano e bastava un suo sguardo perché io capissi se era contento, se stava bene.
E’ stato tanto difficile accettare di non ritrovarlo più come un tempo, ma alla fine la persona che avevo davanti era così dolce, tenera, preziosa e pura che ringrazio il Signore per avermi dato, in tanto dolore, anche la gioia di vivergli accanto.© Manuela Valletti

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Alzheimer: la ricerca a che punto è

Una diagnosi che cambia la vita, quella dell’Alzheimer, una malattia che porta a perdere sé stessi, il ricordo del proprio passato e una lucida presenza per vivere il presente. Oggi ricorre la XXIX Giornata Mondiale dell’Alzheimer: sono numerosissimi gli eventi, le mostre e i convegni previsti per l’occasione. Un momento importante per fare il punto su ricerca, cure, progettualità e passi avanti compiuti nell’ultimo anno per affrontare la sfida di questa malattia, definita anche dall’OMS “una priorità di sanità pubblica”.

Dal 2022, a tale urgenza è stata data anche una prima risposta economica, con uno stanziamento di fondi alle regioni per il Piano Nazionale Demenze di 15 milioni di Euro, cifra ritenuta tuttavia insufficiente dalla Federazione italiana Alzheimer per una malattia i cui costi globali vanno da 1,3 trilioni di dollari nel 2019, alle previsioni di 2,8 entro il 2030 (fonte: OMS).

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Ricerca e cure: si guarisce dall’Alzheimer?

Dopo il Giappone, l’Italia è uno dei paesi più “vecchi” del mondo con 148,6 anziani ogni 100 giovani (fonte: Istat 2020). Circa 1 milione di persone over 65 sono affette da demenza, oltre 630 mila da malattia di Alzheimer e oltre 928 mila da Declino Cognitivo Lieve (fonte: Biogen Deloitte): le previsioni di aumento della popolazione anziana lasciano intravedere numeri sempre crescenti.

Ad oggi l’Alzheimer può essere gestito e in tal senso c’è molto da poter fare, soprattutto fornendo ai caregiver tutti gli strumenti per comprendere la malattia e capire come agire. Tuttavia, dalla demenza purtroppo ancora non si guarisce. Come riportato nell’ultimo numero del Notiziario della Federazione Alzheimer Italia del 2022 “non esistono a oggi terapie risolutive, ma solo sintomatiche. Le terapie testate finora (e anche approvate, come nel caso del discusso Aducanumab, bocciato in Europa), infatti, mirano a eliminare una delle possibili cause associate alla malattia, l’accumulo della beta amiloide, quando i danni associati possono essere già avvenuti e irreparabili”.

Il dibattuto caso del farmaco Aducanumab

È di recente uscita lo studio scientifico pubblicato da Dove Medical Press su sfide e opportunità nell’uso di Aducanumab per il trattamento dell’Alzheimer, che sottolinea la non concordanza tra i pareri espressi nel 2021 dai due maggiori enti regolatori internazionali: FDA negli Stati Uniti che ha approvato l’uso del farmaco ed EMA in Europa che ha dato parere negativo, seguito poco dopo anche dall’agenzia giapponese.

Nello specifico l’EMA non ha approvato Aducanumab anche per la sua ridotta efficacia. “L’approvazione è avvenuta sulla base di risultati ‘surrogati’ e la modalità accelerata della stessa vincola ad uno studio post-approvazione per confermare i benefici clinici – dichiara Mauro Colombo, Ricercatore in gerontologia clinica, ASP Golgi-Redaelli – Gli esperti dell’EMA invece hanno ritenuto che questo farmaco non mostrasse un chiaro segnale di efficacia né un profilo di sicurezza soddisfacente per il trattamento di pazienti in fase iniziale“.

Nuove terapie e il ruolo dell’intelligenza artificiale

Sono numerosi gli studi portati avanti in Italia e nel mondo: alcuni ricercatori presso il CNR stanno indagando i meccanismi che guidano la neurodegenerazione nell’Alzheimer e aprendo spiragli verso terapie per rallentare la progressione della malattia.

Anche l’intelligenza artificiale si sta rivelando una valida strada per sviluppare nuove strategie di diagnosi e cura per prevenire Alzheimer e altre forme di demenza senile: come riporta il Notiziario della Federazione Alzheimer Italia, ricercatori inglesi “hanno sviluppato un algoritmo basato sull’intelligenza artificiale capace di analizzare dettagliatamente le immagini di una risonanza magnetica facendo un’analisi approfondita del cervello. Questo studio, realizzato su un iniziale gruppo di 400 malati di Alzheimer lieve o grave, soggetti di controllo e pazienti con altre malattie neurologiche e demenze, ha diagnosticato la malattia nel 98% dei casi”. Un prezioso passo in avanti per una diagnosi chiara, importante per affrontare questa complessa malattia, che necessita innanzitutto di comprensione e vicinanza umana.

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Giulia Angelon

Giulia Angelon

Mi piace esplorare l’esistenza, osservandone i misteri e sperimentando la forza creatrice che genera l’atto di comunicare quando nasce dall’ascolto e dal dialogo. Per BuoneNotizie.it scrivo di benessere e innovazione in chiave culturale, imparando l’arte di esserci nelle cose con intensa leggerezza.

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